Alberti e il sapere scientifico antico:
fra i meandri di una biblioteca interdisciplinare
ida mastrorosa
1. Prospettiva enciclopedica e curiositas naturalistica
Educato alla scuola di un cultore della formazione fondata sull’apporto
congiunto della filosofia e delle arti liberali come Gasparino Barzizza,1 ma
al contempo alimentato, fin dalla giovinezza, da una congenita attrazione per le discipline più disparate,2 Alberti trovò modo di apprenderne i
rudimenti e trasfonderli in numerose opere ricche di indizi utili anche
per chi voglia accingersi ad una ricognizione virtuale della biblioteca d’argomento scientifico che egli dovette assemblare o comunque consultare
nell’arco di decenni, di quei volumi cioè che contribuirono a farne il protagonista di un Umanesimo non esclusivamente votato al culto delle artes sermocinales bensì ricco di fermenti anche nel campo delle scienze.3
Del resto, basterà considerare un’eloquente affermazione dell’Autobiografia – «[…] adeo ut a libris vix posset fame aut somno distrahi»4 –
1 È indicativa in proposito l’affermazione contenuta
in Oratio Gasparini Barzizii Pergamensis, apostolici secretarii, in principio quodam artium, in Prosatori latini del
Quattrocento, a cura di E. Garin, Milano-Napoli, Ricciardi, 1952 (rist. Torino, Einaudi, 1976), pp. 306-309:
306: «[…] necessario id, a me faciendum putabam ut,
[…] ego pro facultate animi mei aperirem quid nostri veteres de gloria ac laude philosophiae ceterarumque artium, quas liberales appellant, ipsi sensissent […] Quis
enim vestrum est qui non intelligat “omnes artes, quae ad
humanitatem pertinent, quoddam inter se habere, ut ait
Cicero, commune vinculum et quasi cognatione quadam
contineri?” […]». Quanto al discepolato di Alberti presso il Barzizza, sono ancora utili R. Cessi, Gli Alberti di
Firenze in Padova, «Archivio Storico Italiano», 40 (1907),
pp. 233-284: 244-245; Id., Il soggiorno di Lorenzo e Leon
Battista Alberti a Padova, «Archivio Storico Italiano», 43
(1909), pp. 351-359: 353-354, nonché G. Mancini, Vita di
Leon Battista Alberti, seconda edizione completamente
rinnovata con figure illustrative, Firenze, Carnesecchi,
1911 (rist. anast. Roma 1967, 1971), pp. 40 sgg.
2 Cfr. R. Fubini, A. Menci Gallorini, L’autobiografia di Leon Battista Alberti. Studio e edizione, «Rinascimento», n.s., 12 (1972), pp. 21-78: 68, rr. 4-5: «tum litteris
et bonarum artium studiis rarissimarumque et difficillimarum rerum cognitioni fuit deditissimus».
3 Sull’interesse tutt’altro che marginale degli umanisti
nel xv secolo per tematiche di carattere scientifico, nonché
sull’apporto dagli stessi recato all’evoluzione della scienza
rinascimentale, oltre a G.S. Sarton, The Appreciation of
Ancient and Medieval Science during the Renaissance, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1955, focaliz-
per comprendere che a fondamento di un approccio propenso a riconnettere alle artes il valore di uno strumento gnoseologico capace di garantire all’uomo una posizione superiore a quella di tutti gli altri esseri
viventi,5 ad apprezzarne il significato in chiave sociale,6 nonché a classificarle con lucido rigore, scandendone varietà di funzione e importanza,7 vi era un rapporto intenso e quasi vorace intrattenuto coi libri, un
rapporto destinato a superare la soglia dell’esperienza individuale per
farsi precetto propugnato anche sul piano professionale:
Caeterum sic gerat velim sese, uti in studiis litterarum faciunt. Nemo enim se satis dedisse operam litteris putabit, ni auctores omnes
etiam non bonos legerit atque cognorit, qui quidem in ea facultate
aliquid scripserint, quae sectentur.8
zato sul rapporto con la tradizione classica, e ai contributi
raccolti negli Atti del primo Convegno internazionale di ricognizione delle fonti per la storia della scienza italiana: i secoli XIV-XVI, (Pisa, Domus Galilaeana, 14-16 settembre
1966), a cura di C. Maccagni, Firenze, Giunti Barbera,
1967, cfr. soprattutto E. Garin, Gli Umanisti e la scienza,
«Rivista di Filosofia», 52 (1961), pp. 259-278 (parzialmente
ripreso in Id., Il ritorno dei filosofi antichi, Napoli, Bibliopolis, 1983); P. Zambelli, Rinnovamento umanistico, progresso tecnologico e teorie filosofiche alle origini della rivoluzione scientifica, «Studi storici», 3 (1965), pp. 507-546; M.
Boas Hall, Il Rinascimento scientifico, 1450-1630, Milano,
Feltrinelli, 1973 (ed. orig. London, Collins, 1962); E. Garin, Umanisti, artisti, scienziati. Studi sul Rinascimento italiano, Roma, Editori Riuniti, 1989; nonché da ultimo L.
Bianchi, Le scienze nel Quattrocento. La continuità della
scienza scolastica, gli apporti della filologia, i nuovi ideali di
sapere, in C. Vasoli, Le filosofie del Rinascimento, a cura di
P.C. Pissavino, Milano, B. Mondadori, 2002, pp. 93-112.
4 Cfr. Fubini-Menci Gallorini, L’autobiografia, p.
68, rr. 14-15.
5 Cfr. L.B. Alberti, L’architettura [De re aedificatoria], testo latino e traduzione a cura di G. Orlandi, introduzione e note di P. Portoghesi, Milano, Il Polifilo,
1966, IV 1, p. 269: «Atqui nihil est, quo magis homo quispiam differat ab homine, quam una illa in re, qua ab genere belluarum longissime abest: ratione et artium optimarum cognitione». Sulla concezione albertiana delle artes oltre a N. Badaloni, La interpretazione delle arti nel
pensiero di L.B. Alberti, «Rinascimento», n.s., 3 (1963), pp.
59-113, cfr. M. Regoliosi, Gerarchie culturali e sociali nel
“De commodis litterarum atque incommodis” di Leon Bat-
tista Alberti, in “Sapere e/è potere”. Discipline, dispute e professioni nell’università medievale e moderna. Il caso bolognese a confronto, Atti del IV Convegno (Bologna, 13-15
aprile 1989), 3 voll., Bologna, Comune di Bologna-Istituto per la Storia di Bologna, 1990, I, Forme e oggetti della
disputa delle arti, a cura di L. Avellini, pp. 151-170; P.
Panza, “Lui geometra, lui musico, lui astronomo”. Leon
Battista Alberti e le discipline liberali, in Le arti e le scienze, a cura di S. Zecchi («Estetica», 5, 1995), pp. 243-258;
J.-M. Mandosio, La classification des sciences et des arts
chez Alberti, in Leon Battista Alberti, Actes du Congrès international (Paris, Sorbonne, Institut de France, Institut
culturel italien, Collège de France, 10-15 avril 1995), édités
par F. Furlan et al., 2 voll., Torino, N. Aragno-Paris, J.
Vrin, 2000, II, pp. 643-704.
6 Cfr. L.B. Alberti, De iciarchia, in Id., Opere volgari, a cura di C. Grayson, 3 voll., Bari, Laterza, 1960-1973,
II (1966), pp. 185-286: 243, rr. 8-10: «L’omo nacque per essere utile all’omo. E tante arte fra gli omini a che sono?
Solo per servire agli omini».
7 Cfr. l’incipit del De re aedificatoria: «Multas et varias
artes, quae ad vitam bene beateque agendam faciant,
summa industria et diligentia conquisitas nobis maiores
nostri tradidere. Quae omnes, etsi ferant prae se quasi certatim huc tendere, ut plurimum generi hominum prosint, tamen habere innatum atque insitum eas intelligimus quippiam, quo singulae singulos prae ceteris diversosque polliceri fructus videantur. Nanque artes quidem
alias necessitate sectamur, alias probamus utilitate, aliae
vero, quod tantum circa res cognitu gratissimas versentur, in pretio sunt» (p. 7).
8 Ivi, IX 10 (pp. 855-857).
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ida mastrorosa
Sebbene incline ad arricchire il proprio patrimonio culturale anche
attraverso l’experientia altrui,9 quasi nell’ottica socratica di un cammino conoscitivo tutt’altro che solitario, Alberti non ignorava, infatti,
che i libri rappresentavano i più diretti veicoli di acquisizione del sapere, immediati strumenti di colloquio con gli Antichi, depositari dell’intero scibile umano, e perciò tanto più preziosi e da doversi certamente custodire in gran numero fra le pareti di biblioteche destinate
ad accoglierli a guisa d’ornamento prezioso:
Bibliothecis ornamento in primis erunt libri et plurimi et rarissimi,
praesertim ex docta illa vetustate collecti.10
Cionondimeno, lungi dal farne oggetti intangibili di un culto sacrale, Battista si curava di preservare il contenuto dei suoi amati volumi
entro lo scrigno della propria memoria, attraverso letture costanti, talvolta perfino rasserenanti,11 di fatto utili a fornire le “tessere” dei suoi
originali mosaici,12 da cui occorre pur sempre partire anche per prefi9 Cfr. Fubini-Menci Gallorini, L’autobiografia, p.
72, rr. 12-19: «Cum appulisse doctum quemvis audisset, illico sese in illius familiaritatem insinuabat, et a quocumque quaeque ignorasset ediscebat. A fabris, ab architectis,
a naviculariis, ab ipsis sutoribus et sartoribus sciscitabatur,
si quidnam forte rarum sua in arte et reconditum quasi peculiare servarent; eadem illico suis civibus volentibus communicabat. Ignarum se multis in rebus simulabat, quo alterius ingenium, mores peritiamque scrutaretur».
10 Alberti, De re aedificatoria, VIII 9 (p. 767). Sulla
concezione della «bibliotheca» in Alberti, nonché sulla
sua ideologia del libro, cfr. in questo catalogo R. Cardini, Alberti e i libri.
11 Cfr. L.B. Alberti, Profugiorum ab erumna libri, a
cura di G. Ponte, Genova, Tilgher, 1988, l. III, p. 114, rr.
16-22: «Cosa niuna tanto mi disduce da mia vessazione
d’animo, né tanto mi contiene in quiete e tranquillità di
mente, quanto occupare e miei pensieri in qualche degna
faccenda e adoperarmi in qualche ardua e rara pervestigazione. Soglio darmi a imparare a mente qualche poema o
qualche ottima prosa; soglio darmi a commentare qualche
essornazione, ad amplificare qualche argumentazione».
12 Sul significato e le implicazioni della tecnica albertiana d’uso e rielaborazione della tradizione classica occorre tener conto delle fondamentali puntualizzazioni di
R. Cardini, Mosaici. Il “nemico” dell’Alberti, Roma, 1990
(rist. 2004), pp. 2 sgg. Sull’argomento si vedano inoltre L.
Trenti, “Nihil dictum quin prius dictum”. La fenomenologia sentenziosa in Leon Battista Alberti, «Quaderni di Retorica e Poetica», 2 (1986), pp. 51-62: 57; A.M. Cabrini,
Teoria e prassi della riscrittura: l’opera di Leon Battista Alberti, in Riscrittura, intertestualità, transcodificazione, Atti
del Seminario di studi (Pisa, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, gennaio-maggio 1991), a cura di E. Scarano e D. Diamanti, Pisa, Tipografia Editrice Pisana, 1992,
pp. 23-34.
13 Che i criteri moderni di partizione ed inclusione nel
novero delle discipline scientifiche non coincidano con
quelli vigenti nel Quattrocento, ed escludano e.g. materie
come l’astrologia, o la fisiognomica o l’alchimia, è stato
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gurare assetto e composizione degli scaffali a contenuto scientifico della sua libreria.
Ciò detto, in vista di una ricognizione necessariamente mirata, giova comunque precisare che nella sezione indagata si intendono sostanzialmente compresi gli ambiti tematici lato sensu riconducibili innanzitutto alle discipline del quadrivio,13 quindi alle artes medendi, vale a dire a settori già formalizzati dal sapere scientifico antico,14 valorizzati fin
dal primo Quattrocento dagli interessi degli umanisti più raffinati,15 ma
soprattutto non trascurati dai paradigmi didattico-culturali letterariamente canonizzati nella prima metà del xv secolo e, più specificamente, anche dal curriculum accademico seguito da Alberti presso lo Studio
bolognese negli anni giovanili.
Quanto ai primi, accanto alle testimonianze cronologicamente anteriori di Coluccio Salutati,16 Pier Paolo Vergerio17 e Vittorino da Feltre,18
o ancora all’esempio posteriore di illustri docenti dello Studium fiorentino come Cristoforo Landino,19 a titolo d’esempio gioverà ricordare l’Oratio de septem artibus liberalibus tenuta al ginnasio di Ferrara nell’anno
puntualmente sottolineato da C. Vasoli, La cultura dei
secoli XIV-XVI, in Atti del primo Convegno internazionale di
ricognizione delle fonti, pp. 31-105: 58.
14 Per orientarsi sulle principali discipline e le relative
fonti del pensiero scientifico antico si può utilmente ricorrere, fra gli altri, a Introduzione alle culture antiche. II.
Il sapere degli antichi, a cura di M. Vegetti, Torino, Bollati Boringhieri, 1985; G.E.R. Lloyd, La science grecque
après Aristote, traduction de l’anglais par J. Brunschwig,
Paris, La Découverte, 1990 (ed. orig. London-New York
1973); T.E. Rihll, Greek Science, Oxford, Oxford University Press, 1999; L. Russo, La rivoluzione dimenticata.
Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, nuova edizione ampliata, prefazione di M. Cini, Milano, Feltrinelli, 2001; Letteratura scientifica e tecnica di Grecia e Roma,
direzione e coordinamento di C. Santini, a cura di I.
Mastrorosa e A. Zumbo, Roma, Carocci, 2002.
15 Indicativo l’esempio di Pier Candido Decembrio
(1399-1477), autore in età giovanile di un trattato De septem liberalium artium inventoribus, nel quale grazie all’impiego, pur non originale, della tradizione antica, accanto alla grammatica, alla dialettica e alla retorica, trovavano specifica trattazione l’aritmetica, la geometria, la
musica, l’astronomia e l’astrologia.
16 Posizione favorevole alle discipline del quadrivio si
ricava da un’ampia lettera programmatica a fra’ Giovanni Dominici del 1405: cfr. in particolare C. Salutati, Epist. XIV, 24, 2-4, in Id., Epistolario, a cura di F. Novati,
4 voll. in 5 tomi, Roma, Istituto Storico Italiano, 18911911, IV, pp. 205-240: 225-230; sugli orientamenti didattici dell’autore si veda inoltre E. Garin, Educazione umanistica in Italia, Roma-Bari, Laterza, 19759, pp. 23-34.
17 Basterà tener conto del ruolo non marginale riconosciuto alla scienza naturale e alla medicina nel curriculum di arti liberali fissato intorno al 1402-1404 dal Vergerio: cfr. P.P. Vergerio, De ingenuis moribus et liberalibus
adolescentiae studiis liber seu de nobilium puerorum educatione, a cura di A. Gnesotto, «Atti e Memorie della R.
Accademia di Scienze, Lettere ed Arti in Padova», n.s., 34
(1917-1918); ma cfr. pure Garin, Educazione umanistica,
pp. 61-119: 97-99; in proposito si veda anche E. Garin,
L’educazione in Europa (1400-1600). Problemi e programmi, Bari, Laterza, 19662 (1a ed. 1957), pp. 114-119.
18 Chiamato a Mantova nel 1423 da Giovan Francesco
Gonzaga ad occuparsi dell’educazione dei figli, dove ebbe modo di istituire nella Ca’ Zoiosa anche una sorta di
convitto scolastico aperto a giovani di tutte le condizioni sociali, Vittorino da Feltre vi promosse un curriculum
grammaticale-retorico non precluso alle artes reales, vale
a dire l’aritmetica, la musica e le scienze filosofiche, nella prospettiva di un modello di cultura enciclopedica da
lui apertamente professato, secondo la testimonianza resa dal Platina, nel Commentariolus dedicato alla biografia del feltrino, per cui cfr. M. Cortesi, Libri e vicende
di Vittorino da Feltre, «Italia medioevale e umanistica», 23
(1980), pp. 77-114: 87; sui paradigmi educativi propugnati da Vittorino si vedano inoltre Garin, L’educazione
in Europa, pp. 132-137; Vittorino da Feltre e la sua scuola:
umanesimo, pedagogia, arti, a cura di N. Gianetto, Firenze, Olschki, 1981.
19 Si ricordi il significato attribuito alle discipline
scientifiche (physices, mathematices ecc.) dal Landino nella Prefatio in Tusculanis del 1458, per cui cfr. R. Cardini,
La critica del Landino, Firenze, Sansoni, 1973, pp. 287308; C. Landino, Scritti critici e teorici, edizione, introduzione e commento a cura di R. Cardini, 2 voll., Roma, Bulzoni, 1974, I, pp. 5 sgg. Più in generale, per una
panoramica sull’atteggiamento umanistico nei confronti
delle arti liberali, nonché sulla sopravvivenza della distinzione di Arist. Metaph. 5 1, 1025b e 10 7, 1064 fra conoscenza teoretica (finalizzata alla contemplazione e comprendente la fisica, la matematica e la teologia o metafisica), conoscenza pratica (proiettata agli ambiti dell’etica,
dell’economica e della politica), conoscenza poietica (utile alla costruzione di cose materiali e relativa alle attività
artigianali) si veda J.-M. Mandosio, Les sources antiques
de la classification des sciences et des arts à la Renaissance, in
Les voies de la science grecque. Études sur la transmission des
textes de l’Antiquité au dix-neuvième siècle, edité par D.
Jacquart, Genève, Droz, 1997, pp. 331-390.
alberti e il sapere scientifico antico: fra i meandri di una biblioteca interdisciplinare
1453 da Battista Guarini, figlio del più celebre Guarino, ove, accanto all’elogio della filosofia e delle sue tre branche (physica, ethica, logica), nonché dei saperi settoriali inclusi entro queste ultime,20 si coglie, da un canto, il rilievo attribuito nel contesto della fisica non soltanto alla teologia,
bensì alla matematica, vale a dire alle sue specifiche applicazioni, e alla
storia naturale e, d’altra parte, si registra il significato tutt’altro che secondario annesso nell’ambito dell’etica alle arti meccaniche, più direttamente utili a favorire gli interessi del corpo, fra cui la medicina:
Mathematicarum itaque prima partitio est in geometriam et arithmeticam, quarum altera de mensuris, altera de numeris pertractat […] Sub
his postea duabus philosophiae partibus perspectiva, musica et astrologia comprehenduntur […]. Tertium igitur physicae genus est, quod
apud nos iure quodam suo naturalis sibi appellationem vindicavit historiae, quia circa earum rerum naturam versetur, quae moveri mutarique possunt […]. Verum quoniam ex corpore etiam constabamus, illius commoditates non est aspernata. Ceterum cum pecudes, boves,
equos ceteraque animalia naturaliter ad se tuendum munita esse, nos
autem nudos nasci videret, eapropter artes adinvenit mechanicas idcirco nominatas […]. Inter has vero adnumeratur certissima illa nostrorum corporum conservatrix medicina tantae profecto dignitatis.21
A fronte di un testo utile a comprendere l’attenzione concretamente riservata dagli umanisti alle fonti classiche di argomento matematico, astronomico, astrologico, naturalistico non va per altro verso dimenticato quale preminenza esse detenessero nella facoltà di Medicina
ed Arti dell’ateneo felsineo alla quale si era avvicinato Alberti dopo l’abbandono degli studi giuridici:
Verum, quod sine litteris esse non posset, annos natus quatuor et viginti ad phisicam22 se atque mathematicas artes contulit; eas enim sa-
20 Cfr. Oratio Baptistae Guarini de septem artibus liberalibus in incohando felici Ferrariensi gymnasio habita anno Christi MCCCCLIII, in B. Guarini, La didattica del
greco e del latino. De ordine docendi ac studendi e altri scritti, a cura di L. Piacente, Bari, Edipuglia, 2002, pp. 92143: 138 (cap. 15): «putoque vos firmiter memoria tenere
generales tres esse totius philosophiae partes inprimisque
physicam, quae sub se theologiam, mathematicas omnes
et naturalem complectitur historiam, postea ethicam, cui
quattuor philosophorum sectas et poesim cumque mechanicis artibus medicinam adnexam esse demonstravimus, deinde logicam, quae in grammaticam, dialecticam
et dicendi rationem sit distributa».
