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RIVISTA DI STUDI MILITARI – Anno 2016 – n. 5 issn 2279-9583 Marco Merlo I. ArmAmentI e gestIone dell’esercIto A sIenA nell’età deI PetruccI. le ArmI* Abstract To affirm his political regime, Pandolfo Petrucci (1452-1512) took advantage of the potentialities given by the Camera del Comune. It had been the arsenal of the city of Siena for a long time, but Pandolfo changed its organization and widened its assignments. The maintenance and production of weapons was still the principal purpose of this institution of the city. Under Pandolfo the production of artilleries, ammunitions and the fortification activity was increased, thanks to specialists like Francesco di Giorgio, Giacomo Cozzarelli and Vannoccio Biringucci, personalities who deeply influenced the technical and military culture of all Europe. The Camera del Comune also managed the military intelligence, useful tool to the dissembling politics of the Petrucci, and to the management of the army. The Army of Siena was composed by a Condotta in Aspetto, which Pandolfo used to create alliances. But the most important troops were the Provvisionati di Piazza, a professional infantry faithful to the political regime and depending, both economically and for the supply of weapons, on the Chamber of the town and the leadership of Pandolfo. The military politics of Pandolfo Petrucci brought Siena among the greatest European powers of that time but its purposes, mainly finalized to the maintenance of his own personal power, obstructed a true modernization of the war apparatus of Siena, which in the following years had been inferior than its adversaries. KEYWORDS: Siena - Pandolfo Petrucci - Camera del Comune - Provvisionati di Piazza - Weapons Sommario Per l’affermazione del proprio regime politico Pandolfo Petrucci (1452-1512) sfruttò le potenzialità offerte dalla Camera del Comune. Questa era da sempre l’arsenale della città di Siena, ma Pandolfo ne mutò l’organizzazione e ne allargò i compiti. La conservazione e produzione delle armi era ancora il principale scopo di questa istituzione cittadina. Sotto Pandolfo fu incrementata la produzione * Il presente lavoro nasce da una ricerca interdisciplinare incentrata sulla Camera del Comune di Siena alla ine del Quattrocento, svolta insieme a Roberto Farinelli, che ringrazio vivamente, i cui primi risultati sono stati presentati durante le giornate di studio in memoria di Giuseppe Chironi, L’età dei Petrucci: cultura e tecnologia a Siena nel Rinascimento, tenuto presso l’Archivio di Stato di Siena il 19 e 20 ottobre 2012, di cui è prevista la pubblicazione degli atti. Desidero inoltre ringraziare per le importanti segnalazioni Philippa Jackson, Petra Pertici e Giorgio Dondi. 66 RIVISTA DI STUDI MILITARI di artiglierie, munizioni e i lavori alle fortificazioni, grazie a specialisti come Francesco di Giorgio, Giacomo Cozzarelli e Vannoccio Biringucci, personalità che influenzarono profondamente la cultura tecnica e militare di tutta Europa. La Camera gestiva anche lo spionaggio militare, strumento utile alle politiche dissimulatorie del Petrucci, e alla gestione dell’esercito. A Siena la forza armata era composta da un Condotta in Aspetto, che Pandolfo sfruttò per creare alleanze. Ma le truppe più importanti erano i Provvisionati di Piazza, una fanteria professionale fedele al regime politico e che dipendeva, sia economicamente sia per l’approvvigionamento di armi, dalla Camera del Comune e dalla leadership di Pandolfo. Le politiche militari di Pandolfo Petrucci portarono Siena tra le grandi potenze europee dell’epoca, ma i suoi scopi, finalizzati quasi esclusivamente al mantenimento del proprio potere personale, non resero possibile un vero ammodernamento dell’apparato bellico senese, che negli anni seguenti si trovò in inferiorità rispetto ai suoi avversari. PAROLE CHIAVE: Siena - Pandolfo Petrucci - Camera del Comune - Provvisionati di Piazza - Armamenti. Introduzione Nella Siena della seconda metà del Quattrocento la conservazione e la manutenzione delle armi era un compito che spettava alla Camera del Comune, antica e importante istituzione cittadina. Questa era gestita da tre Provveditori eletti sulla base dell’appartenenza politica, uno per ogni Monte, i gruppi ereditari di governo protagonisti della vita politica senese in dal XIV secolo. Pandolfo Petrucci, nel suo progetto politico inalizzato all’accrescimento del proprio potere personale, sfruttò appieno le potenzialità oferte della Camera del Comune, modiicandone l’assetto istituzionale e allargando i compiti dei Provveditori anche verso la gestione delle truppe al soldo di Siena. Le più antiche tracce documentarie della Camera del Comune si trovano nei registri della Biccherna degli anni Quaranta del Duecento e la sua più antica regolamentazione è contenuta nello statuto del 12621. Nel corso dei secoli i suoi compiti speciici mutarono con l’avvicendarsi dei regimi politici, ma non perse mai la sua vocazione spiccatamente militare, in particolare conservò sempre la funzione di arsenale cittadino. Giuseppe Chironi nel 19932 evidenziava come nel 1495 furono nominati Provveditori della Camera non tre personalità in base alla ripartizione politica, come era accaduto ino a quel momento, ma quattro personaggi il cui unico denominatore comune professionale, prima ancora che politico, era la competenza in materia militare: Pandolfo Petrucci, Paolo Salvetti, Francesco di Giorgio Martini e Paolo Vannocci Biringucci. Quindi Chironi sottolineava come la loro gestione fu caratterizzata dalla volontà di far divenire la Camera 1 2 Sulla Camera del Comune nel Duecento: MERLO 2013a, pp. 36-39. CHIRONI 1993, pp. 375-395. Anno 2016 – n. 5 M. MERLO, Armamenti e gestione dell’esercito a Siena nell’età dei Petrucci. Le armi 67 il centro direttivo di tutte le attività che riguardassero la macchina bellica cittadina. Ed è proprio partendo da questa osservazione che oggi possiamo provare a guardare nel dettaglio le funzioni strettamente militari della Camera, le competenze tecniche di Provveditori e operai, e quanto il loro ruolo sia stato determinante per la crescita e l’afermazione del regime di Pandolfo Petrucci. Le funzioni istituzionali A Siena, principalmente per ragioni orograiche, non fu mai possibile installare una produzione armiera autonoma, contrariamente all’avversaria Firenze che in questo settore, già dalla ine del XIII secolo, poteva vantare una notevole produzione e commercio3. Anche al di fuori delle mura urbiche la situazione non favoriva una produzione di armi di qualità, in quanto il ferro estratto dalle Colline Metallifere e dall’Elba era poco adatto alla forgiatura di questo genere di prodotti, come aferma Vannoccio Biringucci che, grazie alla grande esperienza accumulata in materia, nel 1513 sostituì il padre Paolo4 nel ruolo di operaio della Camera del Comune5. Vannoccio aferma nel suo De la Pirotechnia, dato alle stampe nel 1540, che con il ferro elbano e maremmano non si riesce a lavorare armi di qualità, anche con i particolari procedimenti inalizzati alla produzione di un buon acciaio, afermando che «puosi far questo d’ogni miniera et così d’ogni ferro fatto fare acciaro» ma sottolinea come «si fa meglior più d’una miniera che d’un altra, et più d’un carbone che d’un altro», concludendo che i migliori acciai, soprattutto per la produzione armiera, sono prodotti in Fiandra e in «quel di Valchamonica in Bresciana», dove si trovano miniere e ferriere in cui era più conveniente acquistare il pre-lavorato o addirittura forniture di armi già forgiate6. Quindi la principale responsabilità della Camera del Comune era quella di conservare le armi cittadine, un compito di vitale importanza, necessariamente diversiicato, che ha rappresentato un’attività strategica per l’intera politica senese nel corso di tutta la sua storia. Per svolgere i suoi compiti la Camera continuava a esigere particolari imposte, il cui introito veniva destinato all’acquisto di nuove armi7. Una voce dell’inventario del 1460 annota essere conservati «cannoni e cannoncelli da bombardelle tristi e gattivi non si 3 BOCCIA 1973, pp. 193-212; MERLO 2015b. Speciicatamente sulla produzione armiera a Firenze nel Quattrocento: SCALINI 1990, pp. 83-126, in particolare le note 1 e 2 a p. 83. 4 Paolo sostituì il Sozzini nel 1504 come armamentarius della Camera: ASSi, Balìa, 50, 85r. 5 ASSi, Balìa, 60, c. 8v. Sulla tradizione familiare e il ruolo di Paolo e Vannoccio nella Camera del Comune: CHIRONI 2000, pp. 101-130. Sulla cultura e le esperienze di Vannoccio: VITALE BROVARONE 1995, pp. 185-195; BERNARDONI 2007, pp. 93-103; ID 2008a, pp. 498-511. 6 Le citazioni di Biringuccio e le considerazioni sugli acciai migliori per la lavorazione delle armi in: DONDI 2011, p. 16. 