21 Ivi, pp. 102-104 (cap. 6), 112 (cap. 8), 124 (cap. 11).
22 L’archetipo dell’Autobiografia reca in realtà philosophiam e non phisicam, come segnalato da Lucia Cesarini
Martinelli in L.B. Alberti, Philodoxeos fabula, edizione critica a cura di L. Cesarini Martinelli, «Rinascimento»,
n.s., 17 (1977), pp. 111-234: 112-113. Nonostante tale divergenza di lezione, l’interpretazione del passo non risulta ai
nostri fini significativamente modificata, dato l’ampio spazio concesso alla lettura di testi filosofici classici, a cominciare da quelli aristotelici, anche nella fase iniziale del cursus
tis se posse colere non diffidebat, siquidem in his ingenium magis
quam memoriam exercendam intelligeret.23
Per quanto non siamo infatti in grado di stabilire l’esatto svolgimento dell’iter scolastico intrapreso dall’umanista, possiamo comunque ipotizzare che in tale sede egli si avviasse allo studio di alcuni trattati scientifici di Aristotele, secondo la programmazione didattica fissata per i discenti dagli statuti bolognesi del 1405 dell’Universitas di
Medicina e d’Arti:
Item statuerunt, cum utile et necessarium sit scolaribus super lectura librorum salubriter providere, quod de cetero in lectura et super lectura
librorum legendorum de cetero tam in medicina quam in phylosophya
et astrologia talis ordo servetur; videlicet, quod secundum infrascriptum modum hinc ad vigintiquinque annos proxime secutoros inchoandos, et infrascripto ordine, pro primo in phylosophya primo legatur
totus liber physicorum, quo lecto, legatur primus de generatione et corruptione […]. In secundo anno primo legatur liber de celo et mundo,
quo lecto, legatur liber Mathaurorum, quo lecto, legatur liber de sensu
et sensato. Extraordinarie primo legatur liber de substantia orbis.24
Tralasciando la questione dell’accesso diretto di Alberti ai testi originali dello Stagirita, destinata a rimanere sub iudice in presenza, da un
canto, della notizia della sua conoscenza della lingua greca offertaci da
Lapo di Castiglionchio25 e, d’altra parte, degli ormai acquisiti ed inequivoci riscontri comprobanti l’effettivo ricorso a traduzioni latine degli originali,26 pare comunque innegabile che il Nostro non si limitò
ad enunciare l’utilità di applicarsi con costanza ad Aristotele,27 né ad
apprezzarlo formalmente per la sua fede nell’ideale di un’inesauribile
sete umana di conoscenza,28 bensì riuscì a ricavarne numerose nozioni anche di carattere naturalistico.
di studi previsto per tradizione plurisecolare per i medici.
23 Fubini-Menci Gallorini, L’autobiografia, p. 70,
rr. 3-6.
24 De lectura et ordine librorum legendorum. Rubrica
LXXVIII, in Statuti delle Università e dei Collegi dello
Studio bolognese, pubblicati da C. Malagola, Bologna,
Zanichelli, 1888 (rist. anast. Torino, Bottega d’Erasmo,
1966), p. 274. Sull’ordinamento degli studi previsto a Bologna dagli statuti del 1378 e 1405 cfr. P. Kibre, N.G. Siraisi, The Institutional Setting: the Universities, in Sciences
in the Middle Ages, edited by D.C. Lindberg, Chicago,
Ill., University of Chicago Press, 1978, pp. 120-144.
25 Come è noto, un riferimento allo studio del greco cui
Battista si sarebbe applicato fin dall’età giovanile insieme a
Lapo di Castiglionchio si trae dalla dedica della traduzione del De sacrificiis lucianeo ad opera dello stesso: cfr. F.P.
Luiso, Studi su l’epistolario e le traduzioni di Lapo da Castiglionchio juniore, «Studi Italiani di Filologia Classica», 7
(1899), pp. 205-299: 283, n. 1: «Nam ab initio cum graecas
litteras natu iam grandiores nec vacui animo attigissemus,
ob rei magnitudinem ac difficultatem omne illud tempus
nobis, quod reliquum erat a negotiis, in audiendo legendoque ponebatur, scribendi otium non erat». Sul grado di
conoscenza che l’Alberti aveva del greco ha di recente fatto il punto R. Cardini, Onomastica albertiana, «Moderni
e Antichi», 1 (2003), pp. 143-175: 144-145, 160-161.
26 Il ricorso di Alberti a versioni latine di opere greche
in alcuni luoghi della sua opera è stato accuratamente dimostrato da L. Bertolini, Grecus sapor. Tramiti di presenze greche in Leon Battista Alberti, Roma, Bulzoni, 1998;
nonché Ead., Una fonte umanistica dell’Alberti, in Leon
Battista Alberti 2000, pp. 213-234.
27 Cfr. Alberti, Profugiorum ab erumna libri, I, p. 40,
rr. 17-20: «Io deliberai un tempo riconoscere tutto quello
che scrisse Aristotile in filosofia. Chiamai alcuni studiosi
e a me imposi legger loro ogni dì due ore. Quella ascrittami quasi necessità mi fece assiduo più ch’io forse non
sarei stato». Sulla presenza della trattatistica aristotelica
nell’opera albertiana cfr. da ultimo I. Mastrorosa, L’inferiorità politica e fisiologica della donna in Leon Battista
Alberti: le radici aristoteliche, in La tradizione politica aristotelica nel Rinascimento europeo: tra “familia” e “civitas”,
a cura di G. Rossi, Torino, Giappichelli, 2004, pp. 25-78,
con ulteriori indicazioni bibliografiche.
28 Si veda la puntuale ripresa di Arist. Metaph. I 1,
1980 nel l. I del De iciarchia (Alberti, Opere volgari, II,
135
ida mastrorosa
In quest’ottica, nella stagione che vide aumentare l’interesse per lo
Stagirita anche grazie alla crescente diffusione delle versioni delle sue
opere promosse da celebri umanisti come il Trapezunzio, l’Argiropulo
o Teodoro Gaza,29 e poté registrare la presenza di codici aristotelici presso le biblioteche di illustri mecenati della cultura come gli Estensi,30
Battista seppe percepirne l’ampiezza di orizzonti e trarne al contempo
materia variegata non soltanto per la composizione di trattazioni come il De pictura,31 bensì pure per il suo più cospicuo opus enciclopedico. Basterà considerare, infatti, i casi di citazione esplicita presenti nel
De re aedificatoria, già da tempo identificati dagli editori, per comprenderne la congruenza con osservazioni ricavate da trattazioni di natura composita come i Problemata,32 nonché da opere di contenuto più
specificamente biologico come l’Historia animalium o il De generatione animalium,33 d’argomento cosmologico-geografico come i Meteorologica e il De caelo,34 di tipo botanico come lo pseudo-aristotelico De
plantis,35 non trascurato in quegli anni neppure dal Bessarione.36
Accanto a tali testi, nell’ottica di una partizione di matrice peripatetica, le letture del Nostro dovettero annoverare senz’altro Teofrasto,37 un
p. 216, rr. 21-22): «L’omo da natura si è cupidissimo di sapere ogni cosa».
29 Promossa fin dall’età medievale (cfr. M.-Th. d’Alverny, Les traductions d’Aristote et de ses commentateurs,
«Revue de Synthèse», s. III, 49-52, 1968, pp. 125-144), l’attività di traduzione delle opere aristoteliche conosce una
vera e propria accelerazione in età umanistica, secondo
quanto emerge dalla panoramica ancora utile di E. Garin,
Le traduzioni umanistiche di Aristotele nel secolo XV, «Atti e
Memorie dell’Accademia Fiorentina di Scienze Morali La
Colombaria», 16 (1947-1950), pp. 55-104, part. pp. 75-81;
82-86, per quanto concerne gli interventi del Trapezunzio,
impegnato nella traduzione della Physica, del De coelo et
mundo, non trascurati neppure dall’Argiropulo, nonché in
quella del De animalibus, vale a dire del De historia animalium, del De partibus animalium e del De generatione
animalium, e ancora dei Problemata, oggetto di cura anche da parte di Teodoro Gaza. Per ulteriori approfondimenti si vedano inoltre L. Frati, Le traduzioni aristoteliche di G. Argiropulo e un’antica legatura medicea, «La Bibliofilía», 19 (1917), pp. 1-25; P.O. Kristeller, Un codice
padovano di Aristotele postillato da Francesco ed Ermolao
Barbaro: il Manoscritto Plimpton 17 della Columbia University Library [1948], poi in Id., Studies in Renaissance
Thought and Letters. I, rist. anast. dell’ed. Roma 1956, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1984, pp. 337-353: 340
sgg.; nonché J. Monfasani, L’insegnamento universitario
e la cultura bizantina in Italia nel Quattrocento, in “Sapere
e/è potere”, I, pp. 43-65 (poi in Id., Byzantine Scholars in
Renaissance Italy: Cardinal Bessarion and Other Émigrés.
Selected Essays, Aldershot, Variorum, 1995), cui non sfugge la particolare attenzione riservata dai dotti greci ai testi scientifici «che esigevano traduttori provvisti di una
profonda perizia greca, ma non necessariamente di alta
eloquenza latina», per i quali, soprattutto nel caso dei libri
non morali di Aristotele, essi «acquistarono quasi un monopolio nel Quattrocento» (pp. 56-57).
30 A titolo d’esempio giova ricordare l’attestazione
presso il cospicuo fondo della Biblioteca degli Estensi a
136
autore irrinunciabile innanzitutto per l’Alberti architetto, pronto ad inserirlo al primo posto nella serie delle fonti canoniche utili a quanti avessero dovuto occuparsi dei materiali da costruzione, al contempo apprezzate per la natura empirica dei loro precetti, frutto di dati esperienziali:
Atqui nos quidem in huiusmodi rebus, quae ad opus aedificiorum
commoda sunt, recensendis ea referemus, quae docti veteres tradidere, praesertim Theophrastus Aristoteles Cato Varro Plinius Vitruviusque – nam ea quidem longa observatione magis quam ullis ingeniis artibus cognoscuntur –, ut ab his, qui istiusmodi summa diligentia adnotarunt, petenda sint.38
Purtuttavia, del primo scolarca successore dello Stagirita alla guida
del Peripato, l’umanista dovette conoscere non soltanto scritti di botanica come l’Historia plantarum e il De causis plantarum ma anche opuscoli come il De ventis. Quanto ai primi, ben attestati all’epoca anche presso la biblioteca del Niccoli e oggetto di particolare attenzione
presso i dotti greci,39 interessanti indizi di lettura possono trarsi da ta-
Ferrara (già in possesso di 279 codici secondo il catalogo
elaborato il 19 gennaio 1436 per cui cfr. R. Sabbadini, Le
scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV, Firenze,
Sansoni, 1905, rist. anast. Firenze, Sansoni, 1967, p. 198)
di un codice miscellaneo aristotelico, comprensivo fra le
altre anche di operette d’argomento scientifico quali De
generatione animalium, De caelo, De mundo, risalente al
xv secolo: si veda V. Puntoni, Indice dei codici greci della Biblioteca Estense di Modena, «Studi Italiani di Filologia Classica», 4 (1896), pp. 376-536, part. p. 450, nr. 101.
31 Sui numerosi e variegati intarsi aristotelici presenti
nel De pictura cfr., oltre a S.Y. Edgerton, Alberti’s Colour Theory: a Medieval Bottle without Renaissance Wine,
«Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 32
(1969), pp. 109-134, G. Federici Vescovini, La teoria dei
colori dei sectantes philosophos nel De pictura di Leon Battista Alberti, in La prospettiva. Fondamenti teorici ed esperienze figurative dall’antichità al mondo moderno, Atti del
Convegno internazionale di studi (Roma, Istituto Svizzero di Roma, 11-14 settembre 1995), a cura di R. Sinisgalli, Firenze, Cadmo, 1998, pp. 85-93.
32 Si considerino le citazioni di Arist. Probl. 12 4; 11 8;
24 2 in Alberti, De re aedificatoria, V 17 (p. 429); VIII 7
(p. 745); X 6 (p. 909).
33 Si vedano le riprese di Arist. Hist. anim. VII 12; IX
6, 4 rispettivamente in Alberti, De re aedificatoria, IX 5
(p. 819); X 15 (p. 981); nonché di Arist. Gen. anim. II 6,
742 in Alberti, De re aedificatoria, V 17 (p. 423).
34 Si consideri il ricorso ad Arist. Meteor. II 8 (meglio
che I 3 indicato dagli editori moderni) e II 4, in Alberti,
De re aedificatoria, X 4 (p. 899) e X 6 (p. 907); nonché ad
Arist. Cael. I 1, 268a in Alberti, De re aedificatoria, IX 5
(p. 819).
35 Si veda la ripresa di Ps.-Arist. De plant. I 9, 1 in Alberti, De re aedificatoria, II 7 (p. 13).
36 Sul De plantis pseudoaristotelico, versione bizantina
di una traduzione latina derivata a sua volta da una versione araba dell’originale greco perduto, sulla cui paternità da parte dello Stagirita nutrì dubbi già il Bessarione
cfr. H.J. Drossaart Lulofs, Aristotle’s Peri; fuvsew",
«Journal of Hellenic Studies», 77 (1957), pp. 75-80; L. Labowsky, Aristoteles “De plantis” and Bessarion. Bessarion
Studies II, «Medieval and Renaissance Studies», 5 (1961),
pp. 132-154; nonché da ultimo Nicolaus Damascenus,
De plantis: five translations, edited and introduced by H.J.
Drossaart Lulofs and E.L.J. Poortman, AmsterdamNew York, North-Holland, 1989.
37 Sulla circolazione umanistica di Teofrasto cfr. C.B.
Schmitt, Theophrastus in the Middle Ages, «Viator», 2
(1971), pp. 251-270; Id., Theophrastus, in Catalogus Translationum et Commentariorum: Mediaeval and Renaissance
Latin Translations and Commentaries, edited by P.O. Kristeller, F.E. Cranz et al., Washington, The Catholic
University of America Press, II (1971), pp. 239-322: 265 sgg.
38 Alberti, De re aedificatoria, II 4 (p. 111).
39 Al corpus botanico teofrasteo sembra effettivamente
riconducibile l’indicazione offerta da B.L. Ullman, Ph.A.
Stadter, The Public Library of Renaissance Florence. Niccolò Niccoli, Cosimo de’ Medici and the Library of San Marco, Padova, Antenore, 1972, p. 74, n. 14, per cui cfr. pure
gli accenni alla promessa di trascrivere «Theophrastum de
plantis» di A. Traversari, Epist. VIII, 35 e 36 (1430-1431)
nonché 37 (1431): «Paulus medicus Theophrastum fere absolvit. Eius emendandi curam mihi ipse subscipiam, ut vel
in hoc impleam officium meum», ove il richiamo all’intervento del Toscanelli, e dunque alla sua disponibilità del
testo, potrebbe suggerirci una probabile fonte grazie a cui
Alberti avrebbe potuto accedere alla lettura dei testi botanici teofrastei. Del resto, di questi ultimi avrebbe posseduto un esemplare anche l’Aurispa cui si sarebbe rivolto il
Filelfo nel 1444 per averne copia: cfr. A. Franceschini,
Giovanni Aurispa e la sua biblioteca: notizie e documenti,
Padova, Antenore, 1976, p. 72, n. 69. Sulla circolazione
umanistica delle due opere, testimoniata e.g. anche dai
mss. 85. 3 e 85. 22 della Biblioteca Medicea Laurenziana
(sec. xv), peraltro contenenti pure il De plantis pseudoaristotelico, nonché dal Marcianus Gr. Z 274, fatto copiare
dal cardinal Bessarione a Firenze, datato 3 gennaio 1443,
alberti e il sapere scientifico antico: fra i meandri di una biblioteca interdisciplinare
luni intarsi espliciti e già segnalati del De re aedificatoria,40 certamente
utili a comprendere anche la matrice dotta delle disquisizioni di cui
Alberti doveva dilettarsi a beneficio dei suoi sodali, se dobbiamo prestar fede a una notizia di Gaspare da Verona, pronto a sollecitare la visita di un amico, promettendogli la presenza di Battista e le sue erudite dissertazioni di erboristeria:
si Baptistam Albertum florentinum una tecum optaveris, enitar ut
adsit: qui tot, talia, tanta proloquatur de architectura, quot, qualia,
quanta solitum esse non ignoras. Is saltem nos ad risum concitabit
relatione virium herbarum, presertim esule lactentis.41
Del resto, a riprova dell’interesse nutrito per tale branca del sapere
suona eloquente la dotta puntualizzazione leggibile in un passo dei
Profugia, ove la capacità di tradurre un riscontro storiografico in un
dettaglio botanico-farmaceutico42 documenta d’altro canto l’attitudine a costruirsi competenze multiple in modo interdisciplinare.43
Alla conoscenza albertiana del trattato De ventis sembrano invece ricondurci più che l’inserzione di Teofrasto nella rassegna di fonti addotte in materia in un luogo del I libro del De re aedificatoria, insieme
ad Ippocrate e a Plinio il Vecchio,44 soprattutto un riscontro dell’ultimo libro sugli austri portatori di umidità:
Causas rei arbitratur Theophrastus, quod Austri tum flarent, qui natura sui hudi et nebulosi sint. Aristoteles asserebat cogi terram, ut vapores emittat, ab ingenito igne, qui visceribus immixtus sit.45
cfr. inoltre A. Colonna, Per una edizione critica del De
causis plantarum di Teofrasto, «Bollettino del Comitato per
la preparazione dell’edizione nazionale dei classici greci e
latini», 14 (1966), pp. 1-12; B. Einarson, The Manuscripts
of Theophrastus’ Historia plantarum, «Classical Philology»,
71 (1976), pp. 67-76: 70, 73; quanto agli interventi del Gaza, autore della versione latina delle due opere teofrastee,
oltre a ivi, p. 73, si veda da ultimo L. Repici, Teodoro Gaza traduttore e interprete di Teofrasto: la ricezione della botanica antica tra Quattro e Cinquecento, «Rinascimento»,
s. II, 43 (2003), pp. 417-505.
40 Si vedano le riprese, già segnalate dagli editori, di
Theophr. Hist. plant. V 1, 1-4; V 5, 6; V 7, 4; V 3, 5; V 6,
1-2; IX 7, 2; V 5, 6; III 2; I 10, 8; III 2, 1; IX 4, rispettivamente in Alberti, De re aedificatoria, II 4 (pp. 111-113); II
5 (p. 117, rr. 8 sgg. e 15 sgg.); II 6 (p. 119); II 6 (p. 121); II 6
(p. 123); II 6 (p. 127); II 7 (p. 131); IX 4 (p. 807); X 6 (p.
907); X 6 (p. 911). Diverso il caso di De re aedificatoria,
VII 3 (pp. 546-548) ove Alberti ricorda Theoprastus sophista a proposito della notizia secondo cui sull’Istmo vi sarebbe stata l’abitudine di sacrificare a Nettuno e al Sole
una formica.
41 Cfr. Giuseppe Zippel, Un umanista in villa, in Id.,
Storia e cultura del Rinascimento italiano, a cura di Gianni Zippel, Padova, Antenore, 1979, pp. 280-287: 286.
42 Cfr. Alberti, Profugiorum ab erumna libri, III, p.
104: «Diodoro, greco istorico, dice trovarsi una certa spezie di farmaco chiamato elena, composto dalla moglie di
Tono medico, qual farmaco spegne le lacrime ed estingue
Purtuttavia, in tale contesto giova rimarcare il rinnovato accenno ad
Aristotele, e in particolare alla dottrina evidentemente ricavata dai Meteorologica, l’opera compresa – come si è visto46 – fra i testi canonici del
curriculum vigente presso la facoltà di Physica dello Studium felsineo, in
verità circolante grazie alla traduzione di Gerardo da Cremona fin dal
xii secolo, apprezzata in ambito fiorentino anche dall’Argiropulo che ad
essa avrebbe dedicato un apposito corso nel 1462,47 e la cui ripresa nel
trattato architettonico albertiano può ipotizzarsi non soltanto nei luoghi in cui risulta più esplicita bensì anche in sezioni a contenuto più
strettamente geografico, di matrice all’apparenza meno sicuramente
identificabile, quale ad esempio un passo del IV libro.48 In quest’ultimo,
tra le numerose ed eterogenee testationes classiche sui mutamenti della
geomorfologia costiera,49 utili per sottolineare i rischi dell’edificazione
urbana in zone litoranee, non possiamo escludere che Battista si avvalesse delle tesi sostenute nei Meteorologica dallo Stagirita, secondo cui il
mare sarebbe avanzato in alcuni luoghi e retrocesso in altri, tanto che le
varie parti della terra non avrebbero conservato stabilmente il loro stato, ma sarebbero state soggette nel tempo a dei mutamenti.50
A fronte di tale ipotesi, che potremmo avanzare anche per il sintetico
riferimento alle teorie dei filosofi sull’alternarsi delle maree,51 va comunque sottolineato che l’approccio albertiano a temi geografico-naturalistici dovette avvalersi non poco della lettura di opere latine di carattere più
genericamente enciclopedico. Fra queste ultime, al di là delle Naturales
quaestiones di Seneca, ben attestate all’epoca ma il cui apporto nell’opera
di Battista pare peraltro difficilmente valutabile in termini puntuali,52 un
posto di primo piano spetta alla Naturalis historia di Plinio il Vecchio, già
il merore» con la ripresa, già identificata dall’editore, di
Diod. Sic. I 97, 7.
43 Indicativo, in tal senso, anche il ricorso, già segnalato dagli editori, ad una fonte tecnica militare, usata tuttavia in chiave botanica, come Vegezio in Alberti, De re
aedificatoria, II 4: «Vegetio scindi arborem placuit a quinta decima usque ad vigesimam secundam lunam; hincque
religionem ortam putat, ut pro aeternitate his tantum
diebus celebrent, quod per eos caesa aeternum durent» (p.
115), per cui cfr. Veg. Milit. IV, 35. Per qualche osservazione sulle attestazioni dell’opera in età umanistica cfr. J.
Wisman, L’Epitoma rei militaris de Végèce et sa fortune au
Moyen Âge, «Moyen Âge», 85 (1979), pp. 13-31; Ph. Richardot, La réception de Végèce dans l’Italie de la Renaissance: entre humanisme et culture technique, in Atti del
XV Congresso Internazionale di Studi Umanistici, «Studi
Umanistici Piceni», 15, 1995, pp. 195-214.
44 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, I 3: «Sed aquilonem inquit Plinius Theophrastum atque Hippocratem
secutus omnium esse ad bonam valitudinem restituendam atque servandam accomodatissimum» (p. 31) e in parallelo Plin. Nat. II 127.
45 Ivi, X 5, p. 899.
46 Si veda supra (testo e n. 24) il riferimento «legatur liber Mathaurorum» compreso nelle prescrizioni degli Statuti bolognesi.
47 Cfr. Garin, Le traduzioni umanistiche di Aristotele,
pp. 85-86, n. 1; nonché Kristeller, Un codice padovano
di Aristotele, p. 341, n. 12.
48 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, IV 2 (pp. 279-281).
49 Per una panoramica sulle fonti classiche, filosofiche
e geografiche, relative all’argomento – fra le quali giova almeno menzionare Strab. XVII C 830 – cfr. I. Mastrorosa, Paesaggio e clima della costa Libyca in Lucano: l’origine delle Sirti in Pharsalia IX, 303-318, in L’Africa romana. Lo spazio marittimo del Mediterraneo occidentale:
geografia storica ed economia, Atti del XIV Convegno di
studio (Sassari, 7-10 dicembre 2000), a cura di M. Khanoussi, P. Ruggeri, C. Vismara, 3 voll., Roma, Carocci, 2002, I, pp. 379-401, cui si rimanda anche per i riscontri sulle attestazioni della tesi della ritrazione delle acque
marine in contesti latini di carattere poetico-didascalico e
di argomento cosmogonico come le Metamorfosi di Ovidio (XV 262-265), o la Chorographia di Pomponio Mela
(I 27; 32), noti allo stesso Alberti: cfr. infra, n. 63 e testo
per la ripresa di quest’ultimo in Theogenius, II (Alberti,
Opere volgari, II, p. 88, rr. 23-25).
50 Cfr. Arist. Meteor. I 14, 353a 23-26.
51 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, X 3: «Non illa philosophantium hic prosequar, petantne aquae mare quasi
quietis locum, radione fiat lunae, ut mare momentis augeatur vicissimque diminuatur» (p. 887).
52 A titolo d’esempio, sono interessanti gli inserti dedicati alle teorie antiche sul ciclo di formazione delle precipitazioni piovose, nonché sulle esalazioni in rapporto al
calore solare in Alberti, De re aedificatoria, I 3 (p. 27); X
1 (p. 877), per la cui matrice si può rimandare anche alla
lettura di Sen. Nat. quaest. II 14, 4 (a sua volta esplicita137
ida mastrorosa
oggetto da parte di Guarino di un’edizione completata nel 1433, poi rivista nel 1469, largamente apprezzata dagli umanisti della sua generazione,53 come dimostra e.g. anche la circolazione del Regius antiquus, destinato a giungere sul finire del xv secolo fra le mani di Angelo Poliziano.54
Nel dettaglio, ben oltre gli intarsi utili a documentare il forte debito
contratto da Battista con la sezione antropologica del VII libro dell’opera, sovente ripresa ad unguem nel Theogenius, i riscontri più specificamente attinenti alle scienze naturali, vale a dire di contenuto riconducibile agli ambiti agronomico-botanico, medico o ancora mineralogico, disseminati in contesti tecnici come il De re aedificatoria, ma non
assenti neppure nel dialogo sopra menzionato, ci consentono di comprendere quanta dimestichezza egli potesse aver acquistato nella lettura di quel codice di Plinio ancora in suo possesso in punto di morte, un
esemplare di valore tutt’altro che disprezzabile se egli volle riservarne il
legato ad uno dei suoi congiunti più cari secondo la preziosa notizia offertaci dal suo testamento, redatto in data 25 aprile 1472:
Item reliquit testator pro eius anime salute unum Plineum ipsius
testatoris Johanni filio Francisci Altiblanci de Albertis supradicto.55
2. Lui geometra, lui aritmetico, lui astrologo, lui musico:
le scienze del quadrivio
Cionondimeno, ad incrementare gli interessi scientifico-geografici di
Alberti e ad affinarne il gusto per dettagli di carattere etnografico, cermente tributario in parte di Arist. Meteor. II 9, 369a 1320). Sulla circolazione umanistica dell’opera – peraltro
nota a Gasparino Barzizza (cfr. L.A. Panizza, Gasparino
Barzizza’s Commentaries on Seneca’s Letters, «Traditio», 33,
1977, pp. 297-358: 347) da cui potrebbe esserne derivata almeno la conoscenza ad Alberti – cfr. F. Stok, La discreta
fortuna delle Naturales Quaestiones, «Giornale Italiano di
Filologia», 52 (2000), pp. 349-373: 360 sgg.
53 Sulla circolazione umanistica dell’opera pliniana,
particolarmente ambita e non facilmente reperibile (cfr.
Mancini, Vita di Leon Battista Alberti, p. 333, n. 3), si vedano R. Sabbadini, Le edizioni quattrocentistiche della S.
N. di Plinio, «Studi Italiani di Filologia Classica», 8 (1900),
pp. 439-448; Id., Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV. Nuove ricerche, col riassunto filologico dei due
volumi, Firenze 1914, rist. anast. Firenze, Sansoni, 1967,
pp. 241-242; Ch.G. Nauert Jr., C. Plinius Secundus (Naturalis Historia), in Catalogus Translationum et Commentariorum, IV (1980), pp. 297-422; L.D. Reynolds, The Elder Pliny, in Texts and Transmission. A Survey of the Latin
Classics, edited by L.D. Reynolds et al., Oxford, Clarendon Press, corrected reprint, 1983, pp. 307-316.
54 Cfr. H. Walter, La vicenda del Regius antiquus di
Angelo Poliziano (Bodl. Auct. T.1. 27/Par. Lat. 6798) e un
presunto commentario di Guillaume Pellicier alla Storia naturale di Plinio il Vecchio (Par. lat. 6808), in Poliziano nel
suo tempo, Atti del VI Convegno internazionale (Chianciano-Montepulciano, 18-21 luglio 1994), a cura di L. Secchi Tarugi, Firenze, F. Cesati, 1996, pp. 387-409: 391.
55 Cfr. G. Mancini, Il testamento di L.B. Alberti, «Archivio Storico Italiano», 72 (1914), pp. 20-52, part. 47-52
(la citazione a p. 48).
138
tamente coltivato anche grazie alla lettura di Solino,56 dovette altresì
contribuire la disponibilità di due fonti tecniche come la Geographia
di Strabone e la Chorographia di Pomponio Mela.
Quanto alla prima, basterà considerare il sintetico apprezzamento
riservatogli in un passo del X libro del De re aedificatoria e la puntualità di ulteriori citazioni57 per indurci a includere Battista nel novero di
dotti umanisti come Filelfo, Tortelli, Pletone, nonché Bessarione, interessati a procurarsi una copia dell’opera del geografo di Amasea,58 di
cui l’Aurispa in occasione del suo secondo viaggio di ritorno dalla Grecia aveva assicurato la circolazione in Italia fin dalla metà degli anni
venti59 e della quale Guarino, dal canto suo, poteva disporre fin dal
1451, così da intraprenderne negli anni successivi, su incarico di Niccolò V, la traduzione, completata dopo alterne vicende il 13 luglio 1456,
in verità condotta in parallelo all’analoga iniziativa del Tifernate.60
L’interesse per osservazioni ascrivibili alla più specifica branca della
geomorfologia ci aiuta d’altra parte a comprendere anche l’origine di
una citazione di Mela, chiamato in causa nel II libro del Theogenius innanzitutto per sottolineare l’impeto straordinario della natura documentato dalla presenza di resti marini in aree lontane dalla costa, indizio di un perenne trasmutare del litorale, non a caso anticipato da
un analogo riscontro esplicitamente accreditato alla tradizione poetica,61 quindi seguito da un riferimento ad Erodoto,62 grazie ad un assemblaggio dotto quanto indicativo della capacità di mettere a frutto
schede tematiche ricavate dalla lettura di fonti eterogenee:
56 Cfr. Alberti, Profugiorum ab erumna libri, I, p. 40, rr.
20-21; II, p. 59, rr. 18-20 e in parallelo, secondo le indicazioni dell’editore, Solin. 19, 11; 1, 99. Sulla diffusione umanistica dell’opera, ampiamente nota anche in età medievale,
cfr. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci […] Nuove ricerche, p. 252; R.H. Rouse, Solinus, in Texts and Transmission, pp. 391-393. Quanto all’esemplare dei Collectanea
rerum memorabilium appartenuto al Salutati e poi al Niccoli, per cui si veda il ms. Biblioteca Medicea Laurenziana, San
Marco 209, cfr. Ullman-Stadter, The Public Library of Renaissance Florence, pp. 66; 98, n. 4; 223, nr. 845; 285, nr.
M258; nonché Firenze e la scoperta dell’America. Umanesimo
e geografia nel ’400 fiorentino, catalogo [della mostra (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 1992)], a cura di S.
Gentile, Firenze, Olschki, 1992, nr. 28, pp. 60-61.
57 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, X 3: «mirabileque
in montibus Armeniae quod scribit Strabo sane gravis auctor» (p. 891); nonché le ulteriori riprese del geografo, già
identificate dagli editori ivi, II 7 (p. 133); IV 2 (pp. 275, 281);
VII 3 (p. 545); VIII 2 (p. 677); X 1 (p. 879); X 15 (p. 983).
58 Sugli interessi straboniani del Bessarione si vedano
E. Mioni, I manoscritti di Strabone della Biblioteca Marciana di Venezia, in Bisanzio e l’Italia. Raccolta di studi in
memoria di Agostino Pertusi, Milano, Vita e pensiero,
1982, pp. 260-273; M. Cortesi, Umanesimo greco, in Lo
spazio letterario del Medioevo. I. Il medioevo latino, sotto
la direzione di G. Cavallo, C. Leonardi, E. Menestò,
5 voll. in 6 tomi, Roma, Salerno, 1992-1998, III, La ricezione del testo (1995), pp. 457-507: 497.
59 Cfr. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci,
pp. 47, 247; Franceschini, Giovanni Aurispa e la sua biblioteca, p. 113, n. 309; nonché A. Diller, The Textual Tra-
dition of Strabo’s Geography, Amsterdam, A.M. Hakkert,
1975, pp. 100-102.
60 Sull’impegno straboniano di Guarino si veda R. Sabbadini, La scuola e gli studi di Guarino Guarini Veronese,
con 44 documenti, Catania, Tip. F. Galati, 1896, rist. anast. in Guariniana: 1, Vita di Guarino veronese, 2, La scuola
e gli studi di Guarino veronese, a cura di M. Sancipriano,
Torino, Bottega d’Erasmo, Torino 1964, pp. 126-130; F.
Sbordone, La tradizione umanistica della Geografia di
Strabone, «Bollettino del Comitato per la preparazione dell’edizione nazionale dei classici greci e latini», 9 (1961), pp.
11-32; E.B. Fryde, The Historical Interests of Guarino of Verona and His Translation of Strabo’s Geography, in Id., Humanism and Renaissance Historiography, London, Hambledon Press, 1983, pp. 55-82: 72-83; G. Aujac, La géographie
grecque durant le Quattrocento: l’exemple de Strabon, «Geographia antiqua», 2 (1993), pp. 147-161: 154 sgg.; quanto alla traduzione del Tifernate, si veda ivi, pp. 159 sgg.
61 Cfr. Alberti, Theogenius, in Id., Opere volgari, II, l.
II, p. 88, rr. 17-20: «Notissima istoria della natura presso
di tutti e’ poeti, Sicilia un tempo essere stata iunta e continente con Italia, quale ora Silla e Carriddi, monstri immanissimi, tengono divisa et segiunta», ove è verosimile
il ricorso non già alla tradizione tecnico-geografica, bensì ai riscontri di Verg. Aen. III 414-419, Ov. Met. XV 290292, o perfino all’osservazione già focalizzata sulla matrice poetica del dato offerta da Sen. Nat. quaest. VI 30, 3:
«sic per hanc inundationem, quam poetarum maximi celebrant, ab Italia Sicilia reiecta est».
62 Cfr. Alberti, Theogenius, l. II, p. 88, rr. 25-27: «Erodoto istorico affermava el mare già tempo essere stato sopra Memfi, sopra sino a’ monti di Etiopia, qual terra ora
alberti e il sapere scientifico antico: fra i meandri di una biblioteca interdisciplinare
Racconta Pomponio Mela una regione oltre al fiume Nabar lungi da
ogni mare trovarvisi grandissime spine di pesci e molta copia d’ostree
e non raro qualche ancore.63
Cfr. Mela I 26-27:
deinde Icosium Ruthisia urbes, effluentes inter eas Aucus et Nabar
aliaque quae taceri nullum rerum famaeve dispendium est. Interius
et longe satis a litore, si fidem res capit, mirum ad modum spinae
piscium, muricum ostrearumque fragmenta, saxa adtrita, uti solent,
fluctibus et non differentia marinis, infixae cautibus anchorae, et alia eiusmodi signa atque vestigia effusi olim usque ad ea loca pelagi,
in campis nihil alentibus esse invenirique narrantur.
Nel complesso, a fronte di tale passo e del ricorso a Mela anche per
riscontri di carattere etnografico – fra cui oltre ad un accenno dei Libri della famiglia64 va annoverato quello relativo all’intemperanza di talune popolazioni etiopiche, insofferenti all’eccessiva calura del sole,65
scoperta forse troppo rimase arrida» da leggersi sulla scorta di Hdt. Hist. II 12, ove lo storico accoglie la tesi di quanti avrebbero sostenuto che l’Egitto fosse un tempo un’insenatura marina dopo aver rilevato la presenza di conchiglie sui monti.
63 Alberti, Theogenius, l. II, p. 88, rr. 23-25.
64 Cfr. Alberti, I libri della famiglia, in Id., Opere volgari, I, l. IV, p. 268, rr. 20-24: «Pomponio Mela racconta
alle fini di Egitto presso quella gente detta Esfoge, come
da innata e naturale inimicizia convenirvi numero d’uccegli chiamati ibides ad inimicare e combattere contra la
moltitudine de’ serpenti quale ivi inabita» per cui si veda
Mela III 71: «sunt multa volucrum multa serpentium genera: de serpentibus memorandi maxime, quos parvos
admodum et veneni praesentis certo anni tempore ex limo concretarum paludium emergere, in magno examine
volantes Aegyptum tendere, atque in ipso introitu finium
ab avibus quas ibidas appellant adverso agmine excipi pugnaque confici traditum est».
65 Si veda Alberti, Theogenius, l. II, p. 97, rr. 19-22:
«Recita Pomponio Mela ch’e’ populi atlanti in Etiopia arsi dal caldo, quasi come capitale e troppo acceso inimico,
ove nulla altro contro a lui possono, sera e mattina biastemmano el sole. Più certo loro quella perturbazion d’animo nuoce che al sole», per cui cfr. Mela I 37: «Ex his qui
ultra deserta esse memorantur Atlantes solem exsecrantur
et dum oritur et dum occidit ut ipsis agrisque pestiferum».
66 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, I 3: «Solem Garamantes orientem et occidentem execrantur, quod nimia
radii assiduitate urantur» (p. 29). Il rimando esplicito a
Mela nel passo del Theogenius citato supra, n. 65, induce
a ipotizzare che l’estensione albertiana dell’usanza dagli
Atlantes ai Garamantes nel luogo del trattato architettonico sia un fraintendimento del testo del geografo latino,
piuttosto che di Plin. Nat. V 45 (pur coerente con lo stesso nell’attribuzione agli Atlantes), secondo la proposta
avanzata invece da Orlandi-Portoghesi, loc. cit.
67 Sulle attestazioni medievali dell’opera cfr. M.E. Milham, Mela, Pomponius, in Catalogus Translationum et
in verità parallelo ad un più anonimo inserto del De re aedificatoria
concernente l’analogo atteggiamento attestato presso i Garamanti66 –
pare lecito ipotizzare che anche Alberti rientrasse fra la cerchia di umanisti che ebbero comunque accesso all’opera del geografo latino fra
gli anni trenta e quaranta del xv secolo.
Sebbene non ignota in età medievale, nonché apprezzata da Petrarca
e Boccaccio,67 quindi dal Salutati68 e più tardi dal Decembrio e nel contesto del Concilio di Costanza ove ne avrebbe commissionato una copia il cardinale Guillaume Fillastre,69 la Chorographia conobbe, infatti,
proprio all’epoca un incremento di propagazione70 ricavabile anche dal
buon numero di esemplari conservati nella Biblioteca Laurenziana,71 fra
i quali quello appartenuto al Niccoli,72 secondo una tendenza d’altra
parte destinata a protrarsi anche dopo l’editio princeps del 1471.