7 Il registro 14 della Camera è ricco di tali imposte, troppo numerose per essere elencate in questa sede, registrate seguendo sempre il medesimo formulario, in cui è segnato il nome della persona o della comunità che versava l’imposta, la cifra e la tipologia di armi che sarebbero state acquistate (in genere balestre, artiglierie o polveri nere): Archivio di Stato di Siena (d’ora in avanti ASSi), Camera del Comune 14. issn 2279-9583 68 RIVISTA DI STUDI MILITARI trovano da vendere»8, segno evidente che le armi ormai obsolete venivano reimmesse sul mercato privato. Il 15 settembre 1506 vennero vendute a Pierfrancesco Piccolomini dalla Camera un’artiglieria e munizioni per un valore di 1230 lire9. Diciannove anni dopo, il 1 settembre 1525, fu stabilito che i Provveditori e gli operai della Camera dovessero entrare in possesso del denaro dovuto dai creditori della Repubblica e rientrare in possesso delle artiglierie dislocate nel territorio, che avrebbero dovuto vendere, e con il ricavato acquistare nuove armi10. Gli inventari della Camera del Comune redatti negli anni della signoria di Pandolfo Petrucci sono andati perduti, e sappiamo che nel 1499 un operaio della Camera fu incaricato dalla Balìa di redigere un nuovo inventario che non si è conservato ma di cui abbiamo qualche notizia all’interno delle disposizioni della Balìa11. A oggi rimangono solamente quelli dell’anno 146012 e del 155213, però suicienti per donare un’idea della tipologia di armamento che competeva alla Camera14. Come nel Duecento una delle principali attività era ancora la conservazione, l’acquisto e la manutenzione delle balestre, dei verrettoni e dei meccanismi di ricarica, tanto che, com’è noto, i registri della Camera numerati dall’undicesimo al quattordicesimo, sono detti Libri delle balestre15. Ancora per tutto il Quattrocento, e buona parte del secolo successivo, la balestra continuò a essere la principale arma lanciatoia delle fanterie16. La semplicità nel suo maneggio era stato uno degli elementi che aveva concorso all’enorme fortuna che quest’arma riscosse nel Medioevo e nel Rinascimento rispetto alle altre armi lanciatoie, non richiedendo né prestanza isica né particolari e lunghi addestramenti. Inoltre dal XV secolo il metodo di produzione era relativamente economico e anche non necessitava per un armaiolo possedere particolari conoscenze o attrezzature: questo aspetto lo si può osservare nelle illustrazioni di alcuni libri a stampa della seconda metà del Cinquecento, come le immagini delle diferenti botteghe armiere nel volume Stände und Handwerker di Jost Amman, stampato a Francoforte nel 156817. 8 ASSi, Camera del Comune 18, c. 4v. ASSi, Notarile ante-cosimiano,1055, alla data. 10 ASSi, Balìa 80, c. 32r. Dovevano essere comprati cento archibusi per le milizie di guardia al Palazzo e alla città e sessantuno schioppi, da aggiungere ai trecento già ordinati per il “centurione” di Siena. 11 ASSì, Balia, 45, c. 56r; ASSi, Balia, 253, c. 67v. 12 ASSi, Camera del Comune, 18. 13 ASSi, Camera del Comune, 19. 14 Tuttavia in questa sede l’inventario del 1552 sarà usato solo come confronto, in quanto le tipologie di armi e, di conseguenza il lessico, dopo il 1510 subirono nuove e importanti evoluzioni. Invece l’inventario del 1460 è, per tipologia di armi e lessico, ancora simile agli usi guerreschi della ine del secolo e l’inizio di quello successivo. In questo senso è molto più vicino alla terminologia usata da Ridolfo Capoferro nel suo trattato di scherma (CAPOFERRO 1610), edito a Siena nel 1610 nella tipograia di Salvestro Marchetti e Camillo Turi, in cui l’autore, sebbene dedichi l’opera a Federico Ubaldo della Rovere duca di Urbino, dice essere «maestro della eccelsa nazione alemanna nella inclita città di Siena». 15 Una mano, probabilmente del XVIII secolo, ha disegnato sulle coperte dei faldoni di questi registri delle balestre. 16 MALLET 2006, pp. 158-159; HALL 1973, pp. 527-533. 17 NICKEL 2002, pp. 6-8. 9 Anno 2016 – n. 5 M. MERLO, Armamenti e gestione dell’esercito a Siena nell’età dei Petrucci. Le armi 69 Oltre la seconda metà del XV secolo iniziarono a essere prodotte balestre con l’arco in acciaio, con una potenza di tiro superiore anche ai modelli coevi di armi da fuoco manesche. Al ianco delle balestre da guerra esisteva una produzione, molto spesso di lusso, di esemplari da caccia, in cui gli armaioli tedeschi furono celebri maestri, che continuò ino agli inizi del XVIII secolo18. Nella Camera erano conservate circa duecento balestre, tra cui venticinque “magagnate”19, probabilmente in attesa di essere riparate20, con i relativi meccanismi di ricarica, che nell’inventario del 1460 sono suddivisi in due sole tipologie: “a girella” e “a mulinello”. Sono contate 187 “girelle” da balestra21, ma queste sono in numero inferiore rispetto a quelle a “mulinello”. Per “girella” è inteso il meccanismo di ricarica noto come martinetto, un meccanismo ideato alla ine del XV secolo, ancora abbastanza lento per ricaricare ma molto pratico e dalle dimensioni contenute22. Il martinetto, issato al teniere della balestra tramite una corda, si compone di una cremagliera dentellata, culminante con un doppio crocco da assicurare alla corda, che passa dentro un blocchetto rotondo, all’interno del quale vi è un ingranaggio dentellato circolare che viene fatto girare tramite una manovella. Quando questa viene girata, generalmente tre volte, la cremagliera viene mossa all’indietro ino a quando la corda non si assicura del tutto alla noce. Questo sistema permetteva di caricare balestre con archi d’acciaio, come si osserva in uno degli afreschi delle lunette del cortile del castello di Issogne, datato tra il 1499 e il 1509, in cui è raigurata una grande balestra con un potente arco d’acciaio con il suo martinetto, aiancata a una balestra a leva, a un cazafrusto e a due archibugi23 ; tuttavia questo sistema, sebbene pratico, era lento rispetto al meccanismo che nell’inventario senese è detto “a mulinello”. Questa era un’invenzione del XIV secolo, visibile in numerose miniature della Chroniques di Froissart24 e raigurato ancora alla metà del XVI secolo in una xilograia dell’Historia de gentibus septentrionalis di Olaus Magnus, pubblicato a Ginevra nel 1555. Questo era un meccanismo, chiamato anche verricello, che andava posizionato sulla parte terminale della balestra, che doveva essere appositamente adattata, e difatti nell’inventario del 18 La produzione di casse delle balestre tedesche, intarsiate in avorio e madreperla, inluenzò profondamente anche la produzione delle casse delle armi da fuoco a ruota della Sassonia e della Slesia. Proprio dalla ine del XVI secolo iniziò un’importante produzione di balestre a pallottole che, sebbene pensate per scopi venatori, furono in alcune circostanze utili anche in guerra. BOCCIA 1967, pp. 42-69, 99; BLACKMORE 1971, pp. 172-215. 19 ASSi, Camera del Comune 18, c. 2r. 20 Per la riparazione sono anche presenti 150 “gancette” da corde da balestra: ASSi, Camera del Comune 18, c. 9r. 21 ASSi, Camera del Comune,18, c. 9r. 22 Un esemplare coevo all’epoca di Pandolfo Petrucci si osserva nel Martirio di San Sebastiano di Dürer del 1495. Il suo funzionamento è chiaro osservando il balestriere inginocchiato nel Martirio di San Sebastiano di Holbein Hans, dipinto nel 1516. Si può ancora osservare assicurato alla cintura di uno dei soldati nell’Adorazione del re di Pieter Bruegel, eseguito nel 1564. 23 A ulteriore dimostrazione che all’inizio del XVI secolo balestre e grandi ionde potevano ancora concorrere con le moderne armi da fuoco. 24 Il suo funzionamento si osserva bene nella miniatura di carta 60r del manoscritto, contenente le Chroniques, ms. fr. 2643, conservato a Parigi presso la Bibliothèque Nationale de France, datato alla ine del XV secolo. issn 2279-9583 70 RIVISTA DI STUDI MILITARI 1460 sono elencate 121 balestre a mulinello25, quindi modiicate per funzionare esclusivamente con i verricelli, contrariamente al martinetto che poteva essere assicurato a quasi tutte le tipologie di balestre in circolazione. I verricelli sono ulteriormente divisi in 66 modelli a due ruote e solo 3 a quattro ruote26. Infatti questo meccanismo funzionava con due corde, alla estremità di ognuna delle quali era alloggiato un crocco da assicurare alla corda. Le corde venivano portate in trazione girando due manovelle poste ai lati del calcio della balestra, azionate da un sistema di ingranaggi a ruota, simile a un piccolo argano. Il modello più vecchio funzionava con due ruote, mentre un modello nato intorno al 1450 funzionava con quattro, decisamente più agevole e rapido da usare27. Sono però conservate anche cinque balestre d’acciaio con un“cintolo fornito” e due corregge di cuoio da “crocchio”28, l’antico sistema di ricarica, evidentemente ancora usato29. Nell’inventario sono presenti diverse migliaia di verrettoni conservati in casse, segno evidente che nella Camera si conservava anche il munizionamento delle balestre. I verrettoni sono conservati sia completi30, già pronti per l’uso, sia sferrati, vale a dire privi della punta, ma sono conservati «undicimila ferri di guerrettoni senza l’aste»31. I verrettoni erano una delle poche tipologie di armi prodotte a Siena in dal Duecento32, perché la loro fabbricazione non necessitava di particolari materiali o competenze33. Un’incisione, tratta sempre dal libro di Jost Amman, raigura la bottega del fabbricante di berrettoni, e per la produzione delle punte sembra condividere gli stessi strumenti di un fabbro che forgia lame di falcetti da ieno. In area senese le punte di verrettoni erano di forme poco elaborate, in genere a cuneo, formate da una sola lamina di metallo ripiegata su sé stessa, più raramente con punta a sezione triangolare34. Ovviamente doveva essere rispettata una proporzione tra l’asta e la punta, ma era un lavoro relativamente semplice. Per issare la punta all’asta, in genere ancora priva di penne, e quindi impennarla, veniva usato un particolare strumento, simile a un tornio, rappresentato in un trattato del 150535. Tra il munizionamento per le balestre, nell’inventario del 1460, sono contati anche 50 ferri di verrettoni grossi da balestra da banco36, da cui apprendiamo che oltre la metà del Quat25 ASSi, Camera del Comune 18, c. 6v. ASSi, Camera del Comune 18, c. 2r. 27 SERDON 2005, pp. 36-37. 