Cultore di una scienza geografica concepita senza cesure nella sua
prospettiva cosmologica, fisica e umana, scandita da aperture di taglio
aneddotico di matrice enciclopedica,73 dall’adesione all’antica teoria
del geodeterminismo climatico,74 e talvolta perfino dal gusto per dettagli numerici come il dato sulla lunghezza della circonferenza terre-
Commentariorum, V (1984), pp. 257-285: 258; P. Parroni,
Introduzione, in Pomponii Melae De Chorographia Libri
tres, introduzione, edizione critica e commento a cura di
P. Parroni, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1984,
pp. 47-48; C.M. Gormley, M.A. Rouse, R.H. Rouse,
The Medieval Circulation of the De Chorographia of Pomponius Mela, «Mediaeval Studies», 46 (1984), pp. 266-320:
302 sgg.; 305-307 sgg. per i riscontri in Petrarca e Boccaccio, su cui si veda pure G. Billanovich, Dall’antica Ravenna alle biblioteche umanistiche, «Università Cattolica
del Sacro Cuore. Annuario», a.a. 1955-1957, pp. 71-107: 104
sgg.; nonché M. Milanesi, La rinascita della geografia dell’Europa. 1350-1480, in Europa e Mediterraneo tra Medioevo e prima Età Moderna: l’osservatorio italiano, relazioni
presentate al III Convegno del Centro di Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo (San Miniato, 1990), a cura di
S. Gensini, Pisa, Pacini, 1992, pp. 35-59: 46-48; M. Pastore Stocchi, La cultura geografica dell’Umanesimo, in
G. Aujac et al., Optima hereditas: sapienza giuridica romana e conoscenza dell’ecumene, Milano, Libri Scheiwiller,
1992, pp. 562-586: 577-579.
68 Cfr. il ms. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana,
30. 21, per cui si veda Firenze e la scoperta dell’America, nr.
17, pp. 44-46.
69 Per il Decembrio cfr. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci, pp. 205 sgg.; Parroni, Introduzione, in
Pomponii Melae De Chorographia, p. 48, cui si rimanda
anche per le indicazioni concernenti la copia commissionata dal Fillastre, l’attuale ms. 1321 della Biblioteca Municipale di Reims, su cui si veda inoltre Milham, Mela,
Pomponius, p. 265; Milanesi, La rinascita della geografia
dell’Europa, p. 36.
70 Sulla fortuna goduta dall’opera di Mela nel xv secolo cfr. Milham, Mela, Pomponius, pp. 259 sgg.; Parroni,
Introduzione, in Pomponii Melae De Chorographia, pp.
48-49; G. Ragone, Umanesimo e “filologia geografica”: Ciriaco d’Ancona sulle orme di Pomponio Mela, «Geographia
antiqua», 3-4 (1994-1995), pp. 109-173: 115 sgg., con ulteriori indicazioni bibliografiche.
71 Oltre all’indicazione fornita supra, n. 68, nonché infra, n. 72, si veda l’elenco in Pomponii Melae De Chorographia, pp. 62-64.
72 Cfr. il ms. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana,
San Marco 341, su cui si veda Ullman-Stadter, The Public
Library of Renaissance Florence, pp. 67, 217, nr. 797, 286, nr.
M266, nonché Firenze e la scoperta dell’America, p. 47, nr. 18.
73 Cfr. Alberti, Theogenius, l. I, p. 75, rr. 13-18: «Vorrebbesi che la natura v’avesse fatti, qual scrive Ifigenio e
Ninfodoro, simili a quelli pestiferi uomini quali nati in
Affrica fascinano erbe, arbori, fanciugli e tutti gli animali, per modo che ciò che troppo lodino muore e seccasi.
Gioverebbevi ancora essere simili a quelli Illirici e Treballi, quali subito uccidono guardando irati fermo chi si
sia», verosimilmente mutuato da Plin. Nat. VII 16: «in
eadem Africa familias quasdam effascinantium Isigonus
et Nymphodorus, quorum laudatione intereant probata,
arescant arbores, emoriantur infantes. Esse eiusdem generis in Triballis et Illyris adicit Isigonus, qui visu quoque
effascinent interemantque quos diutius intueantur, iratis
praecipue oculis, quod eorum malum facilius sentire puberes». Di analogo tenore etnografico può del resto considerarsi l’accenno in Alberti, Theogenius, l. II, p. 97, rr.
23-25: «E recita Aulo Gelio di que’ populi chiamati Psiles,
quali irati sé opposero coll’arme al vento austro quale
commossa in loro molta rena gli sommerse», derivato tuttavia da una fonte antiquaria: cfr. Gell. XVI 11, 6-7 e in
proposito I. Mastrorosa, Alberti e la tradizione memorialistico-antiquaria antica: Valerio Massimo e Gellio, in
Alberti e la tradizione. Per uno “smontaggio” dei “mosaici”
albertiani, Atti del Convegno internazionale di studi
(Arezzo, 23-25 settembre 2004), in c.d.s.
74 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, I 3: «Tum et quantam habeat caelum in gignendis producendis alendisque
servandisque rebus vim, quis est quem id fugiat? Quando
et prestare ingenio eos intelligas homines, qui caelo fruantur puriore, quam eos qui crasso et madenti» (p. 25); di
analogo tenore risulta inoltre la ripresa di Diod. Sic. II
36, 1 in De re aedificatoria, IV 1: «Indiam inquit Diodorus
139
ida mastrorosa
stre corrispondente a 252.000 stadi,75 Alberti non volle trascurare neppure la disciplina ad essa più contigua, vale a dire l’astronomia.
Per quest’ultima, cui avrebbe potuto accostarsi anche grazie ai codici della Geographia di Tolemeo,76 ben circolante all’epoca, o ai modelli planetari pur sinteticamente ricordati,77 egli dovette avvalersi non
soltanto delle notizie assunte dai trattati aristotelici sopra menzionati,
bensì della tradizione latina, a cominciare da Manilio, tornato a circolare per merito di Poggio Bracciolini,78 del quale non mancano precise
tracce nei dialoghi volgari, già da tempo segnalate dagli editori o dai
commentatori.79 Purtuttavia, a fronte di un debito probabilmente contratto soprattutto in chiave filosofica, secondo quanto sembra documentare il tenore argomentativo di queste ultime citazioni, appare più
tecnicamente significativo il nucleo di nozioni derivato a Battista dalla lettura di due fonti più direttamente ascrivibili al filone della scienza astronomica come Censorino e Firmico Materno.
Quanto al primo, già noto al Petrarca, nonché attestato presso alcuni
umanisti nei primi decenni del xv secolo, sebbene non facilmente reperibile,80 merita di essere segnalata l’esplicita menzione e la relativa citazione in un passo del IV libro del De re aedificatoria di un luogo del De
die natali chiamato in causa subito dopo un accenno alla prassi antica di
trarre presagi, a proposito del costume etrusco di inferire notizie sulla
sorte delle città fin dal giorno della loro fondazione e in particolare sull’uso di ricavarle non dall’osservazione del cielo bensì dai fatti terreni:
Sic eos scripsisse meminit Censorinus: Quo die urbes constituantur,
de his qui eo die nati sunt, qui diutissime vixerint, die mortis suae pri-
multa ex parte habere homines proceros et validos ingenioque praeditos acri, quod aerem ducant purum et aquas
saluberrimas bibant» (p. 39). Riscontri sulle attestazioni
classiche di tale dottrina si leggono in Arist. Pol. VII 7,
1327b 18-36; Vitr. I 1, 3-12; per qualche approfondimento sul tema si vedano M. Pinna, La teoria dei climi. Una
falsa dottrina che non muta da Ippocrate a Hegel, Roma,
Società Geografica Italiana, 1988, pp. 17-97; G. Panessa,
Fonti greche e latine per la storia dell’ambiente e del clima
nel mondo greco, 2 voll., Pisa, Scuola Normale Superiore,
1991, I, pp. 123-153.
75 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, X 7: «et constare
quidem maximum terrae ambitum stadia esse […]» (p.
919), ove, nonostante gli editori, sospettandovi «un’aggiunta posteriore», abbiano preferito omettere la cifra
252.000 riportata dal codice V, indicata in numeri arabi
(come del resto, anche in un’aggiunta manoscritta della
copia del codice F) contrariamente all’uso albertiano, va
comunque registrato, come elemento incontrovertibile e
utile ai nostri fini, l’interesse dell’umanista ad inserire un
dettaglio di contenuto astronomico, peraltro ampiamente attestato presso le fonti antiche, che accreditano precisamente ad Eratostene di Cirene (iii sec. a.C.) la misurazione della circonferenza terrestre, nonché la relativa indicazione numerica ripresa nei codici sopra ricordati del
trattato albertiano: cfr. Vitr. I 6, 9; Plin. Nat. II 247;
Censorin. 13, 2; nonché Cleom. Cycl. theor. I 10, 1, pp.
90, 20-92, 3; I 10, 5, p. 100, 23-5; II 1, 18, pp. 146, 27-148,
1; Strab. II 113 e 132.
140
mi saeculi modulum finire; eoque die qui essent reliqui in civitate, de
his rursum eius mortem, qui longissimam egisset aetatem, finem esse
saeculi secundi; sic deinceps tempus reliquorum terminari; mitti a diis
portenta, quibus admoneremur quodque saeculum esse finitum.81
Cfr. Censorin. Die nat. 17, 5:
Quo die urbes adque civitates constituerentur, de his, qui eo die nati essent, eum, qui diutissime vixisset, die mortis suae primi saeculi
modulum finire, eoque die qui essent reliqui in civitate, de his rursum eius mortem, qui longissimam egisset aetatem, finem esse saeculi secundi. Sic deinceps tempus reliquorum terminari. Sed ea quod
ignorarent homines, portenta mitti divinitus, quibus admonerentur
unum quodque saeculum esse finitum.
Seppur nell’alveo di un interesse probabilmente influenzato, almeno
a livello paradigmatico, anche dall’esempio di Vitruvio, dal canto suo
non alieno dal concedere spazio ad un excursus astronomico-astrologico in De architectura IX 1-6, la conoscenza albertiana dell’operetta di
Censorino specificamente dedicata alla trattazione delle diverse età dell’uomo, comprensiva di un’accurata rassegna sulla classificazione astronomica del tempo e sulle distinzioni introdotte dalla prassi civile, può
considerarsi un’ulteriore conferma di un gusto erudito, incline a valorizzare testi non ampiamente circolanti. Ciò detto, non può stupire che
l’umanista potesse appassionarsi anche alla lettura dei Matheseos libri di
Firmico Materno, un’altra fonte piuttosto peregrina82 ma certamente
76 Come è noto, la traduzione dell’opera, portata a Firenze dal Crisolora, fu opera fra il 1406 e il 1410 del suo allievo Jacopo Angeli da Scarperia: per qualche approfondimento, oltre a R. Weiss, Jacopo Angeli da Scarperia, in
Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di Bruno Nardi, 2
voll., Firenze, Sansoni, 1955, II, pp. 801-827, cfr. J. Hankins, Ptolemy’s Geography in the Renaissance, in The Marks
in the Fields. Essays in the Uses of Manuscripts, catalogue to
accompany the exhibition in honor of the Houghton Library’s 50th birthday, edited by R.G. Dennis with E. Falsey, Cambridge, Mass., Houghton Library, 1992, pp. 118127; S. Gentile, Emanuele Crisolora e la “Geographia” di
Tolomeo, in Dotti bizantini e libri greci nell’Italia del secolo XV, Atti del Convegno internazionale (Trento, 22-23 ottobre 1990), a cura di M. Cortesi e E.V. Maltese, Napoli, D’Auria, 1992, pp. 291-308. Sulla conoscenza albertiana dell’opera geografica tolemaica ricavabile dal De pictura si veda in particolare Firenze e la scoperta dell’America,
nr. 77, pp. 158-160.
77 Si veda l’accenno ai planetari di Posidonio e Aristarco, destinati a trovar posto nelle biblioteche in Alberti,
De re aedificatoria, VIII 9: «Ornamento etiam erunt mathematica instrumenta cum caetera tum iis similia, quae
fecisse Possidonium ferunt, in quibus septem planetae
propriis motibus movebantur; quale etiam illud Aristarchi, qui in tabula ferrea orbis descriptionem et provincias
habuisse praedicant artificio eleganti» (pp. 767-769).
78 Sulla circolazione umanistica di Manilio cfr. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci, p. 80; Id., Le sco-
perte dei codici latini e greci […] Nuove ricerche, pp. 192;
234; nonché M.D. Reeve, Manilius, in Texts and Transmission, pp. 235-238; A. Maranini, Filologia fantastica.
Manilio e i suoi “Astronomica”, Bologna, Il Mulino, 1994,
pp. 117 sgg.; per le riprese di Alberti pp. 174-175.
79 Cfr. Alberti, Theogenius, l. II, p. 88, rr. 2-8; p. 101,
rr. 18-20; e in parallelo rispettivamente Manil. III 530532; IV, 16; nonché Alberti, Profugiorum ab erumna libri, I, p. 27, rr. 17-20 e in parallelo Manil. I 80-81. Quanto alla citazione del medesimo autore in Alberti, Profugiorum ab erumna libri, II, p. 73, rr. 10-11, il luogo indicato
non appare ascrivibile a Manilio, bensì a Verg. Aen. II
402, secondo l’osservazione già avanzata, sulla scorta del
Bonucci, dal Ponte, loc. cit.
80 Per la presenza del testo presso il Petrarca, e poi l’aretino Giovanni Corvini, nonché l’arcivescovo di Milano,
Capra, nel 1423, e il Decembrio nel 1451 cfr. Sabbadini, Le
scoperte dei codici latini e greci, pp. 25-26, 74, 101-104, 205.
Sulla sua attestazione in età umanistica si veda inoltre Id.,
Le scoperte dei codici latini e greci […] Nuove ricerche, p.
208; nonché R.H. Rouse, R.M. Thomson, Censorinus, in
Texts and Transmission, pp. 48-50.
81 Alberti, De re aedificatoria, IV 3 (p. 293).
82 Del possesso di una copia da parte di Vittorino da Feltre offre notizia nel 1433 Ambrogio Traversari: «Vidi […]
Iulii item Firmici Matheseos libros octo, quos trascribi accuratissime iussi» (Epist. VIII, 51); ciononostante, occorre
notare che dell’opera non rimane traccia nell’elenco dei libri consegnati dal maestro feltrino all’allievo Gian Pietro
alberti e il sapere scientifico antico: fra i meandri di una biblioteca interdisciplinare
utile ad acquisire le riflessioni degli antichi sul fluire ininterrotto ma ordinato del tempo, come dimostra anche la tessera offertaci da un luogo
del II libro del De re aedificatoria. In tale contesto, l’umanista, persuaso dell’opportunità di intraprendere ciascun lavoro previa un’accurata
valutazione del momento più idoneo, nonché pronto a leggere nella fase d’inizio di qualunque opera quasi una sorta di ingresso della materia
nel novero delle cose esistenti, non esita ad accogliere la lezione dei classici sull’ordine fatale che sovraintende alla successione degli eventi, cui
l’uomo è di fatto chiamato a conformarsi tramite l’ausilio di discipline
riconducibili alla sfera sacra della divinazione. In quest’ottica, accanto
alla menzione di Lucio Taruzio, il matematico-astrologo artefice in età
ciceroniana del calcolo della fondazione di Roma sulla base delle osservazioni di avvenimenti fatali, trova spazio la testimonianza di Materno
su talune celebri figure religiose cui gli antichi avrebbero accreditato il
calcolo della data di nascita del mondo:
At sunt qui admonent bonis initiis inchoandam esse aedificationem:
permaximi quidem interesse, quo quidque temporis momento in rerum praesentium numero esse occeperit. Lutius Tarutius urbis Romae natalem diem adinvenisse fortunae successibus annotatis praedicatur; tantamque habere vim ad res futuras ipsum hoc initii momentum putarunt sapientissimi veteres, ut fuisse Iulius Firmicus
Maternus referat, qui mundi genituram ex rerum eventibus compertam fecerint, ac de ea re accuratissime scripserint. Nanque Esculapius Hanubiusque et istos secuti Petosiris et Necepso sic fuisse hanc
affirmant: surgente ab orizonte cancro et luna ex dimidio, sole in leone, Saturno in capricornio, Iove in sagittario, Marte in scorpione,
Venere in libra, Mercurio in virgine. Et profecto tempora, si recte interpretamur, plurimum plerisque in rebus possunt.83
Cfr. Firm. Math. III, Praef. 4; 1:
Quare illi divini viri atque omni admiratione digni Petosiris et Nechepso, quorum prudentia ad ipsa secreta divinitatis accessit, etiam mundi
genituram divino nobis scientiae magisterio tradiderunt, ut ostenderent atque monstrarent hominem ad naturam mundi similitudinemque formatum isdem principiis, quibus ipse mundus regitur et continetur, perenniter perpetuitatis sustentari fomitibus. Mundi itaque genituram hanc esse voluerunt secuti Aesculapium et Hanubium, quibus
da Lucca, riportato in Cortesi, Libri e vicende di Vittorino da Feltre, pp. 88-95. Di un esemplare prezioso, donato
al re di Napoli nel 1454, sarebbe stato in possesso anche
l’Aurispa: cfr. Franceschini, Giovanni Aurispa e la sua biblioteca, p. 49, n. 162. Ma sulla scarsa circolazione del testo
si veda Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci […]
Nuove ricerche, p. 281; Id., Storia e critica di testi latini, Padova 19712, pp. 210-211.
83 Alberti, De re aedificatoria, II 13 (p. 167).
84 Cfr. qui R. Cardini, Alberti e l’astrologia.
85 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, II 4: «Astronomi affirmant non defuturam animo tristitiam, si capillum aut
unguem secueris luna oppressa maleque affecta» (p. 113).
86 Cfr. ivi, II 4, p. 115: «Huius rei rationem astronomi
potentissimum Mercurii numen istius scientiae secreta commisit.
Constituerunt Solem in Leonis parte XV., Lunam in Cancri parte XV.,
Saturnum in Capricorni parte XV., <Iovem in Sagittarii parte XV.,
Martem in Scorpionis parte XV.,> Venerem in Librae parte XV., Mercurium in Virginis parte XV., horam in Cancri parte XV.
A fronte di precise testimonianze come quelle sopra menzionate,
certamente indicative della varietà e del livello tecnico che dovettero
caratterizzare anche le cognizioni albertiane d’argomento astronomico-astrologico,84 non va comunque trascurato il contributo probabilmente derivatogli da ulteriori letture destinate a tradursi in semplici
tessere anonime: in tal senso, basti considerare a titolo esemplificativo
l’accenno inserito in un passo del II libro del De re aedificatoria, ove
Alberti, evidentemente consapevole degli effetti prodotti sulla natura
dalla evoluzione astronomica dell’anno, e in particolare dell’opportunità di tenerne conto nei lavori agricoli, preferisce corroborare le indicazioni di Vitruvio sulla stagione più adatta a far legna non soltanto
con i precetti specifici di fonti come Esiodo, Catone, Varrone, o ancora Vegezio e Plinio il Vecchio, bensì con quelle degli astronomi, ricordati a proposito degli effetti prodotti dalla luna su taluni stati d’animo umani,85 e più specificamente dell’influsso da essa esercitato sugli umori presenti in tutte le cose, indotti a ritrarsi fin nelle radici più
profonde così da rendere più puro il legno.86
Cionondimeno, occorre sottolineare che la frequentazione di fonti
astronomiche e astrologiche, quasi certamente incrementata anche per
effetto dell’amicizia col Toscanelli,87 era destinata a coesistere in Battista con l’atteggiamento cauto e prudente dello “scienziato”, incline ad
esprimere una lucida ritrosia verso gli studia rivolti al cielo o alle discipline alchemiche,88 a negare credito a quanti dediti all’osservazione
degli astri e delle stagioni ritenessero di poter stabilire con sicurezza il
destino delle cose, eppur propenso a prestar fede a coloro che proprio
sulla scorta degli indizi celesti ammettevano l’influsso degli astri in taluni periodi:
Etenim praedicendis rebus futuris prudentiam doctrinae et ingenium artibus divinationum coniungebat.89
Auspiciis item et servato caelo regionis futuram fortunam indagasse
prudentis et bene consulti esse affirmant. Quas ego artes, modo cum
esse praedicant, quod vi lunae omnis rerum umor commoveatur; ergo humore lunam versus ad ultimas radicis fibras aut retracto aut destituto caetera materies perpurgatior relinquitur».
87 Dedicatario delle Intercenales, nonché ricordato nell’Autobiografia, p. 76, rr. 17-18, il Toscanelli ebbe stretta
consuetudine d’amicizia con Alberti, cui dovette esternare
non poche delle sue riflessioni astrologiche, secondo quanto sottolineato più tardi da Lucio Bellanti nel suo De astrologica veritate. Responsiones in disputationes Johannis Pici
adversus astrologicam veritatem, ripreso in E. Garin, Ritratto di Paolo dal Pozzo Toscanelli, «Belfagor», 12 (1957),
pp. 241-257: 244, n. 3: «vir prudentissimus, illam non vulgo exponebat, amicis tamen animi secreta aperiens, quae-
cumque cognoscebat futura praedicebat […] quod Baptista Albertus Florentinus, Pauli familiarissimus, scriptor
quidem inter primos nostri temporis in opere suo de architectura saepe testatur». Parimenti indicativo l’accenno
a conversazioni analoghe fra i due ricavabile da una lettera
del 1464 del Regiomontano: «Magistrum Paulum et dominum Baptistam de Albertis sepe audivi dicentes se diligenter observasse»; cfr. P.L. Rose, Humanist Culture and
Renaissance Mathematics. The Italian Libraries of the Quattrocento, «Studies in the Renaissance», 20 (1973), pp. 46105: 62; Firenze e la scoperta dell’America, p. 160.
88 Cfr. Alberti, De iciarchia, l. II, p. 243, rr. 10-19.
89 Fubini-Menci Gallorini, L’autobiografia, p.76,
rr. 16-17.
141
ida mastrorosa
religione conveniant, minime aspernandas duco. Quis id negabit,
quicquid id ipsum sit, quod fortunam nuncupant, in rebus hominum valere plurimum? Ne vero affirmabimus publicam urbis Romae fortunam ad propagandum imperium valuisse non plurimum.90
Lettore dell’antico corpus bizantino di Ermete Trismegisto, o almeno
dell’Asclepius, come sembra testimoniare una tessera dei Profugia probabilmente ricavata dall’operetta,91 in verità sfruttata anche in un luogo del
De pictura,92 ma al contempo ispirato da una razionalità che lo induceva a stigmatizzare l’uso antico di ricorrere ad auguria, auspicia, formule
propiziatorie, Alberti non rinunciava a proporre un chiaro ripudio di
credenze superstiziose, limitandosi a suggerire, piuttosto, nel caso dell’esercizio dell’architettura, una semplice invocazione della benevolenza
divina a supporto d’ogni attività di edificazione e a beneficio dell’artefice e dei suoi congiunti, ancora una volta sulla scia dell’uso antico:
Ergo purificato animo et sancte pieque adorato sacrificio inchoari
tantam rem perplacebit, his maxime habitis precibus ad superos, quibus poscatur, ut opem auxiliumque praebeant operi et faveant caeptis, quoad fauste feliciter prospereque eveniat res, sitque longa cum
sua suorumque hospitumque salute et salubritate, cum rerum firmitate animi aequabilitate fortunarum incremento et industriae fructu
et gloriae propagatione bonorumque omnium perhennitate atque
posteritate.93
90 Alberti, De re aedificatoria, I 6 (pp. 49-51).
91 Cfr. Alberti, Profugiorum ab erumna libri, II, p. 13,
r. 26-p. 14, r. 1: «Dicea Ermete Trimegisto antiquissimo
scrittore: “La volontà, o Asclepi, nasce dal consiglio”», tributario di Ascl. 26: «Voluntas, o Asclepi, consilio nascitur
et ipsum velle e voluntate»; per cui si veda L. Bertolini,
Sulla precedenza della redazione volgare del De pictura di
Leon Battista Alberti, in Studi per Umberto Carpi. Un saluto da allievi e colleghi pisani, a cura di M. Santagata e
A. Stussi, Pisa, ETS, 2000, pp. 181-210: 200, n. 47. Sulla
fortuna umanistica dell’operetta, compresa nel Corpus
Hermeticum, costituito nel Quattrocento oltre che dal
suddetto testo, versione latina del Discorso perfetto (Lògos
téleios, circolante nell’originale greco all’inizio del iv secolo) anche da un gruppo di 18 opuscoli greci, il primo dei
quali è il Pimandro, nonché dai frammenti conservati
dall’Anthologia di Stobeo, oltre a E. Garin, Ermetismo del
Rinascimento, Roma, Editori Riuniti, 1988, pp. 33 sgg., si
veda K.H. Dannenfeldt, Hermetica philosophica, in Catalogus Translationum et Commentariorum, I (1960), pp.
137-156: 144-147; con particolare riferimento alla versione
latina dell’Asclepio cfr. inoltre C. Moreschini, Dall’Asclepius al Crater Hermetis. Studi sull’ermetismo latino tardo-antico e rinascimentale, Pisa, Giardini, 1986.
92 Cfr. Alberti, De pictura, in Id., Opere volgari, III, l.
II, cap. 27, p. 49, rr. 10-13: «Censet Trismegistus vetustissimus scriptor una cum religione sculpturam et picturam
exortam: sic enim inquit ad Asclepium: humanitas memor
naturae et originis suae deos ex sui vultus similitudine figuravit», nonché il testo parzialmente divergente, della anteriore redazione volgare e in parallelo Ascl. 37; 23, su cui
142
Su queste basi, e pur nel contesto di un clima culturale fervido di
passione e interessi per le opere astrologiche e astronomiche,94 pare comunque evidente che Battista dovesse con più profitto accogliere la lezione delle antiche fonti matematiche.95
Alla lettura di queste ultime, tornate a circolare con buon successo
fin dal principio del xv secolo, sebbene non trascurate neppure anteriormente,96 è verosimile che egli si accostasse fin dagli studi giovanili di phisica ed artes mathematicae condotti presso lo Studio bolognese. Che risalisse a tale occasione il suo primo contatto con gli Elementa
di Euclide nella versione volgare di Campano da Novara97 pare infatti almeno ipotizzabile sulla scorta dei dati ricavabili ancora dagli Statuti del 1405:
In astrologia in primo anno primo legantur algorismi de minutis et
integris, quibus lectis, legatur primus geumetrie Euclidis cum commento Campani.98
Del resto, non può tacersi che la versione del trattato euclideo, destinato a lasciare una traccia concreta insieme al XXXV libro della Naturalis historia pliniana nella composizione del De pictura, e fors’anche
ad alimentare in Battista la convinzione dell’imprescindibilità della geometria,99 rientrava oggettivamente nel suo patrimonio librario, secondo quanto attesta una preziosa nota riportata nel ms. Lat. VIII, 39 della Biblioteca Marciana:
si veda ancora Bertolini, Sulla precedenza della redazione volgare del De pictura, pp. 199-200, che rileva la maggior puntualità della più ampia citazione della redazione latina rispetto al luogo dell’Asclepius chiamato in causa
da Alberti.
93 Alberti, De re aedificatoria, II 13 (p. 171).
94 Per una panoramica sull’argomento, oltre a Magia e
scienza nella civiltà umanistica, a cura di C. Vasoli, Bologna, Il Mulino, 1976, cfr. da ultimo C. Vasoli, Le tradizioni magiche ed esoteriche nel Quattrocento, in Id., Le filosofie del Rinascimento, pp. 133-153.
95 Per qualche approfondimento sul rapporto di Alberti con le discipline matematiche si vedano in generale G.
Wolff, Leon Battista Alberti als Mathematiker, «Scientia»,
60 (1936), pp. 353-359; G. Arrighi, Leon Battista Alberti e
le scienze esatte, in Convegno internazionale indetto nel V
centenario di Leon Battista Alberti, Roma-Mantova-Firenze, 25-29 aprile 1972, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1974, pp. 172-190; L. March, Renaissance Mathematics and Architectural Proportion in Alberti’s De Re Aedificatoria, «Architectural Research Quarterly», 2 (1996), pp.
54-65.
96 Sull’argomento cfr. B.L. Ullman, Geometry in the
Mediaeval Quadrivium, in Studi di bibliografia e di storia
in onore di Tammaro de Marinis, 4 voll., Verona, Stamperia Valdonega, 1964, IV, pp. 263-285; Rose, Humanist
Culture and Renaissance Mathematics; P.L. Rose, The Italian Renaissance of Mathematics. Studies on Humanists and
Mathematicians from Petrarch to Galileo, Genève, Droz,
1975; M.F. Mahoney, Mathematics, in Science in the
Middle Ages, edited by D.C. Lindberg, Chicago, Ill.,
University of Chicago Press, 1978, pp. 145-175. A mero titolo d’esempio giova inoltre ricordare la presenza nel xv
secolo anche presso la Biblioteca Estense di codici contenenti fonti matematiche greche come Nicomaco di Gerasa, Euclide, Erone: cfr. Puntoni, Indice dei codici greci
della Biblioteca Estense di Modena, pp. 421, nr. 56, 449, nr.
100, 452, nr. 105.
97 Su Campano da Novara, traduttore nel xiii secolo
dell’opera euclidea e autore di una Theorica Planetarum, si
veda J.E. Murdoch, The Medieval Euclid: Salient Aspects
of the Translations of the Elements by Adelard of Bath and
Campanus of Novara, «Revue de Synthèse», s. III, 49-52
(1968), pp. 67-94; A. Paravicini Bagliani, G.J. Toomer,
Campano da Novara, in Dizionario Biografico degli Italiani, XVII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1974,
17, pp. 420-424. Quanto al rapporto con l’opera albertiana
si veda anche J.A. Aiken, Truth in Images: from the Technical Drawings of Ibn al Razzaz al-Jazari, Campanus of Novara, and Giovanni de’ Dondi to the Perspective Projection of
Leon Battista Alberti, «Viator», 25 (1994), pp. 325-359.
98 De lectura et ordine librorum legendorum. Rubrica
LXXVIII, in Statuti delle Università e dei Collegi dello Studio bolognese, p. 276.
99 Cfr. Alberti, De pictura, l. III, cap. 53, p. 93, rr. 1-6:
«Doctum vero pictorem esse opto, quoad eius fieri possit,
omnibus in artibus liberalibus, sed in eo praesertim geometriae peritiam desidero. Assentior quidem Pamphilo
antiquissimo et nobilissimo pictori, a quo ingenui adolescentes primo picturam didicere. Nam erat eius sententia futurum neminem pictorem bonum qui geometriam
ignorarit».
alberti e il sapere scientifico antico: fra i meandri di una biblioteca interdisciplinare
In postuma pagina qui hunc codicem possedit, L. B. Albertus, manu sua notas apposuit quibus ad assis et unciae partes indicendas veteres usos novit.100
Ma con riguardo all’ambito matematico, per il quale Battista non ignorava certo l’importanza dell’opera di Nicomaco di Gerasa o Archimede, sebbene non nutrisse la pretesa di eleggerli a modello per il suo
ideale d’architetto,101 concepito semmai a guisa d’un pragmatico alieno da erudizioni dottrinarie troppo settoriali, merita di essere segnalato anche l’interesse per la manualistica medievale. È indicativo, in
particolare, il preciso richiamo in un passo dei Ludi rerum mathematicarum al Savasorda,102 ovvero Abraham bar Hiyya, alla cui opera nella traduzione latina condotta da Platone di Tivoli, intitolata Liber embradorum, peraltro disponibile all’epoca anche per Niccolò Niccoli,103
Alberti si riferisce con ogni probabilità104 anche in un passo del penultimo libro del suo trattato architettonico:
100 Cfr. Codices Manuscripti Latini Bibliothecae Nanianae, a I. Morellio relati, Venetiis, typis Antonii Zattae,
1776, pp. 30-31; Bibliotheca Manuscripta ad S. Marci Venetiarum. Codices mss. Latini, digessit et commentarium
addidit J. Valentinelli, 6 voll., Venetiis, ex Typographia Commercii, 1868-1873, IV, p. 217, n. 3271; nonché N. Maraschio, Aspetti del bilinguismo albertiano nel
“De pictura”, «Rinascimento», n.s., 12 (1972), pp. 183-228:
200, n. 1, 202 e n. 1; Rose, Humanist Culture and Renaissance Mathematics, p. 62, n. 73.
101 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, IX 10: «Sed ne
Zeusim quidem esse pingendo aut Nichomacum numeris aut Archimedem angulis et lineis tractandis volo» (p.
863). Quanto alla circolazione delle due fonti: per Nicomaco di Gerasa, e in particolare per il suo De arithmetica, trasmesso in versione latina nella Institutio arithmetica di Boezio (cfr. Institution arithmétique, texte établi et
traduit par J.-Y. Guillaumin, Paris, Les Belles Lettres,
1995, pp. xxxi-xlvi), da cui Alberti potrebbe aver desunto le sue conoscenze, cfr. e.g. Ullman-Stadter, The Public Library of Renaissance Florence, p. 257, nr. 1145; per
Archimede, oltre a Rose, Humanist Culture and Renaissance Mathematics, pp. 63 sgg., cfr. Archimedes in the
Middle Ages. III. The Fate of Medieval Archimedes, 1300 to
1565, edited by M. Clagett, 3 voll. in 4 tomi, Philadelphia, The American Philosophical Society, 1978, pp.
316-319, nonché Firenze e la scoperta dell’America, nr. 64,
pp. 124-126: 126.
102 Cfr. Ludi rerum mathematicarum, in Alberti, Opere volgari, III, pp. 131-173: 151: «e diciamo delle ragioni di
misurare e’ campi. Gli scrittori antichi, praesertim Columella, Savazorda, e altri commensuratori, e Lionardo pisano fra’ moderni, e molto s’estese in questa materia»; sull’uso albertiano dell’antica fonte ebraica già identificata
nello studio datato, ma ancora essenziale per l’esame di
aspetti tecnico-scientifici dell’opera albertiana, di P.-H.
Michel, Un idéal humain au XVe siècle. Le pensée de L.B.
Alberti (1404-1472), Paris, Société d’éditions “Les Belles
Lettres”, 1930, p. 205, nonché da V. Zoubov, Léon Battista Alberti et les auteurs du Moyen Âge, «Mediaeval and
Renaissance Studies», 4 (1958), pp. 245-266: 255, si veda
Sat erit, si nostra quae scripsimus picturae elementa tenuerit; si eam
etiam peritiam ex mathematicis adeptus sit, quae angulis una et numeris et lineis mixta ad usum est excogitata: qualia sunt, quae de ponderibus de superficiebus corporibusque metiendis traduntur, quae
illi podismata embadaque nuncupant.105
Cionondimeno, a fronte dell’apporto ricavato dalla trattatistica tecnica, non può escludersi il contributo probabilmente desunto in campo matematico dalle summae enciclopediche di autori tardoantichi come Macrobio e Boezio. Al di là di precisi riscontri inerenti al primo,106
del secondo, peraltro artefice – giova ricordarlo – dell’introduzione del
termine quadrivium,107 Battista poté forse valersi per apprendere il valore etico-moralizzante della musica, per affinare cioè le proprie conoscenze in un campo in verità apprezzato fin dall’età giovanile,108 verosimilmente coltivato pure attraverso la specifica lettura del De musica
boeziano,109 di cui potrebbe cogliersi qualche indizio nei Profugia.110
pure P. Castelli, Capelli “in aria simile alle fiamme”: il
concetto di moto negli scritti di Leon Battista Alberti, in
Leon Battista Alberti. Architettura e cultura, Atti del Convegno internazionale (Mantova, 16-19 novembre 1994),
Firenze, Olschki, 1999, pp. 163-198: 175-176. Quanto a
Lionardo Pisano, ovvero Leonardo Fibonacci, gioverà ricordare la presenza di codici della sua Practica geometriae
nella biblioteca del Corbinelli: si veda Rose, Humanist
Culture and Renaissance Mathematics, pp. 54-55, nonché
58 per ulteriori attestazioni nella biblioteca di San Marco
ecc.; per l’uso albertiano della fonte cfr. pure P. Souffrin, La Geometria Practica dans les Ludi rerum mathematicarum, «Albertiana», 1 (1998), pp. 87-104.
103 Cfr. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, San
Marco 184, in Ullman-Stadter, The Public Library of
Renaissance Florence, p. 212, nr. 765.
104 A fronte della più generica interpretazione dell’ed.
Orlandi-Portoghesi, p. 863, n. 3 secondo cui embata sarebbe semplicemente il plurale del termine greco indicante «il metodo della misurazione mediante moduli»,
pare del tutto plausibile l’identificazione proposta da
Zoubov, Léon Battista Alberti et les auteurs du Moyen Âge,
p. 255, n. 1.
105 Alberti, De re aedificatoria, IX 10 (p. 863).
106 Sull’uso albertiano della fonte tardoantica (peraltro
citata esplicitamente e.g. in Alberti, Profugiorum ab erumna libri, III, p. 113, rr. 17-21: «In Roma el simulacro
della dea Angeronia aveva la bocca legata e suggellata, e a
costei faceano e’ sacerdoti sacrificio nel sacello della dea
Voluppia; qual misterio interpetra Macrobio significare
che soffrendo con taciturnità le angustie dell’animo tornano poi in voluttà» per cui cfr. Macr. Saturn. I 10, 7-8),
con particolare riferimento ai riscontri individuabili nel
De re aedificatoria, si veda Zoubov, Léon Battista Alberti
et les auteurs du Moyen Âge, pp. 247 sgg., cui si rimanda
anche per le indicazioni relative ad ulteriori fonti tardoantiche quali Agostino, Cassiodoro e Boezio; ma su
quest’ultimo cfr. pure Maraschio, Aspetti del bilinguismo albertiano nel “De pictura”, pp. 202-203. Con specifico riguardo alla circolazione umanistica dei Saturnalia
cfr. P.K. Marshall, Macrobius. Saturnalia, in Texts and
Transmission, pp. 233-235; nonché Franceschini, Giovanni Aurispa e la sua biblioteca, p. 105, n. 264.
107 Pur rispondente ad un ciclo d’insegnamento già coltivato in età ellenistica, poi ripreso da Varrone, il concetto di quadrivium trovò, come è noto, canonica denominazione con l’originale introduzione del suddetto termine (nella forma arcaica quadruvium) applicato all’insieme
delle quattro discipline matematiche in Boeth. De inst.
arithm. I 1, 1; in proposito cfr. U. Pizzani, Studi sulle fonti del “De institutione musica” di Boezio, «Sacris erudiri»,
16 (1965), pp. 5-164: 7; nonché J.-Y. Guillaumin, Le terme quadrivium de Boèce et ses aspects moraux, «L’Antiquité
Classique», 59 (1990), pp. 139-148.
108 Cfr. Fubini-Menci Gallorini, L’autobiografia, p.
69, r. 1: «ad musicam […] sese traducebat»; 18-22: «musicam nullis praeceptoribus tenuit et fuere ipsius opera a
doctis musicis approbata; cantu per omnem aetatem usus
est […] Organis delectabatur et inter primarios musicos
in ea re peritus habebatur. Musicos effecit nonnullos eruditiores suis monitis».
109 Sulla circolazione del De musica boeziano, gioverà
ricordare e.g. la testimonianza ricavabile dalla presenza
del testo nell’inventario dell’Aurispa: cfr. Franceschini,
Giovanni Aurispa e la sua biblioteca, p. 103, n. 254.
110 Si veda il richiamo alla dottrina musicale pitagorica
in Alberti, Profugiorum ab erumna libri, III, p. 108, rr. 58: «E certo in questo convengo io colla opinione de’ pittagorici quali affermavano che ’l nostro animo s’accoglieva e componeva a tranquillità e a quiete revocato e racconsolato dalle suavissime voci e modi di musica», per il
quale l’umanista potrebbe aver messo a frutto la lettura di
Boeth. Mus. I, Pro. 1: «In tantum vero priscae philosophiae studiis vis musicae artis innotuit, ut Pythagorici,
cum diurnas in somno resolverent curas, quibusdam cantilenis uterentur, ut eis lenis et quietus sopor inreperet.
Itaque experrecti aliis quibusdam modis stuporem somni
confusionemque purgabant, id nimirum scientes quod
tota nostrae animae corporisque compago musica coaptatione coniuncta sit».