28 ASSi, Camera del Comune 18, c. 6v. 29 Si trattava di un semplice crocco, generalmente a due ganci, che era pendente da una cintura di cuoio. Il balestriere agganciava il crocco all’arco, tenendo ferma la balestra inilando il piede nella stafa, e rialzando la schiena issava l’arco alla noce. 30 Tremila verrettoni costavano a Siena 96 lire, come emerge da un pagamento per una fornitura di appunto tremila verrettoni da depositare nella Camera: ASSi, Balìa, 57, c. 59r. 31 ASSi, Camera del Comune 18, c. 8r. In genere le punte erano conservate in botti, come si vede nelle illustrazioni dell’arsenale dell’imperatore Massimiliano I: Vienna, Österreichischen Nationalbibliothek, Cod. 10816, c. 36r. 32 MERLO 2013a, p. 36. 33 Alcuni esemplari del XVI secolo sono conservati presso il Museo Nazionale del Bargello a Firenze (inv. R 215 a, b, c): CORTI 2011, scheda n. 24, pp. 94-95. 34 SERDON 2005, p. 295. 35 Berlino, Staatsbibliothek, codex germ. Quart. 132, c. 45r. 36 ASSi, Camera del Comune 18, c. 8r. 26 Anno 2016 – n. 5 M. MERLO, Armamenti e gestione dell’esercito a Siena nell’età dei Petrucci. Le armi 71 trocento erano ancora in servizio le grandi balestre da posta, già presenti nella Camera del Comune nel XIII secolo37, probabilmente a difesa delle mura urbiche. Non deve quindi stupire se anche nel campo delle artiglierie erano ancora considerate utili le vecchie macchine da lancio. Sempre nell’inventario del 1460 infatti sono ancora presenti due frombole da “bricola”38. Questa era un’artiglieria a contrappeso come il trabucco ma funzionante con due contrappesi laterali, un’arma pesante che con la sua rapida cadenza di tiro e potenza poteva competere ancora con le artiglierie a polvere. In genere le grandi artiglierie a trazione, quelle non costruite direttamente sul campo d’assedio e poi demolite, venivano conservate in luoghi pubblici, sia all’aperto sia al chiuso, come avveniva a Siena in dalla metà del XIII secolo39. Non era necessario custodire l’intera “bricola”, costruita con grandi travi di legno diicili da danneggiare, ma le ionde dovevano essere riposte con cura, e per questo motivo ne troviamo due nel 1460 e, ancora nel 1492, fu costruito un “ediitio”40 per la Camera del Comune, mentre non ce n’è più traccia nell’inventario del 1552, quando le artiglierie a polvere avevano ormai soppiantato gli armamenti più vecchi. Armi da fuoco e artiglierie Come nei decenni precedenti, in cui Siena si era distinta per essere polo d’attrazione e di formazione per i mastri di bombarde, la produzione delle artiglierie continuava ad essere molto importante, sia per la qualità sia per la quantità41. Anche per le artiglierie, come per le balestre42, i compiti della Camera comprendevano diverse mansioni. Sebbene i Provveditori fossero esperti colatori di armi da fuoco – personalità come Francesco di Giorgio, che sembra aver iniziato la propria carriera come fonditore di cannoni43, e Vannoccio Biringucci, che ideò nuovi metodi per produrre le artiglierie44 – alla Camera competeva, più che la produzione vera e propria, il controllo sul lavoro dei mastri di 37 MERLO 2013a, pp. 38, 55-56. ASSi, Camera del Comune 18, c. 4r. Alla stessa carta sono segnati attrezzi per il lavoro del bombardiere e carri per le artiglierie per i quali è speciicato essere stati fabbricati durante il soggiorno dell’imperatore Sigismondo, quindi vecchie di almeno trent’anni. 39 MERLO 2013a, pp. 52-57. 40 A Siena, in dal Duecento, erano chiamate “ediicia” le macchine belliche di grandi dimensioni, in genere artiglierie a contrappeso. In questo caso non sappiamo di che tipo di “ediitio” parli il documento ma possiamo essere certi si tratti di una macchina bellica di grandi dimensioni e, come tradisce il termine usato, di antica concezione. 41 ERMINI 2008, pp. 390-401; MERLO 2014, pp. 53-56. 42 La centralità delle balestre e delle moderne artiglierie nelle guerre di ine Quattrocento e inizio Cinquecento è ben sottolineata in una xilograia di Hans Burgkmair del 1519 in cui è raigurata una postazione d’artiglieria imperiale. Qui, al ianco di moderne artiglierie, di diferenti forme e calibri, sono riposte su delle rastrelliere le balestre e i turcassi con i verrettoni, pronti per l’uso. 43 BENELLI 2008, pp. 437-450. 44 Come le ruote idrauliche con ingranaggi azionati contemporaneamente da due alesatori, utili a forare le bocche dei cannoni: REID 2010, p. 166. Sull’importanza dell’alesaggio dei cannoni, ma più in generale dell’artiglieria, nei progressi scientiici del primo Cinquecento: BERNARDONI 2008b, pp. 201-218; ID 2009, pp. 3-33. 38 issn 2279-9583 72 RIVISTA DI STUDI MILITARI bombarde. Senza l’autorizzazione dei Provveditori della Camera non potevano essere prodotte nuove artiglierie45 e la città continuava ad attrarre mastri bombardieri, tra i quali è documentata l’intensa attività di Giacomo Cozzarelli46. Il Cozzarelli fu stretto collaboratore di Francesco di Giorgio, dopo che quest’ultimo aveva per lungo tempo collaborato con Lotto di Domenico47. Dal 1471 il Cozzarelli è autorizzato da Francesco a ricevere pagamenti a lui destinati ogni volta che si fosse trovato fuori Siena48, e in più occasioni, nel 1483 e nel 1488, il Cozzarelli stesso accompagnò Francesco di Giorgio a Urbino per lavorare insieme alle dipendenza del duca49. Ancora nel 1505, a quattro anni di distanza dalla morte di Francesco, i progetti dei due soci furono messi in pratica, quando furono iniziati i lavori per la fusione delle statue in bronzo degli apostoli, che erano stati appunto disegnate da Francesco e Giacomo50. Figura versatile anche il Cozzarelli, che in un documento del 1487 è qualiicato come carpentiere51, il quale fu impegnato, come vedremo più oltre, nella progettazione di fortiicazioni e nella fusione di artiglierie. In modo particolare osserviamo nella documentazione che i lavori di fusione del Cozzarelli dipendevano dalla Camera soprattutto per quanto concerneva i materiali. Il 5 maggio 1495 il fonditore attendeva a Montepulciano ancora i soldi per procurarsi il metallo per colare nuove artiglierie52; il 4 giugno dello stesso anno il Cozzarelli doveva restituire 1200 lire, per un quantitativo di bronzo con cui gettò, su commissione della Camera del Comune, un «chortalldo a modo di quelli de’ re di Francia», segno evidente che i grandi cannoni condotti dall’armata di Carlo VIII avevano inluenzato profondamente l’artiglieria italiana. Ma nel gennaio 1496 è lui che deve ricevere 800 lire per la gettatura di due “chordalldi”, avvenuta a Montepulciano53. Sempre a Montepulciano Cozzarelli aveva gettato delle artiglierie, come riferisce il Bichi, ma per continuare il lavoro aveva bisogno dalla Camera di un invio immediato di stagno54. Mentre il 20 aprile 1507 è Vannoccio Biringucci a consegnare al Cozzarelli 1200 libbre di bronzo per gettare artiglierie55. In generale la fusione di nuove artiglierie 45 Come il 17 marzo 1502, quando senza autorizzazione dei Provveditori in città non furono prodotte artiglierie per tre mesi: ASSi, Balìa 48, c. 173v. 46 MILANESI 1856, pp. 28-29. 47 CHIRONI 1991, p. 471 e nota 9. 48 Una prima volta nell’ottobre 1471 (ASSi, Ospedale 858, II, c. 53r.) e poi nel gennaio 1492 (CHIRONI 1991, III.141, p. 479), quando Francesco si trovava presso il duca di Calabria. 49 Rispettivamente: ASSi, Lira, 213, denunzie n.19; ASSi, Lira, 213, denunzie. 50 ASSi, Balìa 51, deliberazioni, 59r. 51 Il documento elenca i tecnici nominati per la supervisione e il controllo dei lavori svolti da Francesco di Giorgio: ASSi, Biccherna, 799, deliberazioni, c. 67v. 52 ASSi, Balìa 553, c. 48r. 53 Rispettivamente: MILANESI 1856, pp. 28-29. 54 ASSi, Balìa 553, c. 96r: «Et gittata una di queste artigliarie ha facto il Cozarello et gia ne e scuperta una parte, et per quello si possi vedere et per lo gitto quando si fece et quello che e scuperto in ino al presente e venuta benissimo ha gittato quella che e con la coda. Di questa altra septima vole gittare la altra bisogna che le S.V. mandino il più presto si può libre centocinquanta di stagno per allegare lo metallo per l’altra». 55 ASSi, Camera del Comune 14, c. 243r. Anno 2016 – n. 5 M. MERLO, Armamenti e gestione dell’esercito a Siena nell’età dei Petrucci. Le armi 73 e il reperimento del metallo per gettarle era responsabilità della Camera, come emerge chiaramente da un documento dell’aprile 150256. Era responsabilità della Camera del Comune anche la rifusione delle vecchie artiglierie per ricavare il metallo per gettare nuove armi da fuoco, come la grande bombarda, chiamata Desperata, gettata alla metà del XV secolo e fusa nell’ottobre del 1495 per riusare il metallo nella produzione di nuove armi57. Allo stesso modo nel 1525 fu dismessa e rifusa una grossa bombarda che si trovava nella rocca, da cui la Balìa stimava di ricavare moltissimo metallo58. Le grandi bombarde della metà del Quattrocento non devono essere confuse con le celebri cortane, grandi artiglierie della ine del secolo, che nei documenti senesi sono dette “chortallde” o “alla francese”, cannoni di grosso calibro che, grazie ad alcune innovazioni tecniche59, rispondevano alle esigenze di maneggevolezza e robustezza avvertita dai teorici dell’artiglieria, tra i quali Vannoccio Biringucci60, e venivano ancora richiesti e prodotti nel 152461. Le vecchie bombarde grosse alla ine del XV secolo invece erano armi ormai obsolete; intorno agli anni Quaranta ne erano state prodotte molte in tutta Europa, dalle dimensioni gigantesche e generalmente battezzate con un nome proprio, ma il loro impiego era diicoltoso, prima di tutto per il loro trasporto, come la celebre Mons Meg di Edimburgo62, che con le sue sei tonnellate di peso era diicile da trasportare, tanto che l’afusto su ruote si ruppe a pochi chilometri da Edimburgo durante il suo primo spostamento verso un campo di battaglia. Sparava palle di 180 kg e aveva una cadenza di tiro non superiore alle otto o dieci palle al giorno, con un rapporto tra la cadenza di tiro e danni causati molto svantaggiosa, tanto che fu dismessa dal servizio militare per divenire simbolo della città ed essere usata solo in cerimonie civili63, come la sua omologa Dulle Griet nella città di Gand e tutte le altre celebri artiglierie analoghe64. Le tipologie di armi da fuoco conservate nella Camera sono varie, ma occorre precisare che alla metà del XV secolo la terminologia tecnica era varia e discontinua, priva di uniformità e, anche all’interno di una stessa area linguistica, un oggetto poteva essere chiamato in modi diferenti. Gli inventari senesi superstiti donano un’ampia visuale sull’evoluzione della terminologia tecnica tra Quattro e Cinquecento. Tuttavia non possiamo essere certi che una determinata nomenclatura corrisponda a una precisa deinizione sul- 56 ASSi, Balìa 48, c. 10r. ASSi, Balìa 40, c. 38v 58 ASSi, Balìa 422, c. 54r. 59 RIDELLA 2009, pp. 17-18. 