143
ida mastrorosa
Naturalmente incline verso una disciplina concepita a guisa di mezzo
capace di rasserenare l’animo,111 Alberti dovette comunque accostarvisi
innanzitutto per effetto dell’ispirazione tratta dai capitoli dedicati da Vitruvio ai numeri perfetti (III 1, 6) e alla dottrina delle consonanze (V 4),
indubbiamente presupposti in alcuni passi del IX libro del De re aedificatoria,112 ma al contempo assorbiti con sguardo critico e non ignaro di notizie desunte da una variegata pluralità di testi apparentemente atecnici.113
Per il resto, tralasciando in questa sede una più tecnica disamina delle divergenze riscontrabili sul punto fra il testo vitruviano e il trattato
albertiano, non va comunque escluso in linea di principio che le riflessioni dell’umanista abbiano potuto mettere a frutto cognizioni derivate dalla lettura di opere canoniche della trattatistica musicale in lingua
greca, rare ma in verità non del tutto inaccessibili in quegli anni:114 a titolo d’esempio è interessante ricordare, infatti, che in occasione di una
sua visita presso la biblioteca mantovana dei Gonzaga affidata alle cure
del già ricordato Vittorino da Feltre, il Traversari vi trovò, fra gli altri,
anche testi come il De musica di Aristide Quintiliano, il trattato di Bacchio e gli Harmonica di Tolemeo, di cui l’umanista soleva avvalersi in
chiusura delle sue lezioni musicali teoriche incentrate su Boezio, ovvero delle opere assemblate in un volume identificato nel Marcianus appl.
Cl. VI, 10 (1300), dei secoli xii-xiii, appartenuto a Francesco ed Ermolao Barbaro.115 Del resto, non va neppure trascurato che a distanza di alcuni anni dall’appassionato culto albertiano di note e canto, celebrato
dall’apposito appellativo conferito, fra gli altri, all’umanista dal Landino,116 la musica avrebbe trovato consacrazione e spazio ufficiali nel modello enciclopedico fissato dal Panepistemon del Poliziano.117
111 Cfr. Alberti, Profugiorum ab erumna libri, III, p.
108, rr. 8-16: «E provai io non rarissimo questo in me, che
in mie lassitudini d’animo questa dolcezza e varietà de’
suoni e del cantare molto mi sullevorono e restituirono. E
proverrete questo voi, se mai v’accade: mai vi s’avvolgerà
pell’animo e mente alcuna sì cocente cura che subito ella
non si estingua ove voi perseverrete cantando. E non so come a me pare che ’l cantare mio qualunque e’ sia, più a me
satisfaccia e più giovi che ’l sonare di qualunque altri forse fusse ottimo ed essercitatissimo musico».
112 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, IX 5-6 (pp. 819-829).
113 Nell’inserto numerologico compreso nel passo citato nella nota precedente merita di essere segnalato l’accostamento di riscontri di matrice naturalistica, attinti da
Arist. Hist. anim. VII 12; Hipp. Epid. II 6, 4 e di anonime osservazioni di carattere medico chiamate in causa a
conforto dell’importanza giocata dai numeri nella vita
dell’essere umano.
114 Si tenga conto e.g. della presenza di fonti musicali
greche presso gli Estensi ricavabile da Puntoni, Indice
dei codici greci della Biblioteca Estense di Modena, pp. 481,
nr. 149, 482, nr. 152. Per la circolazione di opere sull’argomento e l’interesse per la disciplina si veda comunque
P.O. Kristeller, Music and Learning in the Early Italian
Renaissance, poi in Id., Studies in Renaissance Thought
and Letters, pp. 451-470; C.V. Palisca, Humanism in Italian Renaissance Musical Thought, New Haven-London,
Yale University Press, 1985, pp. 23-50.
115 Cfr. A. Traversari, Epist. VIII, 50 e 51, nonché Sab144
3. Le artes medendi: medicina e veterinaria
Infine, in chiusura di una panoramica finalizzata a ricostruire la biblioteca dell’Alberti “scienziato”, non vanno tralasciati i testi da cui l’umanista poté trarre quel patrimonio di cognizioni mediche, sia più direttamente concernenti la salute umana che specificamente attinenti la branca veterinaria dell’ippiatrica, testimoniateci da alcuni luoghi delle sue
opere. Sulla base di questi ultimi pare infatti innegabile che, seppur convinto dell’impossibilità di porre rimedio ai tanti morbi destinati ad affliggere l’uomo118 e negativamente influenzato da un malinteso esercizio
dell’attività,119 Battista dovette comunque interessarsi non poco alla disciplina già integrata in ambito classico alle discipline del quadrivio, e alla lettura delle fonti deputate a trasmetterla, fors’anche per effetto di un
milieu culturale che proprio nel xv secolo poté registrare contributi significativi ma eterogenei di cultori della medicina più o meno professionalmente qualificati. A titolo d’esempio, basterà considerare la coesistenza all’epoca di interventi dotti quali il De medicina et medicis120 di
Giovanni Tortelli, in verità noto soprattutto come benemerito artefice
del progetto di costituzione della Biblioteca Vaticana patrocinato da Niccolò V, nonché di opere più tecnicamente impostate quali il De cognitione et curatione pestis egregia di Angelo Decembrio,121 il figlio di Uberto
Decembrio e fratello del già ricordato Pier Candido, laureato in medicina a Ferrara ove rimase fra il 1430 e 1450, o più tardi il Consilio contro la
pestilentia composto in volgare fra il 1478 ed il 1479 da Marsilio Ficino.
Del resto, proprio l’attualità dell’epidemia scoppiata nella città estense durante il Concilio del 1438 potrebbe forse aiutarci a comprendere la peculiarità di talune tessere albertiane del Theogenius, veri e
badini, Le scoperte dei codici latini e greci, p. 60; Cortesi, Libri e vicende di Vittorino da Feltre, p. 97; Ead., Umanesimo greco, p. 500.
116 Cfr. C. Landino, Comento sopra la “Comedia”, in
Firenze, per Nicholò di Lorenzo della Magna, 1481, c. 4r,
in C. Landino, Scritti critici e teorici, edizione, introduzione e commento a cura di R. Cardini, 2 voll., Roma,
Bulzoni, 1974, I, p. 117 (e II, pp. 132-133, per il commento): «Ma dove lascio Baptista Alberti o in che generazione di docti lo ripongo? Dirai tra’ fisici. Certo, affermo lui
esser nato solo per investigare e’ secreti della natura. Ma
quale spetie di matematica gli fu incognita? Lui geometra, lui aritmetico, lui astrologo, lui musico e nella prospettiva maraviglioso più che huomo di molti secoli». Si
veda inoltre C. Landino, Comento sopra la Comedia, a
cura di P. Procaccioli, 4 voll., Roma, Salerno, 2001.
117 Utili notazioni in proposito in F. Brancacci, L’enciclopedia umanistica e la musica: il Panepistemon di Angelo Poliziano, in La musica a Firenze al tempo di Lorenzo
il Magnifico, [Atti del] Congresso internazionale di studi
(Firenze, 15-17 giugno 1992), a cura di P. Gargiulo, Firenze, Olschki, 1993, pp. 299-316.
118 Cfr. Alberti, Theogenius, l. II, p. 91, rr. 27-30: «Agiugni le altre infermità quale già tante passate età, con
tante vigilie, tante investigazioni, tanta industria, tanta
copia di scrittori e volumi, tanta varietà di rimedi possono né vietarle né ben distorle». La consapevolezza dei limiti della disciplina si coglie del resto già in L.B. Alberti, Defunctus, in Id., De commodis litterarum atque in-
commodis. Defunctus, testo latino, traduzione italiana, introduzione e note a cura di G. Farris, Milano, Marzorati, 1971, p. 236, rr. 19-20: «Taceo morbos et egritudines
corporis, que infinite hominem conficiunt».
119 Cfr. L.B. Alberti, De commodis litterarum atque incommodis, a cura di L. Goggi Carotti, Firenze, Olschki,
1976, IV, 62, p. 88: «[…] taceantur subacta venena, nutrite febres, productus morbus potionibus et pharmacis,
multa denique alia scelestissima et nefaria cupidorum tabellionum atque medicorum crimina sileantur».
120 Se ne veda il testo in G. Tortelli, Della medicina e
dei medici [De medicina et medicis], G.G. Bartolotti,
Dell’antica medicina [De antiquitate medicinae]. Due storie
della medicina del XV secolo, edite e tradotte da L. Belloni
e D.M. Schullian, Milano, Ind. Graf. Italiane Stucchi,
1954, pp. 3-20; in proposito cfr. inoltre M. Regoliosi,
Nuove ricerche intorno a Giovanni Tortelli. II, «Italia medioevale e umanistica», 12 (1969), pp. 129-196: 187-188.
121 Sul De cognitione et curatione pestis egregia Ugone
praeceptore, conservato nel ms. Ambros. Z 184 sup., nonché
autografo nel ms. di Rovereto, Biblioteca civica, n. 2; e ancora tramandato dal Vat. Palat. Lat. 1123, con particolare
riferimento alla ripresa della tradizione classica cfr. I. Mastrorosa, Le teorie del contagio nella prima età moderna:
fonti classiche per la trattatistica rinascimentale, in Acta Conventus Neo-Latini Bonnensis, Proceedings of the Twelfth
International Congress of Neo-Latin Studies (Bonn, 3.-9.
August 2003), edited by R. Schnur, Binghamton, N.Y.,
in c.d.s.; nonché P. Viti, Decembrio, Angelo Camillo, in
alberti e il sapere scientifico antico: fra i meandri di una biblioteca interdisciplinare
propri intarsi ricavati dalla lettura di un testo particolarmente valorizzato nella tessitura argomentativa dell’operetta volgare come l’enciclopedia pliniana, nello specifico fonte di notizia su focolai patologici
di origine animale, episodi di trasmissione morbosa per via aerea, identificabili in due epidemie di mentagra e di carbonchio, o più generici effetti nocivi dovuti ad esalazioni provenienti dal terreno:
E scrisse M. Varrone in Ispagna essere stata svelta una terra da’ conigli, e in Tessaglia simile dalle talpe data in ruina un’altra città.122
Cfr. Plin. Nat. VIII 104:
Nec minus clara exitii documenta sunt etiam contemnendis animalibus. M. Varro auctor est a cuniculis suffossum in Hispania oppidum, a talpis in Thessalia.
E insieme aggiugni e’ nuovi e vari morbi quali di dì in dì surgono a’
mortali. In Roma e non quasi altrove ne’ tempi di Tiberio Cesare
scriveno sopravenne nuovo malore non pericoloso a morte ma contagioso e fastidiosissimo. Cominciava al mento, poi dagli occhi in
fuori copriva tutta la persona, e cadevagli la pelle d’ogni membro in
minuta furfura. El carbunculo, pessimo male ne’ tempi di Luzio Paulo e Quinto Marzio censori, primo fu veduto a’ nostri Latini.123
Cfr. Plin. Nat. XXVI 2-5:
spiritus letales aliubi aut scrobibus emissi aut ipso loci situ mortiferi,
aliubi volucribus tantum […] aliubi praeter hominem ceteris animantibus, nonnumquam et homini, ut in Sinuessano agro et Puteolano.
Purtuttavia, ulteriori indizi dell’interesse per tali excerpta tematici,
in verità destinati a rimanere nella memoria dell’autore ancora all’atto
della composizione del X libro del De re aedificatoria,125 possono trarsi dal dovizioso acume con cui Alberti procede a reperire materiali sull’argomento anche presso la tradizione storiografica tardoantica. Accanto al ricorso all’Historia Augusta,126 è interessante in tal senso l’impiego di Orosio, nella cui opera di carattere compilativo, apprezzata
fin dai secoli xi-xii,127 Battista dovette identificare una fonte paradigmatica per trarre notizia sulla triste sorte degli uomini, sottoposti alla
virulenza inevitabile se non ciclica di epidemie irrefrenabili,128 come
dimostra anche il seguente riscontro:
Agiugni quanto non raro ancora e’ minutissimi animali insieme coniunti portino peste ed eccidio contro alla generazione umana. Scrive Iustino e Paulo Orosio istorici ch’e’ populi chiamati Obderite, e
que’ che si nominano Avienate, fuggirono e abandonarono el suo
paese cacciati dalla moltitudine de’ topi e dalle ranelle.129
Cfr. Oros. III 23, 36:
Gravissimum ex iis lichenas appellavere Graeco nomine, Latine, quoniam a mento fere oriebatur, ioculari primum lascivia, ut est procax
multorum natura in alienis miseriis, mox et usurpato vocabulo mentagram, occupantem multis et latius totos utique voltus, oculis tantum
inmunibus, descendentem vero et in colla pectusque ac manus foedo
cutis furfure. Non fuerat haec lues apud maiores patresque nostros et
primum Ti. Claudi Caesaris principatu medio inrepsit in Italiam […]
L. Paullo Q. Marcio censoribus primum in Italia carbunculum evenisse annalibus notatum est, peculiare Narbonensis provinciae malum, quo duo consulares obiere condentibus haec nobis eodem anno.
Ma che più? Non solo la essalazion, quale fumma d’alcune aperture
della terra, come presso a Pozzuolo e presso a Suessa, uccide […]124
Dizionario Biografico degli Italiani, XXXIII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1987, pp. 483-488: 484.
122 Alberti, Theogenius, l. II, p. 92, rr. 15-17.
123 Ivi, l. II, p. 91, r. 30; p. 92, r. 1.
124 Ivi, l. II, p. 91, rr. 4-6.
125 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, X 1: «et mures alibi
adeo multos concrevisse […] Et multa his similia in eo collegimus opusculo, qui Theogenius inscribitur» (p. 871).
126 Si veda la ripresa di Historia Augusta, Capitol. Ver. 8,
1: «Et nata fertur pestilentia in Babylonia, ubi de templo
Apollinis ex arcula aurea, quam miles forte inciderat, spiritus pestilens evasit, atque inde Parthos orbemque complesse», nel l. II del Theogenius: «Ma che più? Cosa incredibile!
Scriveno che nei tempi di Luzio Elio Antonino principe ro-
Cfr. Plin. Nat. II 207-208:
Cassander Ptolomaeo in victoria particeps factus cum Apolloniam
rediret, incidit in Avieniatas: qui propter intolerandae multitudinis
ranas et mures relicto patrio solo et antiquis habitaculis emigrantes,
novas sedes praetenta interim pace requirebant.
e Ivstin. XV 2:
Dum haec aguntur, Cassander, ab Apollonia rediens, incidit in Autariatas, qui propter ranarum muriumque multitudinem, relicto patriae solo, sedes quaerebant.
Del resto, prova ulteriore della capacità dell’umanista di recepire
nozioni mediche pure da contesti atecnici può leggersi nella valorizza-
mano uscì d’una cassetta d’oro dedicata ad Apolline in Babilonia fiato sì pestilente che col suo veneno pervenne dando a morte infiniti mortali persino entro la provincia de’
Parti. E così molte egritudini e peste a’ tempi nascono e di
provincia in provincia transcorrono» (Alberti, Opere volgari, II, p. 92, rr. 4-10), nonché De re aedificatoria, I 12:
«Apud Babyloniam in templo Apollinis inventam refert Capitolinus historicus auream arculam pervetustam, ex qua
corruptus et perinde veneficus inclusus aer, cum illa quidem
refringeretur, sese effundens non eos solum interemit, qui
tum prope aderant, verum et contagionibus pestem atrocissimam totam in Asiam usque ad Parthos intulit» (p. 81).
127 Sulla fortuna già tardomedievale delle Historiae adversus Paganos, confermata anche dalla presenza di ben 47
esemplari trascritti per il solo xii secolo, cfr. L. Boje
Mortensen, The Texts and Contexts of Ancient Roman
History in Twelfth-Century Western Scholarship, in The
Perception of the Past in the Twelfth-Century Europe, [papers presented at a conference (Saint Andrews, September 24-27, 1989)], edited by P. Magdalino, London-Rio
Grande, Ohio, Hambledon Press, 1992, pp. 99-116: 110.
128 Cfr. Alberti, Theogenius, l. II, p. 94, rr. 24-27: «Paulo Orosio istorico raccolse in parte le miserie sofferte da’
mortali persino a’ tempi suoi, e benché fusse scrittore succinto e brevissimo, pur crebbero suoi libri in amplissimo
volume, tanta trovò stata sofferta miseria da’ populi e gente degna di memoria».
129 Ivi, l. II, p. 92, rr. 10-14.
145
ida mastrorosa
zione in un luogo del I libro del De re aedificatoria di un passo di Varrone sulla morbosità di aree paludose inadatte all’edificazione ove l’Alberti architetto-urbanista riesce altresì ad operare un dotto innesto130
di cognizioni mediche di matrice atomistico-lucreziana:
Aiebat Varro compertum habere se locis quibusdam minutissima
quaedam atomorum instar volitare animantia aere et anhelitu in pulmones excepta herere praecordiis et rodendo inferre morbum atrum
ac tabificum atque perinde pestem pernitiemque afferre.131
Cfr. Varro Rust. I 12, 2:
Avertendum etiam, siqua erunt loca palustria, et propter easdem
causas, et quod crescunt animalia quaedam minuta, quae non possunt oculi consequi, et per aera intus in corpus per os ac nares perveniunt atque efficiunt difficilis morbos.
Indicativo della capacità di sfruttare in modo polisemico anche la
manualistica agronomica, il passo ci testimonia ancora una volta l’interesse riservato da Battista al poligrafo reatino132 del quale, del resto,
egli dovette certamente possedere un codice, secondo quanto può desumersi dalla lettera inviatagli da Röskilde nel 1451 da Enoch d’Ascoli, costernato di non aver potuto reperire per suo conto un esemplare
più vetusto di quello già in suo possesso:
<Enochi Asculani Epistula> Baptistae de Albertis, Romae: […] Aliud quod tibi significem habeo inpresentiarum nihil nec abste hac
130 Per ulteriori approfondimenti sulla composita ascendenza classica del passo cfr. I. Mastrorosa, Leon Battista Alberti “epidemiologo”: esiti umanistici di dottrine classiche, «Albertiana», 4 (2001), pp. 21-44.
131 Alberti, De re aedificatoria, I 6 (p. 49).
132 È significativo che Varrone, citato più volte nell’opera
albertiana, sia annoverato insieme a Pomponio Attico quale
exemplum di poligrafia in Alberti, Defunctus, p. 210: «quid
de Pomponio Attico, deque Varrone illo qui de his rebus
omnibus conscripsere que hominem scire aut investigare fas
est?» Per ulteriori approfondimenti sulle riprese varroniane
di Alberti cfr. pure I. Mastrorosa, Rusticitas e urbanitas in
L.B. Alberti: la tradizione classica, relazione presentata al I
Congresso Internazionale “Sciences et Arts, Philologie et Politique à la Renaissance: L.B. Alberti” (Paris-Tours, 16-18 mai
2002), «Albertiana», 8 (2005), in c.d.s. Sulla circolazione
umanistica di Varrone cfr. Sabbadini, Le scoperte dei codici
latini e greci, pp. 87; 152; Id., Le scoperte dei codici latini e greci […] Nuove ricerche, pp. 257-258; nonché L.D. Reynolds,
Varro, in Texts and Transmission, pp. 430-431.
133 L’epistola, conservata autografa nell’archivio privato della famiglia Alberti-La Marmora, comprensiva di un
allegato dedicato alla trasmissione di Sidon. Epist. 2, 2,
può leggersi ora nell’edizione critica, con traduzione italiana e introduzione a cura di I. Mastrorosa, «Albertiana», 5 (2002), pp. 191-236, part. 221 per il passo citato.
134 Si tenga conto e.g. della presenza di fonti medico-naturalistiche come Ippocrate, Aristotele, Galeno, o di excerp146
tempestate aliud desidero, nisi ut tu cum tuo Varrone istoc invento
recte valeas, quandoquidem ego antiquum illum nostrum Varronem
nusquam gentium invenio.133
Ciò detto, venendo alle tracce della più specifica trattatistica medica classica, nel complesso ben attestata all’epoca in luoghi accessibili
all’umanista134 o presso suoi amici e sodali, a fronte di indizi generici,
comunque indicativi della frequentazione dei testi degli antichi physici,135 si può senz’altro presupporre la lettura di opere di autori come Ippocrate e Galeno per l’ambito greco, o ancora Celso per quello latino.