60 Si vedano le sue considerazioni in: BIRINGUCCI 1540, pp. 79a-b. 61 ASSi, Balìa 553, cc. 73r, 74r. 62 Fuso nel 1449 per volontà del duca di Borgogna Filippo il Buono e donato nel 1454 a Giacomo II di Scozia per aiutare il re scozzese nella lotta contro gli inglesi. 63 Anche in queste occasioni, in cui la grande bombarda sparava pochi colpi di salve, si danneggiava, come accadde nel 1685 quando, sparando un colpo a salve in occasione dell’ingresso a Edimburgo del duca di York, si spezzarono due degli anelli di ferro. 64 Sull’argomento: T’SAS 1969, pp. 13-82; PACIARONI 1983, pp. 98-111; SMITH -BROWN 1989; DIOTALLEVI 1990, p. 10. 57 issn 2279-9583 74 RIVISTA DI STUDI MILITARI la base di una casistica, seppure ampia, su scala nazionale65; pertanto, per riuscire a fornire una descrizione delle artiglierie conservate nella Camera, riporteremo la deinizione che dava Francesco di Giorgio nella sua classiicazione delle armi da fuoco66, anche se, pure in questo modo, si riscontrano delle discrepanze. Ad esempio l’artiglieria che nei documenti senesi degli anni Novanta del Quattrocendo è detta “chortalldo”, Francesco di Giorgio la chiama “cortana” e speciica essere «longa la tromba sua piedi VIII e la coda piedi IV; la pietra sua di libbre LX in C». Le cortane furono impiegate in modo massiccio dall’esercito di Carlo VIII67 e, constatate le ottime prestazioni, presto commissionate in tutta Italia, compresa Siena come visto poco sopra. Il modello disegnato da Francesco di Giorgio a corredo della deinizione infatti somiglia in modo inequivocabile alla bocca da fuco disegnata da una mano anonima su una coperta di uno dei registri del Concistoro68. Queste discrepanze lessicali si veriicarono principalmente perché nel XV secolo l’evoluzione delle armi da fuoco era talmente veloce, come aferma lo stesso Francesco di Giorgio69, da rendere la terminologia sempre arretrata rispetto alle recenti invenzioni. Occorre premettere altresì che le artiglierie in questi anni possono essere fatte sia in ferro sia in bronzo. Le artiglierie in ferro, generalmente erano forgiate con ferro fucinato e tenute insieme tramite doghe poste per il lungo, serrate da anelli esterni, mentre i modelli maneschi o di tipo mortaio potevano essere composti da un unico blocco di ferro; quelle in bronzo invece venivano colate, ma anche queste potevano essere frutto di un’unica fusione o, soprattutto per i grandi calibri, composte da moduli che venivano avvitati tra loro70. L’inventario del 1460 conta tre bombarde71. Sebbene il termine onomatopeico bombarda sia la più antica parola usata per indicare un’arma da fuoco, che divenne presto il termine generico per indicare un’artiglieria, per Francesco di Giorgio le bombarde costituiscono il primo gruppo della sua classiicazione. Queste devono essere lunghe dai quindici ai venti piedi, ma aggiunge overamente in altro modo si pigli la sua longhezza del diamentro delle sue pietre in questo modo: sia la gola overo coda della bombarda, longa due diametri della pietra, cioè 65 Molti inventari coevi usano la medesima nomenclatura per indicare oggetti diferenti. A titolo di esempio si vedano gli inventari delle fortiicazioni marchigiane, proprio perché nelle Marche furono attivi artiglieri e architetti senesi, come Francesco di Giorgio o il Cozzarelli: MAURO 1990, pp. 7-9. 66 Francesco di Giorgio aveva suddiviso le armi da fuoco in dieci classi, basandosi sul rapporto tra lunghezza della canna, diametro della bocca e peso del proiettile. Per rendere il discorso maggiormente comprensibile, ai margini della carta, Francesco disegna le dieci tipologie, apponendo su ognuna di esse il nome tecnico. Questa sua analisi, a cui si farà riferimento, è raccolta in una carta del Trattato di architettura di Firenze: Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. II.I.141, c. 48r. 67 SUSANE 1874, p. 95. 68 Coperta di ASSì, Concistoro 2557, piatto anteriore. 69 «E di questi simili instrumenti se trovato e truova più varie invenzioni»: Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. II.I.141, c. 48r. 70 Un’importante rassegna di artiglierie quattrocentesche in uso nel ducato di Borgogna, modelli del tutto simili a quelli italiani, si veda in: SMITH - DEVRIES 2005, pp. 261-342. Esistevano anche artiglierie colate in ghisa. 71 ASSi, Camera del Comune 18, c. 1v. Anno 2016 – n. 5 M. MERLO, Armamenti e gestione dell’esercito a Siena nell’età dei Petrucci. Le armi 75 intendendo per gola el vacuo dove sta la polvere; e la vite che congiongne la gola con la tromba sia uno mezzo del diametro, e la tromba sia V in VII diametri della pietra72. Il disegno a corredo della deinizione illustra una lussuosa bombarda, con gli elementi avvitati tra di loro, ma doveva ancora essere comune il modello formato da un’unica colata, come quelli che si vedono in alcune coperte di registri senesi73. Queste erano tipiche degli inizi del Quattrocento e probabilmente ancora in uso, in quanto nell’inventario del 1460 sono presenti due bombarde in ferro, di cui una grande, per le quali è speciicato essere state fatte da maestro Ugo74, che potrebbe essere Ugo di Gherardo Teutonico, attivo a Siena nel 140775; l’ipotesi di un uso delle artiglierie di inizio secolo ancora nel 1460 è avvalorata dalla presenza di tre bombarde di ferro dette “all’antica”, probabilmente il semplice modello a mortaio76. Mentre le due in bronzo erano di recente fattura, colate da maestro Agostino, da intendersi Agostino da Piacenza, mastro di bombarde attivo a Siena a partire dagli anni Cinquanta del Quattrocento77, che fece anche due cerbottane ancora presenti nell’inventario, quindi armi più moderne. Tuttavia nell’inventario sono presenti altre tre bombarde in ferro, prive di cannone, e due piccole con i “cannocelli”78. È probabile che molte di queste bombarde fossero composte a moduli, avvitati per i modelli in bronzo e a doghe per i modelli in ferro, in quanto nella Camera si conservano anche i pezzi singoli, come le “trombe” di ferro, vale a dire la bocca, anche secondo la terminologia di Francesco di Giorgio, per le quali è speciicato mancare il “cannone”79. Per “cannoni” s’intende la parte posteriore della bombarda, più sottile. Molte di queste armi funzionavano con il mascolo, un cilindro vuoto con un manico che serviva per ospitare la polvere nera e, una volta caricata la palla, veniva inserito nella culatta e chiuso grazie all’aggiunta di una zeppa o un cuneo. Si trattava di un’arma a retrocarica, la cui praticità era sminuita dall’impossibilità di chiudere in modo perfettamente ermetico la culatta, da cui fuoriusciva sempre una certa quantità di gas che ne diminuiva la potenza e la gittata, e quindi dal XVI secolo usate prevalentemente come artiglierie da murata. L’inventario speciica che uno di questi cannoni, descritto appunto come «cannone da mettere la polvere ne la bombarda», fu fatto da maestro Agostino80. Sono inoltre contati i “culacci”81, termine da cui è derivato l’odierno culatta e che Francesco di Giorgio invece chiama “gola”; tuttavia l’uso di questa parola nell’inventario farebbe pensare che possa trattarsi dei mascoli. 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. II.I.141, c. 48r. ASSi, Concistoro 2556, piatto anteriore, e Concistoro 2557, piatto posteriore. ASSi, Camera del Comune 18, cc. 1v, 6v. MERLO 2014, p. 54. ASSi, Camera del Comune 18, c. 6v. Sul modello mortaio di inizio XV secolo: MERLO 2014, p. 60. ERMINI 2008, pp. 390-401. ASSi, Camera del Comune 18, c. 4v. ASSi, Camera del Comune 18, c. 4v. ASSi, Camera del Comune 18, c. 1v. ASSi, Camera del Comune 18, c. 4r. issn 2279-9583 76 RIVISTA DI STUDI MILITARI L’inventario continua contando 171 spingarde “schiette” e due rotte82. La spingarda nel XV secolo era un’artiglieria da posta di medio calibro, in genere di fattura rozza, formata da tubi di ferro fucinati, saldati insieme tramite delle doghe83, che Francesco di Giorgio descrive essere lunga otto piedi e da caricare con palle di pietra di dieci libbre. In genere venivano posizionate sulle mura delle fortezze e delle città tramite delle robuste forcelle che, assicurate ai fusti, venivano issate in fori sulle mura in modo da direzionare il tiro e a tale scopo nell’inventario sono anche contate forche grandi, distinte dalle forche piccole84, utili per le armi da fuoco di minori dimensioni, tra cui una forca esclusivamente da cerbottana85. È speciicato che le cinque cerbottane dell’inventario erano in bronzo; queste erano armi da fuoco lunghe ma con una bocca di piccolo calibro. La deinizione fornita da Francesco di Giorgio prevede che siano lunghe da otto a dieci piedi, disegnate dallo stesso anch’esse a doghe, e che sparino palle di piombo di due libbre precise86, e per tale scopo erano conservate 44 “palozole” di piombo87. Secondo il Promis e l’Angelucci tuttavia, sulla base dei documenti italiani del XV secolo, la cerbottana poteva essere anche di dimensioni ridotte, facile da occultare