Quanto al primo, testimonianza dell’interesse albertiano deve trarsi dal Theogenius ove figurano una generica ripresa della dottrina del
medico di Cos136 nonché un esplicito riferimento alle Epistole di Ippocrate137 sulla follia di Democrito:
Apresso e’ suoi cittadini Abderites Democrito, summo filosofo, era
riputato stolto. Ancora si leggono le epistole per quale Ippocrate medico fu chiesto a medicarlo.138
Accanto ai suddetti riscontri, concernenti un testo in verità valorizzato – come è stato da tempo sottolineato – anche nella composizione del Momus,139 per il quale (gioverà ricordarlo) era comunque disponibile in quegli anni la versione latina approntata da Rinuccio Aretino, non vanno trascurate talune citazioni ippocratiche indicative
di una ricezione più specificamente orientata sotto il profilo igienicoambientale offerteci dal De re aedificatoria.140 In particolare, oltre ad
un cenno in realtà dichiaratamente derivato dalla lettura di Plinio il
ta delle loro opere in codici ascrivibili al xv secolo documentati anche dal resoconto di Puntoni, Indice dei codici
greci della Biblioteca Estense di Modena, pp. 426, nr. 61; 450,
nr. 101; 453-454, nrr. 107, 109; 458, nr. 115; 481-482, nr. 151;
494, nr. 175; 508, nr. 211; 509-510, nr. 213; 512-513, nr. 220.
135 A titolo d’esempio, si consideri la ripresa di antiche
teorie medico-naturalistiche a proposito dei precetti concernenti le condizioni fisiologiche ideali per la procreazione in I libri della famiglia, l. II, p. 117, rr. 3-13, nonché
i suggerimenti circa la scelta della stagione più adatta all’uopo ivi, p. 117, rr. 14-19, sulla cui matrice classica cfr.
Mastrorosa, L’inferiorità politica e fisiologica della donna in Leon Battista Alberti, pp. 43 sgg.
136 Cfr. Alberti, Theogenius, l. II, p. 87, rr. 23-26: «Affermano e’ fisici, e in prima Ippocrate, essere a’ corpi
umani ascritta vicissitudine, che o crescano continuo o
scemino: quello che tra questi due sia in mezzo, dicono
trovarsi brevissimo».
137 Cfr. Hippocrates, Pseudepigraphic Writings. Letters,
Embassy, Speech from the Altar, Decree, edited and translated by W.D. Smith, Leiden-New York, Brill, 1990, part.
pp. 74-76 per l’Epist. 17, 2; nonché da ultimo Id., Lettere
sulla follia di Democrito, a cura di A. Roselli, Napoli, Liguori 1998, con ulteriori indicazioni bibliografiche.
138 Alberti, Theogenius, l. II, p. 78, rr. 19-21.
139 Si veda più specificamente la rielaborazione di Hipp.
Epist. ad Damagetum in L.B. Alberti, Momo o del principe,
edizione critica e traduzione a cura di R. Consolo, intro-
duzione di A. Di Grado, presentazione di N. Balestrini,
Genova, Costa & Nolan, 1986,, pp. 180-182; 192-194; 206212, su cui cfr. L. Trenti, Una fonte (pseudo)ippocratica in
opere di Leon Battista Alberti, «La Cultura», 26 (1988), pp.
169-175; R. Cardini, Alberti o della nascita dell’umorismo
moderno, «Schede umanistiche», n.s., 1 (1993), pp. 31-85; L.
Boschetto, Democrito e la fisiologia della follia. La parodia
della filosofia e della medicina nel Momus di Leon Battista Alberti, «Rinascimento», s. II, 35 (1995), pp. 3-29: 3-17; R.
Cardini, Paralipomeni all’Alberti umorista, «Moderni e Antichi», 1 (2003), pp. 72-86: 80-81, 85-86.
140 L’insistenza albertiana sull’opportunità di preservare
specifiche esigenze igienico-ambientali al momento di selezionare i luoghi in cui edificare documenta l’adesione
dell’umanista alla tesi dell’interazione fra ambiente e stato
di salute, evidentemente accolta anche da Vitruvio, ma soprattutto presupposta dalla dottrina miasmatica enunciata da Hipp. De nat. hom. 9 e codificata in Hipp. De aere,
aquis, locis 1, ove si insiste sull’opportunità che un medico, giunto in una città ignota, ne indaghi a fini terapeutici la topografia. Sulla ricezione albertiana delle teorie igieniche classiche cfr. in particolare G. Ponte, Architettura e
società nel De re aedificatoria di Leon Battista Alberti,
«Giornale Italiano di Filologia», 21 (1969), pp. 297-312:
298-299; Id., Leon Battista Alberti umanista e scrittore, Genova, Tilgher, 1981, p. 93; quanto all’influenza esercitata
dalla tradizione medica di matrice ippocratica nell’elaborazione di un criterio urbanistico di selezione topografica
alberti e il sapere scientifico antico: fra i meandri di una biblioteca interdisciplinare
Vecchio,141 merita di essere rilevato il ripetuto ricorso ad un passo del
De aere, aquis, locis parafrasato e poi più sinteticamente annoverato nel
contesto di osservazioni specificamente dedicate alle diverse tipologie
d’acqua sia nel I che nel X libro del De re aedificatoria,142 e ancora la ripresa di un luogo delle Epidemie143 incastonato in un’ampia rubrica di
argomento numerologico.
Quanto a Galeno, una fonte particolarmente apprezzata da un sodale di Alberti come il Toscanelli, secondo quanto si ricava da taluni
codici a lui appartenuti poi acquistati dal Poliziano,144 accanto ad un
inserto del De re aedificatoria, riconducibile, secondo la segnalazione
degli editori, ad un luogo del De differentiis febriis,145 merita di essere
altresì ricordato il ricorso nel De pictura e nel Momus al De usu partium, per la cui lettura pare del tutto plausibile l’ipotesi, già da tempo
avanzata, di impiego della traduzione latina curata all’inizio del xiv secolo da Niccolò da Reggio.146
Infine, va accreditata ad Alberti la disponibilità, o quanto meno la
lettura della sezione medica dell’enciclopedia di Celso, “riscoperta”
dopo la metà degli anni venti, accessibile al Panormita, quindi trascritta da Guarino.147 Valorizzato in alcuni luoghi del De re aedificatoria, ove assume il profilo di un physicus capace di esprimersi con doctrina,148 il trattatista latino elargisce consigli di propedeutica sanitaria
nei Libri della famiglia, ove non soltanto ispira osservazioni più generiche sull’opportunità di preservare la salute attraverso un accorto regimen,149 bensì suggerisce puntuali richiami alle teorie antiche sull’atsi veda inoltre F. Choay, La regola e il modello: sulla teoria
dell’architettura e dell’urbanistica, a cura di E. D’Alfonso,
Roma, Officina, 1986 (ed. orig. Paris, Seuil, 1980), p. 32.
141 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, I 3 (p. 31); nonché
Plin. Nat. II 127, riportati supra, n. 44.
142 Si vedano le riprese, già segnalate dagli editori, di
Hipp. De aere, aquis, locis 7 in Alberti, De re aedificatoria, I 4 (p. 39), nonché X 6: «Eas quidem, quae a monticulorum radicibus scaturiant, putabat Hypocras esse omnium optimas» (p. 911).
143 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, IX 5: «Hunc ad numerum formari in utero foetum aiebat Hypocras; esse
omnium optimas» (p. 821), e in parallelo, secondo il suggerimento degli editori, Epid. II 6, 4.
144 Cfr. A. Perosa, Codici di Galeno postillati dal Poliziano, in V. Branca et al., Umanesimo e Rinascimento.
Studi offerti a Paul Oskar Kristeller, Firenze, Olschki,
1980, pp. 75-109: 75 sgg., e.g. a proposito del ms. Laur. 75.
17, nonché del ms. Laur. 75. 8.
145 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, I 5: «Romam aeternum febricosam fuisse comperio, easque febres Galienus novum emitritarum esse genus putat cui varia et prope pugnantia in varias horas remedia adhibenda sunt» (p.
47), e in parallelo, secondo l’indicazione degli editori,
Galen. De febr. diff. II 8 K.
146 Cfr. Alberti, De pictura, l. III, cap. 57, p. 98, rr. 2326: «Scrive Galieno medico avere ne’ suo tempi veduto
scolpito in uno anello Fetonte portato da quattro cavalli,
dei quali suo freni, petto e tutti i piedi distinti si vedeano»,
su cui cfr. Edgerton, Alberti’s Colour Theory, p. 125, n. 39;
nonché Boschetto, Democrito e la fisiologia della follia,
pp. 21-22, nn. 41-42 per l’ipotesi che la versione trecente-
tività digestiva intesa quale fenomeno di cozione delle sostanze ingerite che, seppur riflessi anche nel lessico adottato da Alberti in ulteriori contesti delle sue opere,150 nel caso specifico tradiscono più direttamente la ricezione della Praefatio del De medicina:
ADOVARDO Anzi a me piace la sentenza di Cornelio Celso, quale più loda quel medico per cui opera si restituisca la buona sanità, e
restituita si conservi, che di colui per cui sapienza sia noto se ’l cibo,
come dicea Ippocrate, nello stomaco si consumi da innato alcuno in
noi quasi ardore naturale, o se, come Plistonico discipulo di Parassagora affermava, si putrefà, o se, come ad Asclepiade parea, così si
traduce indigesto e crudo.151
Cfr. Cels. De med. Praef. 19-20:
ex quibus quia maxime pertinere ad rem concotio videtur, huic potissimum insistunt […] alii, Plistonico Praxagorae discipulo, putrescere, alii credunt Hippocrati per calorem cibos concoqui acceduntque Asclepiadis aemuli, quia omnia ista vana et supervacua esse proponunt […].
A Ferrara, sede del Concilio tormentata dalla sopra ricordata epidemia di peste, ma anche fucina prestigiosa fin dalla prima metà del xv secolo di medici come Ugo Benzi e Michele Savonarola,152 e poi dell’illu-
sca dal greco al latino del De usu partium curata da Niccolò da Reggio debba considerarsi «la fonte di prima o di
seconda mano» della citazione albertiana. Quanto al riscontro relativo alla seconda opera si veda Alberti, Momo, III, p. 210, e in proposito ancora Boschetto, Democrito e la fisiologia della follia, pp. 20-29.
147 Cfr. R. Sabbadini, Sui codici della Medicina di Cornelio Celso, «Studi Italiani di Filologia Classica», 8 (1900),
pp. 1-32; Id., Storia e critica di testi latini e greci, pp. 228229; M.D. Reeve, Celsus, in Texts and Transmission, pp.
46-47. Quanto alla ricezione della Praefatio in ambito medico umanistico si veda soprattutto D. Jacquart, Du
Moyen Âge à la Renaissance: Pietro d’Abano et Berengario da
Carpi lecteurs de la Préface de Celse, in La Médecine de Celse. Aspects historiques, scientifiques et littéraires, textes réunis et édités par G. Sabbah et Ph. Mudry, Saint-Étienne,
Université de Saint-Étienne, 1994, pp. 343-358 (poi in
Ead., La science médicale occidentale entre deux renaissances (XIIe s.-XVe s.), Aldershot, Variorum, 1997).
148 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, V 14: «Perdocte quidem Celsus physicus ventos omnes asserebat, qui a mari
cadant, esse densiores» (p. 403), per cui, secondo gli editori, si veda Cels. De med. II 1, 4; nonché De re aedificatoria,
V 18 (p. 435), per la cui derivazione da Cels. De med. III 7,
2, gli stessi avanzano dubbi; e infine De re aedificatoria,
VIII 8 (p. 755), X 6 (p. 905), e in parallelo, secondo il suggerimento dei medesimi, Cels. De med. I 2, 6, II 8, 12.
149 Cfr. Alberti, I libri della famiglia, l. III, p. 175, rr.
30-36: «giannozzo […] Ma, figliuoli miei, prendete questa regola brieve, generale, molto perfetta: ponete diligenza in conoscere qual cosa a voi suole essere nociva, e
da quella molto vi guardate; quale vi giova, e voi quella se-
guite. lionardo Sta bene. Adunque la pulitezza, l’essercizio, la dieta, guardarsi da’ contrarii, conservano la sanità», probabilmente ispirato da Cels. De med. I, 1.
150 Si veda il riferimento puntualizzato attraverso l’accezione tecnica di concoquere in De re aedificatoria, X 6 (p.
905), a proposito dell’acqua dannosa durante la fase digestiva: «et cruditate virtutem concoquendi extinguere». Un analogo riscontro, seppur affidato al verbo decoquere, deve leggersi nel De equo animante; cfr. L.B. Alberti, Il cavallo vivo [De equo animante], seconda edizione riveduta e ristrutturata, testo latino a fronte, traduzione, introduzione e note
di A. Videtta, con una presentazione di Ch.B. Schmitt,
Napoli, Ce.S.M.E.T., 1991, p. 114: «Huic item praebendum
subinde et pabulum ut ipsum ad decoquendum sit facile.
Quo in genere sunt furfures trititij et farinae hordeaceae tenerrimaeque herbarum frondes»; nonché ivi, p. 142. Ma,
nella medesima prospettiva, si consideri anche l’accenno al
cibo da digerire come crudo in Alberti, I libri della famiglia, l. III, p. 175, rr. 28-30: «giannozzo […] E truovo in
me questo: per cruda che sia cosa a digestire, vecchio come
io sono, soglio dall’uno sole all’altro averla digestita».
151 Alberti, I libri della famiglia, l. IV, p. 284, rr. 3-10.
152 Sul Benzi, docente per un quadriennio presso lo Studio di Parma subito dopo la riapertura ad opera di Niccolò
d’Este sul finire del 1412, in seguito impegnato presso diverse sedi universitarie, nonché protagonista del Concilio
di Ferrara, cfr. soprattutto D.P. Lockwood, Ugo Benzi
Medieval Philosopher and Physician, 1376-1439, Chicago,
Ill., University of Chicago Press, 1951; Benzi, Ugo, in Dizionario Biografico degli Italiani, VIII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1966, pp. 720-723. Quanto a Michele Savonarola, professore presso lo studio ferrarese a
147
ida mastrorosa
stre Nicolò Leoniceno, giuntovi probabilmente a partire dal 1464 come
docente nel campo matematico, filosofico e medico,153 ci riconducono
seppur per ragioni accidentali dettate dall’encomiastica del tempo anche
le orme dell’Alberti lettore di opere ippologiche e ippiatriche sulla cui
scorta s’inquadra l’erudita tessitura tecnica del De equo animante.154
Scaturito in realtà da un episodio occasionale, vale a dire a seguito
dell’incarico nella veste di giudice ed esperto affidatogli dai Ferraresi,
desiderosi di celebrare il morto Niccolò III d’Este con l’edificazione di
un monumento equestre, il trattatello fu concepito fra il novembre del
1444 e il giugno del 1445 non già per illustrare i canoni artistici secondo cui avrebbe dovuto elevarsi l’equus più idoneo ad esaltare la memoria del nobile defunto, bensì a guisa di una vera e propria trattazione
tecnica sui cavalli. Seppur rispondente alla passione per essi nutrita da
Battista fin dagli anni giovanili, e coerente d’altra parte con l’interesse
riscosso dalle discipline ad essi attinenti fin dall’età medievale,155 esso fu
dottamente elaborato sulla scorta di dati e notizie evidentemente acquisite su una buona quantità di fonti tecniche forse reperibili presso la
cospicua biblioteca estense, comunque non del tutto estranee alle passioni elitarie delle corti umanistiche e agli interessi per la mascalcia coltivati in particolare a Ferrara,156 ma soprattutto doviziosamente catalogate sia al principio che alla fine dell’operetta:
Ea de re quos potui auctores nobiles et ignobiles, qui quidem quippiam de equo scriberent, multa industria collegi; atque ex singulis,
quicquid elegans dignumque adfuit, in nostris libellis transtuli. Hi
partire dal 1440, cfr. T. Pesenti Marangon, Michele Savonarola a Padova: l’ambiente, le opere, la cultura medica,
«Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 9-10
(1976-1977), pp. 45-102; Ead., Professori e promotori di medicina nello Studio di Padova dal 1405 al 1509: repertorio biobibliografico, Padova, LINT, 1984, pp. 187-196; D. Jacquart, Médecine et alchimie chez Michel Savonarole (13851466), in Alchimie et philosophie à la Renaissance, Actes du
Colloque international (Tours, 4-7 décembre 1991), réunis sous la direction de J.-C. Margolin et S. Matton, Paris, J. Vrin, 1993, pp. 109-122 (poi in Ead., La science médicale occidentale entre deux renaissances).
153 Sul Leoniceno e il suo magistero ferrarese, successivo alla laurea in artibus et medicina e ad un biennio di insegnamento a Padova, protrattosi per l’arco lunghissimo
di un sessantennio si veda soprattutto D. Mugnai Carrara, La biblioteca di Nicolò Leoniceno. Tra Aristotele e Galeno: cultura e libri di un medico umanista, Firenze, Olschki, 1991, con la pubblicazione dell’inventario inedito
della biblioteca dell’umanista vicentino, ricco di indizi utili per comprendere sul piano generale interessi e successo
riservato alle fonti della cultura scientifica classica nei secoli xv-xvi.
154 Il testo, già incluso nel corpus delle opere inedite curato dal Mancini (cfr. L.B. Alberti Opera inedita et pauca
separatim impressa, H. Mancini curante, Florentiae, Sansoni, 1890, pp. 238-256), può leggersi nella già citata seconda edizione del Videtta, adottata per le citazioni proposte
supra, nonché in quella di C. Grayson, Leon Battista Alberti’s De equo animante, in The Cultural Heritage of the Italian Renaissance. Essays in Honour of T.G. Griffith, edited by
148
fuere auctores, qui quidem ad manus nostras pervenere: Graeci Xenophon, Absyrtus, Chiron, Hippocrates et Pelagonius; Latini Cato,
Varro, Virgilius, Plinius, Columella, Vegetius, Palladius, Calaber,
Crescentius, Albertus, Abbas, Gallici praeterea, et Etrusci complurimi, ignobiles quidem, verum utiles atque experti.157
Institueram et de cura aegrotantium equorum aliquid conscribere,
sed cum tam multos auctores, tamque optimos: Absyrtum, Chironem, Pelagonium, Catonem, Columellam, Vegetium; tum et novissimos bonos utilesque hac in re scriptores: Palladium, Calabrum, Albertum, Ruffum, Crescentium, Abbatem et eiusmodi, docte et eleganter scripsisse.158
Sulla scorta di tali dichiarazioni esplicite di debito, peraltro confermate dall’analisi delle tessere che compongono il testo,159 possiamo certamente ipotizzare che Battista avesse letto il Peri; iJppikh'" di Senofonte, forse nella versione latina del Rinuccini160 e che avesse comunque
contezza delle sezioni ippologiche presenti nel poema georgico di Virgilio (Geo. 3, 72-88), nelle opere agronomiche di Varrone (Rust. 2, 7)
e di Columella (Rust. 6, 26-35), e nell’enciclopedia di Plinio il Vecchio (Nat. 8, 154-166). A fronte dell’apporto di tali testi, difficilmente
valutabile in termini specifici, risulta non meno interessante la lettura parimenti dichiarata e realmente probabile di trattatisti tardo-antichi (secc. iv-v) in lingua latina non soltanto d’ambito agronomico come Palladio,161 bensì più specificamente veterinario come Pelagonio162
C.E.J. Griffiths and R. Hastings, Lewiston, N.Y.-Lampeter, Edwin Mellen Press, 1993, poi in Id., Studi su Leon
Battista Alberti, a cura di P. Claut, Firenze, Olschki, 1998,
pp. 407-417, nonché in «Albertiana», 2 (1999), pp. 191-235.
155 Per un quadro d’insieme sull’epoca medievale cfr.
L. Brunori Cianti, L. Cianti, La pratica della veterinaria
nei codici medievali di mascalcia, Bologna, Edagricole, 1993;
Y. Poulle-Drieux, Pratique de l’hippiatrie à la fin du
Moyen Âge, in Comprendre et maîtriser la nature au Moyen
Âge. Mélanges d’histoire des sciences offerts à Guy Beaujouan,
Genève, Droz-Paris, Champion, 1994, pp. 329-336.
156 Sulle conoscenze di ippiatrica attestate nell’area per
il xv secolo si veda a titolo d’esempio il codice di provenienza ferrarese riprodotto in Hippiatria. Due trattati emiliani di mascalcia del sec. XV, edizione, introduzione e commento linguistico a cura di D. Trolli, Parma, Studium
Parmense, 1983.