e da usare a mano88. Dall’inventario sappiamo essere usate anche le “serpentine”, di cui erano conservati sei culacci e trentuno cannoni, tutti in bronzo89. Nella cronaca di Perugia di Matarazzo è spiegato che le “serpentinas” sono dette in volgare passavolanti90, termine che usa Francesco di Giorgio. Secondo l’architetto senese i passavolanti sono «longhe piedi XVIII incircha» e sparano una palla di piombo che deve possedere all’interno un’anima di ferro di sedici libbre91. Il disegno di Francesco di Giorgio però è diferente rispetto al disegno di un’artiglieria con la didascalia “passavolante”, che una mano anonima ha aggiunto alla base dell’afresco La battaglia di Poggio Imperiale, eseguito da Giovanni di Cristoforo Ghini e Francesco d’Andrea nella Sala del Mappamondo in Palazzo Pubblico a Siena. Questo sembra a doghe in ferro fucinato, mentre quello di Francesco di Giorgio è a moduli avvitati in bronzo, come quelle dell’inventario, in quanto sono contati i “culacci” e i “cannoni” in bronzo. Sono presenti anche le armi da fuoco manesche. Nel 1460 erano rimasti “cannoni” e “cannoncelli” da bombardelle rotti che la Camera avrebbe voluto vendere, ma per il loro stato di conservazione giacevano ancora nel deposito92. Si tratta della tipologia più antica di arma da fuoco manesca, ormai superata, montata su un teniere in legno. Chiamate 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 ASSi, Camera del Comune 18, c. 2r. Si veda la scheda II.c.23 a p. 376 in GALLUZZI 1991, irmata dal Boccia. ASSi, Camera del Comune 18, c. 1v. ASSi, Camera del Comune 18, c. 8r. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. II.I.141, c. 48r. ASSi, Camera del Comune 18, c. 4v. ANGELUCCI 1869, pp. 40-41 e nota 95. ASSi, Camera del Comune 18, c. 2r. MATURANZIO 1851, p. 64. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. II.I.141, c. 48r. ASSi, Camera del Comune 18, c. 4v. Anno 2016 – n. 5 M. MERLO, Armamenti e gestione dell’esercito a Siena nell’età dei Petrucci. Le armi 77 dal Taccola “bombardelle” solo nel De Machinis93, e in alcuni documenti senesi precedenti agli anni Cinquanta del XV secolo venivano anche chiamate “bonbardette da tenere a mano”94. Erano semplicemente formate da un tubo a doppio cilindro, con camera di diametro minore rispetto all’anima95. Molte possedevano una gorbia all’interno della quale inserire un bastone come manico e, alla bisogna, poteva essere usata come arma da botta, sfruttando, oltre ai cinque chili di peso, anche il crocco sotto la canna che serviva sia come fermo per il rinculo durante lo sparo, da issare alla forca, probabilmente quelle deinite piccole nell’inventario, sia come parte contundente durante la mischia96. Invece di grande uso per tutto il Quattrocento e il secolo successivo furono gli scoppietti. Nell’inventario sono 108, con venti “calzatoi”97, le bacchette per caricare le palle. Siamo nell’impossibilità di capire se si tratti delle prime bacchette oppure siamo ancora in presenza dei martelletti che descrive il Taccola98. Francesco di Giorgio speciica che lo scoppietto è «portabile in battaglia, longo piedi II in tre. La palloctta di piombo dramme IV in VI»99. Anche il termine “sclopum” fu una delle parole onomatopeiche più antiche usate per indicare un’arma da fuoco, ma nel XV secolo il suo diminutivo iniziò a deinire precisamente l’arma da fuoco manesca montata su un teniere. A corredo della deinizione Francesco di Giorgio disegna due modelli che hanno il meccanismo d’accensione a serpe100, innovazione tecnica applicata alle armi da fuoco manesche, documentata dal 1411, che segnerà le armi da fuoco per almeno trecento anni, in alcuni casi anche oltre101. Questo meccanismo ha alla base alcune modiiche della struttura originaria degli archibugi, che era molto semplice102: il focone venne trapanato sul lato destro della canna, anziché sul dorso come invece era sempre stato fatto ino a quel momento per tutte le armi da fuoco, e il teniere in legno, composto da un semplice bastone, scomparirà in favore di una cassa composta da un fusto, dov’è alloggiata la canna, e un calcio, iniziando a prendere al forma del fucile moderno. Il congegno di sparo è collocato lungo la mezzeria del teniere ed è molto semplice: un solo elemento metallico forma il serpentino, così chiamato per la tipica forma a S, i cui due bracci escono rispettivamente sopra e sotto il teniere. La leva da premere per lo sparo è mutuata dalla manetta della balestra. Stringendo la leva, la parte superiore del serpentino, a cui era issata la miccia sempre accesa, si poggiava sullo scodellino accendendo la 93 MERLO 2014, pp. 65-66. Solo a titolo di esempio: ASSi, Camera del Comune 11, c. 192v. 95 Per una descrizione si veda: MERLO 2014, pp. 59-60. 96 Un interessante esemplare, probabilmente di origine francese, è conservato al Museo Nazionale del Bargello a Firenze (inv. C. 1790). CORTI 2011, scheda 25, pp. 96-97. 97 ASSi, Camera del Comune 18, cc. 2r, 3v. 98 Sull’argomento: MERLO 2014, cit., p. 60. 99 Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. II.I.141, c. 48r. 100 Per una sintesi sull’evoluzione del meccanismo a serpe: CALAMANDREI 2003, pp. 19-40. 101 Armi di questo tipo verranno prodotte e impiegate da alcune truppe ancora nel corso del Settecento: DONDI 1981, pp. 19-31. 102 Che tuttavia non andava a modiicare la struttura essenziale della canna che rimaneva composta dalle due camere cilindriche. 94 issn 2279-9583 78 RIVISTA DI STUDI MILITARI polvere dell’innesco. Una volta terminata la pressione sulla manetta il serpentino riportava la miccia in posizione di riposo, senza ulteriori operazioni103. Questo meccanismo è riprodotto nel disegno di Francesco di Giorgio a illustrazione della deinizione104, ma attirò molti altri teorici, come Leonardo che lo riprodusse in una carta del codice conservato a Madrid105. Un sistema innovativo se osserviamo che nella Camera erano conservati 148 «ferri da gettare fuoco» nuovi106, il sistema d’accensione tradizionale, che continuava a essere usato per le artiglierie non manesche: la carica di polvere veniva innescata inserendo all’interno del focone un ferro piegato a L, la cui estremità più corta veniva arroventata; mentre il sistema a serpe fu il primo a prevedere l’uso esclusivo della miccia. Tuttavia nell’inventario del 1552 molte di queste artiglierie non compaiono più, e le armi da fuoco manesche sono dette “archibusi”, che per Francesco di Giorgio invece erano armi da fuoco da posta usate da un solo uomo, ma più grandi e pesanti degli scoppietti. Un inventario senese del 13 marzo 1556107 conferma questa tendenza, anzi le artiglierie di grosso calibro sono semplicemente dette “pezzi di bronzo”, fatto che ci indica come l’evoluzione dell’artiglieria iniziasse a stazionarsi su pezzi ormai standard e fossero quasi esclusivamente colate in bronzo. Era sempre compito della Camera del Comune soprintendere agli spostamenti delle artiglierie, soprattutto nelle fortiicazioni strategiche della Repubblica di Siena, come in Maremma o a Montepulciano durante la crisi con Firenze, come si vedrà meglio più oltre. Nel 1496 la Camera soprintese il trasporto di munizioni nel cassero di Grosseto108; nello stesso anno, furono condotte artiglierie e munizioni a Talamone109 e a Orbetello110;nel maggio, sempre del 1496, fu incaricato il camerlengo della Camera del Comune di rifornire la guarnigione di Massa Marittima di quanto occorreva per rendere eiciente la rocca, inviando artiglierie, balestre e due staia di polvere nera111, mentre nell’aprile del 1497 e nel giugno del 1499 fu munita la rocca di Porto Ercole112. Nel gennaio 1509 venne deliberato dalla Balìa che sarebbe stato compito dei Provveditori della Camera, attuali e futuri, soprintendere alle munizioni di Montepulciano113. Apprendiamo da un documento del mese se- 103 Per un’importante rassegna sugli archibusi a serpe: GAIBI 1969, pp. 3-12; DONDI 2009, pp. 49-98; DONDI 2010, pp. 4-34. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, II.I.141, c. 48r. CLEPHAN 1906, pp. 9, 40. 105 Madrid, Biblioteca Nacional de España, ms. 8937, c. 18v. 106 ASSi, Camera del Comune 18, c. 4v. 107 Si tratta dell’inventario delle artiglierie della rocca di Chiusi, contenuto in una carta volante: ASSi, Notarile antecosimiano, 2289. 108 ASSi, Camera del Comune 14, c. 45v. 109 ASSi, Balìa 41, 52v. 110 ASSi, Camera del Comune 14, c. 47v. 111 ASSi, Concistoro 1449, c. 9r. 112 Rispettivamente: ASSi, Concistoro 783, c. 8v e Balìa 45, c. 51r. 113 ASSi, Balìa 54, cc. 121r-122v: «veduto di quanta importantia sia la roccha di Montepucliano et veduto con quanto disordine male si guarda et veduto come tucte le artigliarie et le altre cose sono state tramandate et guasti che per lo advenire si intenda preveduto che li proveditori de la camera del comune di Siena, che al presente sono et che per lo advenire saranno, debino et sieno tenuti pigliare spetiale dessa Roccha et quella fare acconciare li acconci necessarii et che sia fornita d’artigliaria al bisogno et con queste et altre provisioni». 104 Anno 2016 – n. 5 M. MERLO, Armamenti e gestione dell’esercito a Siena nell’età dei Petrucci. Le armi 79 guente che per questi spostamenti venivano redatti gli inventari degli oggetti trasportati nei luoghi strategici, per poter essere recuperati e nuovamente ricollocati in altre località114. Gli spostamenti da Siena a luoghi lontani dovevano essere particolarmente diicoltosi a causa del peso dei cannoni di grosso calibro, e in questo senso bisogna leggere la grande quantità di progetti che Mariano di Iacopo Taccola prima, e Francesco di Giorgio poi (che in gran parte riprende le idee del Taccola), dedicano nei loro trattati agli argani per il sollevamento delle artiglierie. Queste invenzioni servivano anche per issare le bocche da fuoco nei punti più adatti per il tiro: come visto, Francesco di Giorgio divise le artiglierie in dieci classi sulla base del rapporto tra lunghezza della canna, il diametro della bocca e il peso del proiettile. Quindi ogni tipologia aveva prestazioni diferenti che necessitavano di particolari posizionamenti, stabiliti tramite misurazioni matematiche, e questo doveva essere fatto in modo rapido durante i combattimenti. Per tale motivo assieme alle artiglierie, sempre su responsabilità della Camera, venivano prodotte da maestri di legname gli afusti su ruote, che servivano per direzionarle sul campo115. Non casualmente è conservato a Siena un discorso anonimo sui calibri delle artiglierie116 di inizio Cinquecento, quindi precedente di qualche decennio alle teorie sull’artiglieria del Tartaglia. Con le bocche da fuoco venivano consegnati anche i proiettili, palle per i grossi calibri e “pallotte” per le armi manesche117, e per la loro produzione negli inventari del 1460 e del 1552 sono presenti i “cierchi” per produrre le palle di pietra118 e due crogioli da fonderle, certamente per quelle di piombo119. I “cierchi” erano delle forme circolari vuote che servivano agli scalpellini120 come misura per tagliere le palle121. Oggetti di questo genere sono raigurati negli afreschi del castello inferiore di Saluzzo, detto Castiglia, eseguiti nel 1492 in occasione del matrimonio tra Ludovico II, marchese di Saluzzo, e Margherita di Foix. Gli afreschi rappresentano trioni d’armi tra cui spiccano gli uncini inastati, simbolo di Ludovico II122, e diversi strumenti indispensabili per il lavoro dell’artigliere, tra cui martelli e scalpelli con i cerchi per fare le palle di pietra e crogioli, mestoli e stampi per fondere il piombo e colare le pallottole per le armi da fuoco manesche. 114 ASSi, Balìa 54, c. 142r. Il documento stabilisce che Girolamo Colonna dovesse riconsegnare ai Provveditori della Camera le artiglierie, il salnitro e tutto il materiale che aveva portato a Chiusi, in luogo degli eredi di Bartolomeo Tommasi, in modo tale che i Provveditori potessero mandare questo munizionamento al castellano della rocca Bernardino Baio, con il relativo inventario già in possesso del Colonna. 115 A titolo di esempio: ASSi, Notarile ante-cosimiano 1056, 10 maggio 1508. 116 Siena, Biblioteca Comunale degli intronati, ms. K.II.43, c. 58r. 117 Nell’inventario del 1460 le “palozole” di piombo servono per caricare le cerbottane: ASSi, Camera del Comune 18, c. 4v. 118 ASSi, Camera del Comune 18, cc. 1v, 7v; ASSi, Camera del Comune 19, c. 1v. 119 ASSi, Camera del Comune 18, c. 7r. 120 Durante la crisi con Firenze vengono mandati a Montepulciano degli scalpellini per scolpire palle di pietra per le artiglierie dislocate nel territorio poliziano: ASSi, Balìa 40, c. 38v. 121 Cinque palle in pietra da bombarda, sicuramente provenienti da Roma e datate agli inizi del XVI secolo, sono conservate al Museo Poldi Pezzoli di Milano (inv. 1747 A, B, C, D, E), le cui dimensioni vanno da un diametro di 130 mm a un massimo di 145 mm. 122 MERLO 2013b, p. 68. issn 2279-9583 80 RIVISTA DI STUDI MILITARI Un documento del 23 maggio 1502 testimonia che nella ferriera di Paolo Salvetti si producevano palle in metallo a base di antimonio, materiale che veniva fornito dalla Camera123. L’antimonio si lega con altri metalli per rendere più resistente la lega e nel Cinquecento era frequentemente usato per la produzione dei caratteri tipograici (piombo, stagno e antimonio). Legato al ferro lo rende più duro e più elastico, molto simile alla ghisa. Ciò che però è importante rilevare è che l’impulso dato da Pandolfo Petrucci e dai suoi soci nel campo della lavorazione dei metalli124, anche a scopo bellico, fu talmente incisivo che perdurò anche dopo la morte di Pandolfo, se nel maggio 1526 agli eredi del Petrucci fu richiesta una fornitura di palle metalliche125. Era quindi compito della Camera anche rifornire di polvere nera le postazioni d’artiglieria e gli archibugieri dislocati nelle altre aree strategiche126. Probabilmente questo era il compito più rischioso e delicato. È poco noto come durante il Quattrocento, in concomitanza con l’evolversi delle artiglierie, incominci un’intensa ricerca scientiica nel campo delle polveri nere, in grande evoluzione ancora per tutto il secolo successivo, in cui Siena fu all’avanguardia. Nella Camera erano conservati non solo barili di polvere già pronta, ma anche i tre ingredienti necessari per produrla: zolfo, carbone, salnitro. Non si trovano menzioni del carbone, probabilmente perché era la sostanza più comune e di facile reperimento, ma particolare rilevanza è data allo zolfo127, che nell’inventario del 1460 è descritto come «solfo giallo e buono»128, probabilmente di produzione locale, segnalato per l’ottima qualità. Dallo stesso inventario emerge però la diicoltà di reperire dell’ottimo salnitro, che infatti è distinto tra 2644 libbre di salnitro buono, la maggiore quantità, e 555 libbre di salnitro “gattivo”129, entrambe conservate in tasche, e ancora 660 libbre di salnitro in “bariglioni”130. Questa era la sostanza più diicile da reperire e, al contempo, quella indispensabile per il processo di delagrazione131. Già alla metà del secolo il Taccola segnava nei suoi 123 ASSi, Concistoro 1710, 23 maggio 1502: «facendo fare ala ferrera di Paulo Salvecti nostro dilectissimo cittadino buona quantita di palle di ferro per il bisogno della nostra republica ci è referito essere necessario per farle piu perfecte habere qualche somma di altimonio et pero intendendo costi retrovarsene ci piaceria grandemente che subito ne facciate caricare 700 in 800 lire et quello in mediate facciate portare a Monticiano e consignallo a Niccolo Salvecti la cosa riporta grandemente et e di bisogno di celerita siche vi fateci diligentia». 124 Sull’argomento si veda: FARINELLI – MERLO 2015. 125 ASSi, Balìa 84, c. 109r: «facere pileas ferras pro artigliariis de vena heredum Panduli de Petruccis existenti in Bocheggiano». 126 Nei documenti sopra citati, inerenti allo spostamento di artiglierie e munizioni, sono sempre presenti quantitativi di polvere nera già pronta, sia sottile sia grossa, e gli ingredienti per produrla, in particolare il raro salnitro. 127 La valutazione della purezza dello zolfo, ad esempio, fu uno degli aspetti più importanti, tanto che prima di essere venduto veniva accuratamente esaminato. In una miniatura dell’inizio del XV secolo si vede il mercante di zolfo far esaminare a un esperto un barile di zolfo fuso: Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Germanicus 600, c. 9r. Sulla purezza dello zolfo: CAFFARO – FALAGNA 2006, p. 81 e nota 174; TEOFILO MONACO 2000, pp. 106-107. 128 ASSi, Camera del Comune 18, c. 4r. 129 ASSi, Camera del Comune 18, c. 2v. 130 ASSi, Camera del Comune 18, c. 4r. 131 Sul salnitro a scopi militari nel Rinascimento: HALL 1997, pp. 74-79. Anno 2016 – n. 5 M. MERLO, Armamenti e gestione dell’esercito a Siena nell’età dei Petrucci. Le armi 81 manoscritti ricette con l’aggiunta di altri composti iniammabili, come l’arsenico, «proto polveri da sparo»132 utili per compensare la minore disponibilità della sostanza133. La curiosità dei teorici medievali per questo composto è dimostrata dalla probabile scoperta accidentale della polvere nera, per opera di Ruggero Bacone, avvenuta per caso mentre il frate stava conducendo esperimenti proprio sul salnitro134. Fino al tardo XIV secolo questa sostanza veniva raccolta esclusivamente dove si formava naturalmente, usata soprattutto in prodotti cosmetici, ma dagli anni Ottanta del Trecento fu possibile produrla artiicialmente per scopi bellici, e nel 1388 è documentata a Francoforte la più antica nitriera artiiciale135. Queste si presentavano come bacini in cui veniva mescolata terra, ceneri di piante, residui organici umettati con colaticcio di letame e urina136. Nel XV secolo il salnitro prodotto artiicialmente fu usato quasi esclusivamente per le forniture militari. Per avere un’idea di quanto il salnitro fosse raro e il suo commercio lorido basti osservare che nei Paesi Bassi e nel principato di Liegi, sia nel XIV sia nel XV secolo, a parità di peso, lo zolfo italiano d’importazione costava la metà del salnitro di produzione autoctona, sia allo stato naturale (detto “zolfo vivo”), sia in pani (“in canna”) sia frantumato (“in zolle”)137. A Siena, ancora nel 1511, il salnitro acquistato da Aldello Placidi fu pagato 1260 lire138; un quantitativo minore di salnitro, comprato nello stesso anno da Riccardo Cervini per essere portato a Montepulciano, costò 280 lire139. Per contro nel 1512 lo zolfo costava 28 lire ogni mille libbre, come si evince da una acquisto fatto dalla Camera di tremila once di zolfo140. Tuttavia la costruzione di nitriere artiiciali rimase una rarità, preferendo usare la raccolta del materiale dove si formava naturalmente o tramite la raccolta di materiale organico umano, in particolare l’urina, incarichi a cui generalmente venivano destinati uiciali pubblici con il compito di raccogliere il salnitro in cantine e stalle o recuperare ogni mattina i contenuti dei pitali141. A Venezia, ad esempio, dove lo sviluppo delle artiglierie e della polvere nera trovò precocemente uno spazio importante per la difesa del territorio e la guerra navale, furono create nitriere artiiciali per la coltura del salnitro solo a partire dalla metà del XVI secolo142; nella formazione dello Stato Sabaudo, Emanuele 132 CASTIGLIONI 2008, p. 29. MERLO 2014, pp. 60-61, 63. 134 CASTIGLIONI 2008, p. 29. 135 KELLY 2004, pp. 33-36. 