157 Alberti, Il cavallo vivo [De equo animante], pp. 92-94.
158 Ivi, pp. 166-168.
159 Per l’analisi delle singole tessere ippologico-ippiatriche del trattatello e il loro rapporto con le diverse fonti
tecniche classiche si rimanda a I. Mastrorosa, L’ippiatrica antica e il De equo animante di Leon Battista Alberti,
in Dalla tarda latinità agli albori dell’Umanesimo: alla radice della storia europea, a cura di P. Gatti e L. de Finis,
Trento, Dipartimento di scienze filologiche e storiche,
1998, pp. 199-244, nonché alle più ampie indicazioni bibliografiche ivi fornite su contenuti e aspetti critico-testuali relativi alle opere adoperate da Battista.
160 Sull’influsso esercitato dalla lettura del trattatello senofonteo nella composizione del De equo animante, non
sfuggito a A. Monteilhet, Xénophon et l’art équestre, «Bulletin de l’Association Guillaume Budé», (1957), pp. 27-40:
36, ma sostanzialmente negato da J.K. Anderson, The Influence of Xenophon’s Art of Horsemanship, in Mélanges
Édouard Delebecque, Aix-en-Provence, Publications Université de Provence, 1983, pp. 15-16, cfr. soprattutto S. Salomone, Fonti greche nel “De equo animante” di Leon Battista Alberti, «Rinascimento», s. II, 26 (1986), pp. 241-250:
242-243 per l’ipotesi di una lettura del testo condotta da Alberti sulla scorta di una probabile traduzione di Lapo di Castiglionchio. Di recente la ripresa di Senofonte nel De equo
animante è stata sottolineata ulteriormente da J. Schiesari, Alberti’s Cavallo Vivo, or the “Art” of Domination, «Rinascimento», s. II, 43 (2003), pp. 3-13, peraltro non focalizzato sugli aspetti tecnico-scientifici dell’operetta albertiana.
161 Oltre alle indicazioni prettamente ippologiche fornite da Palladio in Opus agriculturae IV, 13, utili precetti ippiatrici si leggono anche nel XIV libro De veterinaria medicina, contenente indicazioni De equini generis medicina
nei capp. 22-27, scoperto e riattribuito all’autore al principio del secolo xx: cfr. J. Svennung, Om en nyupptäckt bok
av Palladius, «Eranos», 23 (1925), pp. 1-11; e Palladii Rvtilii Tavri Aemiliani […] Opus agriculturae. Liber quartus decimus de veterinaria medicina, edidit J. Svennung,
Gotoburgi, Eranos’ Förlag, 1926; più in generale, sulla presenza dell’opera nel xv secolo cfr. pure Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci […] Nuove ricerche, p. 239.
162 Circa l’attestazione umanistica dell’Ars veterinaria di
Pelagonio – per cui cfr. pure Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci, p. 156; Id., Le scoperte dei codici latini e
greci […] Nuove ricerche, p. 240 – gioverà ricordare l’im-
alberti e il sapere scientifico antico: fra i meandri di una biblioteca interdisciplinare
e Vegezio,163 accanto a cui deve almeno postularsi la conoscenza, forse
anche per semplice tramite di quest’ultimo che ne fa menzione nella
praefatio della sua opera, della cosiddetta Mulomedicina Chironis.164
Ciò detto, sulla scorta della sequenza di auctoritates proposta in apertura del De equo animante, occorre altresì presupporre l’acquisizione albertiana del nome di ippiatri di lingua greca,165 e in particolare di Apsirto166 ed Ippocrate,167 la cui presenza nel primo dei due canoni inseriti nel
De equo animante potrebbe essere considerata un indizio del fatto che
l’umanista avesse a disposizione il Corpus degli Ippiatrici Greci, dai quali potrebbe aver del resto attinto anche la versione greca del testo di Pelagonio, citato, forse proprio per tale ragione, fra le fonti greche.
Infine, travalicando la soglia del mondo antico, per ragioni di completezza tematica gioverà annoverare gli autori medievali in cui Battista doportanza del Riccardianus 1179 (R), copiato a Firenze nel
1485 per conto del Poliziano, nonché la presenza di alcune
sezioni dell’opera anche nel ms. Einsiedeln, Stiftsbibliothek, 304 (514), s. VIII-IX (E), su si vedano P.-P. Corsetti, Un nouveau témoin de l’ “Ars veterinaria” de Pelagonius,
«Revue d’Histoire des Textes», 19 (1989), pp. 31-56; J.N.
Adams, Notes on the Text, Language and Content of Some
New Fragments of Pelagonius, «Classical Quarterly», 42
(1992), pp. 489-509.
163 Sulla circolazione della Mulomedicina di Vegezio,
specificamente dedicata nei primi tre libri alla patologia
dei cavalli, oltre che dei muli, già presente nell’inventario
di Piero de’ Medici nel 1456, oltre a Sabbadini, Le scoperte
dei codici latini e greci, p. 129; Id., Le scoperte dei codici latini e greci […] Nuove ricerche, p. 258, con riferimento anche all’età medievale si vedano pure I. Mazzini, Contributi alla tradizione manoscritta e testo della Mulomedicina
di Vegezio da un inedito volgarizzamento anonimo basso
medievale, «RomanoBarbarica», 9 (1986-1987), pp. 153160; D. Trolli, Aspetti della fortuna di Vegezio nei secc.
XIII e XIV, in Tradizione dell’antico nelle letterature e nelle
arti d’Occidente. Studi in memoria di Maria Bellincioni
Scarpat, Roma, Bulzoni, 1990, pp. 186-192; V. Ortoleva, La tradizione manoscritta della “Mulomedicina” di Publio Vegezio Renato, Acireale, Sileno, 1996.
164 Per l’attestazione umanistica dell’opera, tramandata
nel Monac. lat. 243, del xv secolo, peraltro annoverata da
Alberti fra le fonti greche, cfr. pure Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci, p. 129; Id., Le scoperte dei codici
latini e greci […] Nuove ricerche, pp. 30, 209.
165 Per un approccio generale alle fonti ippiatriche greche – su cui rimangono ancora utili G. Björck, Zum Corpus Hippiatricorum Graecorum. Beiträge zur antiken Tierheilkunde, Uppsala, Lundequist, 1932; K. Hoppe, Mulomedicina, in RE, XVI, 1, 1933, coll. 503-513 – si vedano le
indicazioni bibliografiche fornite in Mastrorosa, L’ippiatrica antica e il De equo animante di Leon Battista Alberti, p. 206, n. 10.
166 Secondo l’ipotesi comunemente accettata, si tratta
del veterinario delle truppe militari di Costantino I, la cui
opera è contenuta in Corpus Hippiatricorum Graecorum,
ediderunt E. Oder et C. Hoppe, Lipsiae, in aedibus B.G.
Teubneri, 1924-1927, rist. anast. Stutgardiae, in aedibus
B.G. Teubneri, 1971 (cfr. e.g. I, 347) e nei Geoponica, 16, 1;
16, 3-8; 16, 13-16; 16, 19; 16, 21.
vette verosimilmente imbattersi durante la ricerca condotta a supporto
della composizione del suo trattatello, che sulla scorta dei nomi catalogati nelle rassegne sopra menzionate possono congetturalmente identificarsi in Bonifacio Calabro,168 Pietro de’ Crescenzi,169 dedicatosi alla trattazione dei cavalli in un’ampia sezione del IX libro dell’Opus ruralium commodorum, Giordano Ruffo,170 Alberto Magno171 e Teodorico da Cervia.172
Nel complesso, seppur ascrivibile ad un clima culturale che vide occasionalmente tradursi l’interesse per tematiche medico-zoologiche nella
composizione di opuscula monografici, quali ad esempio il De natura et
cura equorum, completato da Enea Silvio Piccolomini nel 1444,173 in verità singolarmente contiguo al trattatello albertiano, sia sul piano tematico che sotto il profilo cronologico, o ancora il De natura avium et animalium, composto da Pier Candido Decembrio prima della fine del 1460
167 Per l’identificazione dell’ippiatra indicato con tale
nome, citato nel sedicesimo libro dei Geoponica sui cavalli
(16, 20) e in CHG, I, 74, 15; I, 162, 11 sgg.; I, 346, 9 sgg.; II,
143, 16 ecc., nel quale si riconosce comunemente il veterinario vissuto al tempo di Costantino, cfr. comunque Trattati di mascalcia attribuiti ad Ippocrate, tradotti dall’arabo
in latino da maestro Moisè da Palermo, volgarizzati nel
secolo xiii, messi in luce da P. Delprato, Bologna, Romagnoli, 1865, pp. 101-142; E. Oder, C. Hoppe, Praefatio,
in CHG, II, pp. xi-xii; G. Björck, Griechische Pferdeheilkunde in arabischer Überlieferung, «Le Monde Oriental», 30 (1936), pp. 1-12. Sotto lo stesso nome si identifica,
inoltre, il cosiddetto Ippocrate Indiano (si veda G. Sponer, Die Pferdeheilkunde des Ipocras Indicus, Diss., Hannover, Tierärztliche Hochschule, 1966) vissuto due secoli
dopo alla corte del re persiano Cosroe (Brunori-Cianti,
La pratica della veterinaria, pp. 77 e 99, n. ad loc. cit.).
168 Per la citazione di tale fonte paiono preferibili le lezioni Palladius, Calaber e Palladium, Calabrum, proposte
nell’ed. Videtta (pp. 94, 168) in sostituzione delle lezioni
Palladius calaber e Palladium calabrum accolte nell’ed.
Mancini, pp. 240, 255, alla luce della possibile identificazione di Calaber con Bonifacio Calabro, maniscalco di
Carlo I d’Angiò, attivo nella seconda metà del xiii secolo, proposta da A. Videtta, Introduzione, in Alberti, Il
cavallo vivo [De equo animante], pp. 50-51.
169 Per un inquadramento recente dell’opera del Crescenzi, identificabile nel Crescentius citato da Alberti, cfr.
Petrus de Crescentiis, “Ruralia commoda”. Das Wissen
des vollkommenen Landwirts um 1300, hrsg. von W. Richter, zum Druck vorbereitet von R. Richter-Bergmeier, 4 voll., Heidelberg, Winter, 1995, I, Einleitung mit
Buch I-III, part. pp. v-lxxiii.
170 Vissuto alla corte di Federico II, presso la quale esercitò la mansione di veterinario, il Ruffo, cui pare riferibile
la denominazione Ruffus usata da Alberti, fu autore di un
De medicina equorum composto intorno al 1250, su cui oltre a R. Roth, Die Pferdeheilkunde des Jordanus Ruffus,
Diss., Berlin, Tierärztliche Hochschule, 1928 e La science
du cheval au Moyen Âge: le Traité d’hippiatrie de Jordanus
Rufus, édité par B. Prévot, Paris, Klincksieck, 1991, si vedano le indicazioni bibliografiche riportate in Mastrorosa, L’ippiatrica antica e il De equo animante di Leon Battista Alberti, p. 210, n. 18. Per un’ipotesi di identificazione
diversa si è espresso di recente A. Barbieri, Un caso di evo-
luzione del manoscritto nella Ferrara del medio Quattrocento, «La Bibliofilía», 106 (2004), pp. 267-275: 272-273 e n.
6, che ravvisa analogie di contenuto e iconografia tra il ms.
Lat. 96 (= a. F. 7. 25) della Biblioteca Estense di Modena,
contenente una copia manoscritta dell’opera di Lorenzo
Rusio, e il ms. It. 464 (= a. J. 3. 13) della medesima biblioteca, contenente un Trattato anonimo sulle malattie dei cavalli, nonché tra il primo e taluni luoghi del De equo animante, e ritiene che l’umanista, con un’operazione analoga a quella condotta sul piano iconografico dal miniatore
del secondo manoscritto, avesse compendiato il testo del
Rusio, sicché in quest’ultimo dovrebbe riconoscersi una
delle fonti menzionate nel trattatello albertiano e non in
Giordano Ruffo secondo la proposta del Videtta (Introduzione, pp. 53-54).
171 Autore già nel 1258 delle Quaestiones super “de animalibus”, Alberto Magno, cui può ricondursi la denominazione albertiana Albertus, compose inoltre fra il 1261 ed
il 1263 un trattato De animalibus di commento all’opera
aristotelica, su cui cfr. M.J.C. de Asúa, El “De animalibus” de Alberto Magno y la organización del discurso sobre
los animales en el siglo XIII, «Patristica et Mediaevalia», 15
(1994), pp. 3-26. Quanto all’occorrenza congiunta nel
passo albertiano di Albertus e Abbas = Theodoricus (si veda infra, n. 172), potrebbe non essere casuale: sui rapporti esistenti tra i due autori cfr. K.-D. Fischer, Zur Erstveröffentlichung einer spätmittelenglischen Pferdeheilkunde
(aus Ms. Sloane 2584) nebst Beobachtungen zu ihrer lateinischen, von Albertus Magnus benutzen Vorlage, in Gelêrter der arzenîe, ouch apotêker. Beiträge zur Wissenschaftsgeschichte, Festschrift zum 70. Geburtstag von W.F. Daems,
Pattensen, Wellm, 1982, pp. 221-238.
172 Su Teodorico Borgognoni, il vescovo di Cervia probabilmente indicato da Alberti con l’appellativo Abbas,
nonché autore nella Padova fiorente di studi medici del
xiii secolo di un’importante opera di Chirurgia e ancora
della Medela equorum cfr. A. Alecci, Borgognoni, Teodorico, in Dizionario Biografico degli Italiani, LII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970, pp. 772-773; per
l’opera veterinaria cfr. E. Dolz, G. Klütz, W. Heinemeyer, Die Pferdeheilkunde des Bischofs Theodorich von
Cervia, Diss., Berlin, Tierärztliche Hochschule, 1935, 3
voll., Trebbin-Stuttgart 1936-1937.
173 Per il testo del trattatello contenuto nella raccolta
epistolare dell’umanista cfr. Epist. 154 in Der Briefwechsel
149
ida mastrorosa
e dedicato a Ludovico III Gonzaga di Mantova, il De equo animante può
forse considerarsi sotto il profilo bibliografico il più felice esempio dell’attitudine dell’Alberti a condurre con erudita destrezza spogli mirati sul
piano contenutistico, vale a dire della sua abilità nell’identificare saperi disciplinari di origine antica, distinguendone opportunamente le fonti perfino sotto il profilo diacronico, come documenta la sequenza delle
auctoritates citate nei due canoni ippologici menzionati nell’operetta.
In conclusione, la nostra rapida scorsa fra gli scaffali della biblioteca
scientifica classica posseduta o comunque consultata da Battista conferma la vastità dei suoi interessi e la capacità di alimentarli attraverso
letture d’ogni tipo, inducendoci non soltanto a reputare veridici i lusinghieri giudizi riservatigli dal Landino174 e dall’Ambrogini,175 bensì a
identificare in lui il profilo di un cultore genuino quanto moderno del
sapere scientifico antico.
Pronto ad accogliere il pluralismo enciclopedico già caro agli scienziati ellenistici, Alberti non si limitò a recepirne le cognizioni senza so-
des Eneas Silvius Piccolomini, hrsg. von R. Wolkan, 4
voll., Wien, Hölder, 1909-1918, I, pp. 395-424.
174 Si veda il giudizio riservatogli nel contesto dell’epistola prefatoria al duca Federico da Montefeltro da Cristoforo Landino (Disputationes Camaldulenses, a cura di P.
Lohe, Firenze, Sansoni, 1980, p. 4): «Leonem Baptistam
Albertum, virum omnium, quos ego numquam viderim,
omni doctrinarum genere exercitatissimum et summa eloquentia insignem»; nonché ivi, p. 9: «in Baptistae sermonibus consumimus […] quid de litteris loquar, cum nihil
omnino extet, quod quidem homini scire fas sit, in quo ille scienter prudenterque non versaretur?».
175 Si ricordi l’elogio della pluridisciplinare onniscienza
albertiana nel contesto dell’epistola dedicatoria del Poliziano a Lorenzo de’ Medici: «Nullae quippe hunc hominem latuerunt quamlibet remotae litterae, quamlibet reconditae disciplinae» (Alberti, De re aedificatoria, p. 3).
176 La percezione della differenza che intercorre tra i due
approcci appare inequivoca e.g. nel III dei Libri della famiglia (Alberti, Opere volgari, I, p. 192, rr. 13-15): «E voglio testé favellare teco come uomo piú tosto pratico che
litterato, addurti ragioni ed essempli atti all’ingegno mio».
150
luzioni di continuità disciplinari metodologicamente miopi, bensì riuscì a coniugare una personale attitudine per l’erudizione con una mentalità pragmaticamente empirica.176 Consapevole, infatti, del lungo
processo che aveva scandito le fasi evolutive delle artes grazie al contributo del caso e dell’esperienza ma non meno della conoscenza,177 egli
seppe ripudiarne all’occorrenza l’astrattezza dottrinaria a favore di indagini rinnovate e costanti, allorquando tributarie perfino dell’apporto altrui,178 comunque dettate dall’esigenza e dal gusto di raccogliere,
reinterpretare e rivitalizzare le acquisizioni delle generazioni passate attraverso la memoria custoditane dai libri.
Per questa via, pur consolidata dalla lucida percezione dell’oggettiva
difficoltà dell’accesso alla conoscenza della natura179 e della perenne perfettibilità che la contrassegna,180 l’umanista poté concepire l’approccio
epistemologicamente più idoneo per un corretto avanzamento del sapere in nome del quale sarà lecito, in ultima istanza, considerarlo un
precursore ante litteram della scienza moderna.
Ma sull’importanza di una ripetuta osservazione diretta
dei fenomeni imprescindibile per garantirne la conoscenza si veda soprattutto Alberti, De re aedificatoria, I 6:
«huiusmodi omnia ex longa observatione repetenda sunt
et ex aliorum locorum similitudinibus comparanda, quo
tota ratio integrior habeatur» (p. 47); VI 3: «superiorum
exemplum et peritorum monitis et frequenti usu, admirabilium operum efficiendorum absolutissima cognitio» (p.
457). Del resto, non va dimenticato che un’equilibrata sintesi di ingenium, studium, doctrina ed usus costituiscono i
presupposti imprescindibili perché possa esservi un esercizio ottimale anche dell’architettura, secondo quanto emerge da De re aedificatoria, IX 10 (p. 855).
177 Cfr. Alberti, De re aedificatoria, VI 2: «non tamen
illud adsummo, ut prolixius rimari oportere censeam,
quibus primordiis manarint artes, quibus rationibus ductae, quibus alimentis creverint. Sit non ab re quod aiunt,
artium parentem fuisse casum atque adversionem, alumnum usum atque experimentum, cognitione vero atque
ratiocinatione excrevisse; […] itidem […] et plerasque
omnes istiusmodi artes minutis additamentis excrevisse»
(p. 451).
178 Cfr. e.g. ivi, II 4: «Sequemur igitur ea colligentes,
quae probatissimi pluribus et variis locis tractavere. Addemus etiam nostro pro more, siqua ipsi ex maiorum operibus aut ex peritorum artificum monitis annotarimus,
quae ulla ex parte dicendis conferant» (p. 111); VI 3: «superiorum exemplis et peritorum monitis et frequenti usu,
admirabilium operum efficiendorum absolutissima cognitio» (p. 457); X 3: «Non illa philosophantium hic prosequar […]. Illud non praetereundum est, quod ipsis oculis perspicimus» (p. 887). Sul ruolo attribuito agli esperti,
cioè ai periti intesi stricto sensu o comunque a quanti possano garantire dati derivati dalla propria esperienza anche
semplicemente quotidiana cfr. inoltre ivi, I 10 (p. 69); II
1 (p. 101), nonché III 2 (p. 181).
179 Pare inequivoca l’ammissione contenuta ivi, X 3:
«[…] profecto naturam nosse minime facile et valde obscurum est» (p. 891).
180 Cfr. ivi, II 1: «Omnibus enim in rebus agendis multa tempus afferet, ut advertas atque perpendas, quae te vel
solertissimum fugerant» (p. 101).