136 DI MODICA 1995, pp. 120-125. Per un’accurata descrizione del funzionamento delle nitriere artiiciali si veda: CASTIGLIONI 2007, pp. 42-45. Un’immagine di una nitriera artiiciale è visibile nel trattato di Wilfried Tittmann, Die Salpeterhütte der frühen Neuzeit. 137 GAIER 1973, pp. 186-188. 138 ASSi, Balìa, 57, 58v. 139 Assi, Balìa, 57, 59r. 140 ASSi, Balìa, 59, 8r. 141 KELLY 2004, p. 35. Tali uiciali furono comuni in Europa ancora per tutto il XVIII secolo, detentori di particolari privilegi che spesso erano causa di abusi di potere: una delle principali accuse mosse allo scienziato Lavoisier, padre della chimica moderna, che lo condusse alla ghigliottina, fu appunto l’abuso di potere durante i suoi incarichi di “salnitriere”: DI MODICA 1995, p. 122. 142 Talmente importante per lo Stato veneziano che la sua raccolta fu istituzionalizzata e messa sotto il controllo del Provveditore delle Artiglierie: GIRARDI 1998, p. 11. 133 issn 2279-9583 82 RIVISTA DI STUDI MILITARI Filiberto, che avviò importanti riforme militari per ottenere un esercito competitivo sul piano internazionale, favorì la creazione di nitriere artiiciali solo nel 1576143. Tuttavia a Siena le colture di salnitro sono testimoniate già negli anni Trenta del XV secolo. Il 3 luglio 1430 venne dato in concessione al maestro di bombarde Antonio di Angelo «terrenum in quibuscumque socis in quibus non faceret damnum»144, disposizione che indica quanto fosse pericoloso questo lavoro. Incidenti mortali erano frequenti nel lavoro del mastro bombardiere. L’esperimento sul salnitro efettuato da Ruggero Bacone infatti, che probabilmente portò il frate a “scoprire” la polvere nera, causò l’esplosione del suo laboratorio, e lo stesso Bacone si salvò miracolosamente: da quest’episodio gli incidenti rimasero frequenti anche negli anni a venire145 ; solo a titolo di esempio 1456 il maestro di bombarde Maso di Bartolomeo morì a causa di un’esplosione nella sua oicina146, e nel 1460 addirittura il re di Scozia Giacomo II, durante l’assedio di Roxburg, rimase ucciso dall’esplosione di una bombarda, battezzata Leone, mentre stava ispezionando i pezzi che era solito manovrare personalmente147. Ancora nel 1478 a Parigi fu tentato di sparare una palla di ferro colato di 250 kg con una bombarda che era stata progettata per sparare palle di pietra di 80 kg: il risultato fu l’esplosione del pezzo che causò la morte di quindici persone, tra cui il fonditore della bocca da fuoco148. I rischi erano particolarmente elevati durante i procedimenti di produzione della polvere, molti dei quali derivati dallo sfregamento della polvere nel momento in cui gli operai mischiavano in maniera il più possibile omogenea lo zolfo, il carbone e il salnitro per creare la polvere ine, oppure dal processo di essiccamento al sole della polvere a granuli, che esponeva i pani di polvere a sbalzi termici molto rischiosi per la stabilità del composto149: queste erano alcune delle operazioni più comuni che però potevano facilmente causare delagrazioni accidentali. Da ciò si evince che la conservazione di tali sostanze nella Camera del Comune richiedesse una perizia nel loro maneggio, e quindi una specializzazione degli operai della Camera. Nel documento del 3 luglio del 1430 viene inoltre stabilito che i contadini debbano «cedere ligna silvestra pro faciando de salnitro» ainché il maestro potesse produrne la quantità necessaria per il suo lavoro150. Dagli anni Trenta a Siena la produzione artiiciale di salnitro a scopi bellici 143 Sui salnitrieri sabaudi in età moderna: CASTIGLIONI 2007, pp. 39-42, a p. 50 è citato il documento del 1576. Solo nel 1582 a Torino fu impiantata una fabbrica per la produzione della polvere nera, in cui era possibile lavorare il salnitro: BRIANTE 1995, p. 146. Si veda inoltre: BARBERIS 1995, pp. 154-156. 144 Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, G. MILANESI, Orafi e mastri di pietra, ms. P. III 23, c. 4r. 145 Alcuni interessanti esempi sono riportati in BRAVETTA 1919, p. 77. 146 HÖFLER 1984, pp. 389-394. 147 PETERSON 1963, p. 37. 148 RIDELLA 2009, p. 17 e nota 11. 149 La pericolosità dell’essiccamento può essere intuita dall’osservazione di una miniatura del tardo Quattrocento: Zurigo, Zentralbiliothek, Ms. rh. hist. 33 b, c. 36 v. 150 Diicile interpretare correttamente la decisione di raccogliere proprio la legna silvestre. Si potrebbe pensare che questa fosse necessaria ad accendere il fuoco, ma per tale scopo sarebbe stata suiciente qualunque tipo di legna. È anche probabile che la legna silvestre fosse usata per creare colture di salnitro. Infatti accatastando la legna appena raccolta dai boschi, quindi umida, contro un muro di pietra, dopo qualche tempo (da uno a due anni), sulla parete crescerà una notevole quantità di salnitro. Anno 2016 – n. 5 M. MERLO, Armamenti e gestione dell’esercito a Siena nell’età dei Petrucci. Le armi 83 continuò a essere un’attività importante per la Repubblica, e divenne responsabilità della Camera: nel 1502 era prodotta da un operaio della Camera151, l’anno seguente è prodotta anche da Vannoccio Biringucci152 e nel 1511 dal lombardo Manno di Giovanni153. Un interessamento politico precoce per le colture di salnitro, ma più in generale per lo studio e l’applicazione bellica delle polveri nere che in Toscana non sfuggì nemmeno alla tradizione iconograica colta, come L’invenzione della polvere pirica, dipinto da Iacopo Coppi nello Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio a Firenze154. Infatti le innovazioni nel campo delle polveri nere non riguardarono solamente la purezza degli ingredienti, ma anche le dimensioni, la forma e la densità dei granelli. Una macinatura ine, spesso ricorrendo ai mulini155, poteva non bastare: l’instabilità della miscela formata dai tre ingredienti base si scomponeva a ogni scossa, cosicché il salnitro, la sostanza più pensante, cadeva sul fondo, mentre il carbone risaliva. Per questo motivo, probabilmente tra il 1420 e il 1430, fu introdotta la granitura della polvere156. La polvere, trattata secondo questo procedimento157, si presentava a granuli, piccole palline tra le quali poteva passare l’ossigeno, consentendo una combustione praticamente istantanea: «più i granelli sono piccoli più cresce la supericie totale e decresce il tempo necessario alla combustione di ciascun granello»158. Infatti nell’inventario del 1460 la polvere nera già pronta è suddivisa in polvere sottile, macinata inemente, e in polvere grossa, a granuli, distinzione che troviamo anche nei registri della Camera redatti negli Novanta dello stesso secolo e nell’inventario del 1552. La polvere grossa era usata per i cannoni, mentre quella ina per le armi da fuoco manesche e come polvere d’innesco per le artiglierie. Per la loro produzione erano conservati nella Camera gli strumenti per macinare, lavoro che poteva avvenire sia all’interno della Camera stessa sia sui campi di battaglia. Sono registrati contenitori per selezionare la polvere con il fondo in legno di noce, pestoni di ferro e setacci159 e, ancora a riprova dell’intesa attività senese in questo settore, nei progetti disegnati alla metà del Cinquecento da Bartolomeo Neroni, detto il Riccio, tra le poche macchine belliche illustrate, vi spiccano pestelli meccanici per pestare la polvere nera160 che si riscontrano anche in disegni di altri trattatisti161 e che, come apprendiamo 151 ASSi, Balia, 48, cc. 88v-89v. ASSi, Balia, 418, c. 46v. 153 ASSi, Balia, 57, c. 54v. 154 CACIORGNA 1999, p. 522. 155 Come quello disegnato nel taccuino di Philipp Mönch., datato al 1496: Heidelberg, Universitätsbibliothek, Kriegsbuch, Cod.Pal.Germ.126, c. 21r. 156 VON ESSENVEIN, 1872, p. 25. 157 Per produrre polvere in granuli era necessario umettare la polvere bagnandola con acquavite, aceto o altre sostanze, in modo da formare i granuli; in seguito bisognava farli essiccare al sole. 158 CASTIGLIONI 2008, p. 42 sgg. 159 ASSi, Camera del Comune, 18, cc. 4r, 4v. 160 Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, Autograi e disegni, S.IV.6, cc. 32r, 33r. 161 Ad esempio nel Kriegsbuch di Philipp Mönch composto nel 1496: Heidelberg, Universitätsbibliothek, Cod. Pal. Germ. 126, cc. 3r, 4r; oppure nel trattato dell’Anonimo delle Guerre Hussite: Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Latinus Monacensis, 197,1, c. 10v. 152 issn 2279-9583 84 RIVISTA DI STUDI MILITARI dall’iconograia tedesca coeva, potevano essere montati su ruote e seguire sul campo di battaglia i treni d’artiglieria162. La polvere a grani dovette dare un impulso maggiore alla colatura di pezzi robusti, poiché l’aria che passava tra i granuli accentuava la velocità di delagrazione, problematica che fu all’attenzione degli specialisti tra il 1470 e il 1490, e che portò al deinitivo abbandono delle artiglierie in ferro fucinato163. Tuttavia la ricerca in questo settore non mirava alla scoperta di una ricetta ottimale comune per tutte le bocche da fuoco, ma a più ricette che, con percentuali diferenti dei tre elementi, tenessero presente le caratteristiche di ogni tipologia di arma da fuoco esistente per migliorarne le prestazioni. Sappiamo che alcune bombarde, probabilmente di grandi dimensioni, consumavano molta polvere a ogni sparo, come segnalò Antoni Bichi da Montepulciano in una lettera del 16 settembre 1495164. Attualmente è considerata, come proporzione ottimale nelle ricette per la polvere da sparo, il 74,64% di salnitro, l’11,85% di zolfo e il 13,51% di carbone. Tuttavia le percentuali dei tre ingredienti nelle polveri del XIV e XV secolo si discostarono, a volte di molto, da queste proporzioni165, e anche nel XVI secolo le ricette furono varie, come la teorizzazione del Tartaglia nel 1546 di ben venticinque diferenti composizioni, che vanno da una proporzione di 33,3% di salnitro, 33,3% di zolfo e 33,3% di carbone ino al composto formato da 84% di salnitro, 8% di zolfo e 8% di carbone166. In tutti questi composti si nota nel corso degli anni l’aumento del salnitro, ma ciò che è più importante ai ini pratici è che ogni ricetta era la più adatta a una peculiare tipologia di arma da fuoco. In modo particolare Francesco di Giorgio, che era anche abile nel produrre fuochi artiiciali167, fu tra i primi a suddividere la polvere sulla base dell’arma da caricare, partendo dalla sua classiicazione delle bocche da fuoco in dieci gruppi. Nel suo Trattato di architettura conservato a Firenze168 indica che per le bombarde da caricare con proiettili di almeno 200 libbre, si dovesse usare una polvere che avesse almeno il 50% di salnitro, il 28,6% di zolfo e il 21,4% di carbone; la polvere per le spingarde e le bombarde più piccole (del tipo mortaio) doveva avere il 57,1% di salnitro, il 28,6% di zolfo e il 21,4% di carbone. Nei calibri minori consiglia una maggiore dose di salnitro: la polvere per i passavolanti, basilischi e cerbottane dovrebbe contenere almeno il 61,5%, e il 23,1% di zolfo e 15,4% di carbone; invece indicava come ottimali per schioppetti e archibugi polveri composte dal 73,7% di salnitro, 15,8% di zolfo e dal 10,5% di carbone. Qualche decennio dopo, Vannoccio Biringucci si dedicò alla ricerca di un metodo per la preparazione della polvere nera, che funse da modello per i trattatisti successivi, come 162 Vienna, Kunsthistorisches Museum, Codex P 5074, c. 137v. Si veda anche: BENNET – BRADBURY – DEVRIES – DICKIE, JESTICE 2006, pp. 170-171. 163 RIDELLA 2009, pp. 16-17. 164 ASSi, Balìa 558, c. 3r. 165 Si veda: CONTAMINE 1980, p. 273; MERLO 2014, pp. 61-62. 166 FIORA 1990, tav. 2, p. 71. 167 CHIRONI 1991, p. 480. 168 Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. II.I.141, c. 49r. Anno 2016 – n. 5 M. MERLO, Armamenti e gestione dell’esercito a Siena nell’età dei Petrucci. Le armi 85 quello di Peter Whitehorne, che nel 1562 riprese punto per punto il sistema descritto nel De la Pirotechnia169. Le Armi bianche e le armature Possiamo ritenere che gran parte delle armi conservate nella Camera, soprattutto le balestre e le armi da fuoco da posta, servissero per munire le mura cittadine e le milizie urbane in caso di bisogno, infatti assieme a queste sono conservate le catene del ponte levatoio170, verosimilmente quelle di riserva per i ponti delle porte urbiche, e quattordici «mantelletti da mandare alle mura»171, le protezioni mobili di legno poste tra la merlatura delle mura. Dalle tipologie di armi e di oggetti conservati nella Camera del Comune si evince con chiarezza che le competenze degli operai della Camera dovevano abbracciare la metallurgia, l’arte fusoria, la meccanica, la lavorazione della pietra e del legno, la matematica, la geometria, la chimica e l’architettura. Dalla consultazione degli inventari emerge però un’altra competenza degli operai della Camera, quella di saper afrontare il campo di battaglia. Negli inventari, come visto, sono presenti grandi quantitativi di armi collettive per la milizia cittadina: balestre, armi da fuoco manesche e dalle dimensioni più grandi, con tutti gli strumenti per il loro funzionamento, da distribuire agli uomini quando si presentava la necessità. Tuttavia le armi difensive e le armi bianche elencate sono un numero esiguo. Le armi bianche comprendono ventotto ronconi, conservati insieme alla bandiera del guasto172, e un numero imprecisato di ferri «da lancia a piedi e da cavallo»173; mentre le armi difensive comprendono dodici elmetti senza visiera, due cappelli di ferro, cinque celate “scoperte”, cinque paia di bracciali, un paio di guanti di ferro174, quattro celate175, quattro mezze corazze da piede176, cinque panziere di ferro e d’acciaio “gattive”, quattro corazze, che è speciicato essere conservate coperte dentro un cassone177, quarantanove targoni e due targhette178. Non sono menzionate spade o altre armi bianche di uso comune, evidentemente a carico di ogni singolo milite, ma sono conservati ventotto ronconi con la bandiera del guasto, vale a dire la bandiere delle truppe specializzate nella devastazione e saccheggio del territorio nemico. Il dato è più signiicativo di quanto possa sembrare. A Siena truppe addette al guasto erano presenti nell’esercito cittadino, con un proprio gonfalone, in dal Duecento, e già in questo secolo i loro compiti erano svolti sempre al 169 170 171 172 173 174 175 176 177 178 HALL 1997, p. 101. ASSi, Cemra del Comune 18, c. 4r. ASSi, Cemra del Comune 18, c. 4v. ASSi, Camera del Comune, 18, c. 2v. ASSi, Camera del Comune, 18, c. 4r. ASSi, Camera del Comune, 18, c. 1v. ASSi, Camera del Comune, 18, c. 2r. ASSi, Camera del Comune, 18, c. 3r. ASSi, Camera del Comune, 18, c. 4r. ASSi, Camera del Comune, 18, c. 2v. issn 2279-9583 86 RIVISTA DI STUDI MILITARI ianco dei genieri militari179. Le ronche sono armi in asta versatili, utili in numerose situazioni tattiche, compreso il guasto180. Quindi è probabile che ancora nella seconda metà del Quattrocento queste truppe operassero in sincrono con gli ingegneri e quindi dipendessero, non sappiamo però in quale misura, dalla Camera del Comune. Le punte di lancia, divise in modelli “a piedi”, vale dire da fanteria, e da cavalleria, indicano che nella Camera erano conservate riserve di punte per sostituire le lance rovinate in combattimento. Mentre le punte di lancia potevano essere forgiate anche nelle ferriere dei domini senesi, in quanto richiedono una modica quantità di metallo e, nel caso delle lance da fante, nemmeno troppo pregiato, le ronche richiedono una maggiore qualità, e in Toscana il centro di produzione più rinomato per la produzione di ferri di armi in asta, così come di spade, era Villa Basilica181, presso Lucca, dove vi era anche un lorido commercio di questi prodotti, ed è probabile che Siena, tenendo presente anche i rapporti politici intrattenuti con Lucca, si rifornisse su tale mercato per rifornire il proprio esercito. Le armi difensive invece sono suicienti per armare dai cinque ai tredici uomini, ammesso che le panziere descritte non in buone condizioni venissero usate. Gli elmetti erano la protezione per la testa, tipica dei cavalieri, che copriva tutta la scatola cranica e si chiudeva sul viso, sotto il mento, lasciando scoperto il volto, il quale veniva protetto da una visiera rialzabile, che in questo caso manca. Probabilmente furono rimosse di proposito, come spesso faceva chi doveva combattere a piedi, per agevolare la visuale; nel caso degli elmetti della Camera è probabile che fossero destinati a chi faceva lavori di carpenteria sotto le mura nemiche, e quindi necessitava più di un buon campo visivo che di protezione. Allo stesso modo alcune celate sono dette “scoperte”, probabilmente in riferimento al modello con il viso aperto, mentre quattro sono nominate semplicemente “cielate”, un modello di elmo molto difuso nel Quattrocento, sia per i cavalieri sia per gli uomini d’arme che combattevano anche a piedi. Era una protezione per la testa che si chiudeva sul viso. I modelli noti si distinguono proprio dall’ampiezza di tale apertura: alcuni avevano le protezioni per le guance particolarmente chiuse con un’apertura facciale a T, lasciando libero solo naso, occhi e parte della bocca, come le cosiddette celate alla veneziana, mutuate dal modello di elmo corinzio di età classica, il cui nome deriva dalla loro difusione presso la Serenissima, ma poteva essere prodotta altrove, come a Milano182, e sono noti esemplari di produzione iorentina183. Al ianco di questi esistevano modelli che lasciavano il viso molto più scoperto, di cui si conserva un esemplare con marca iorentina, recuperata nell’Arno184, anche se 179 Sull’argomento: MERLO 2013a, pp. 51-61. Sulle ronche: DONDI 1976, pp. 11-48; TROSO 1988, pp. 135-285; DONDI 2005, pp. 25-26. 181 REPETTI 1843, voce Villa-Basilica; REID 1965, pp. 3-27; BOCCIA 1973, p. 196. A Villa Basilica si recava il Pulci per acquistare spade per conto di Lorenzo il Magniico, ma anche per sé stesso, per Pietro e Tommaso Capponi, tanto da autodeinirsi un mercante d’armi all’ingrosso: BONGI 1886, p. 39. 182 Ad esempio si veda la celata alla veneziana C 1629 del Museo Nazionale del Bargello di Firenze e la pregiata E 9 dell’Armeria Reale di Torino, con l’apertura per il viso e occhi molto stretta. Rispettivamente: CORTI 2011, pp. 56-57; CARTESEGNA – DONDI 1982, scheda 63, p. 343. 183 Come l’esemplare del Germanisches Nationalmuseum di Norimberga che reca punzoni iorentini. 184 Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. AM 1454. Il ritrovamento avvenne nei pressi delle Cascine a Firenze. 180 Anno 2016 – n. 5 M. MERLO, Armamenti e gestione dell’esercito a Siena nell’età dei Petrucci. Le armi 87 la maggior parte di quelle conservate recano marchi milanesi185. Si tratta della tipologia di celate dette nell’inventario del 1460 “scoperte”, un modello adatto per combattenti a piedi e per i comandati militari, che dovevano poter scrutare il campo di battaglia senza impedimenti186. Tra queste si annoverano celate particolarmente rainate come l’esemplare conservato in Palazzo Pubblico a Siena, appartenuto a un Capitano del Popolo della famiglia Borghesi, forse Borghese, e datato al terzo quarto del Quattrocento, l’unica arma difensiva oggi conservata sicuramente riferibile a un ambito senese. Questa è una tipica celata di lusso, ricoperta di velluto rosso con montature in ottone dorato187, elemento difensivo fastoso molto comune nelle città italiane del Quattrocento, di cui si conosce un nucleo signiicativo di produzione iorentina188, come l’esemplare del Bargello, dell’ex Collezione Odescalchi e probabilmente la celata estense conservata al castello di Konopiště189, ma la maggior parte recano i punzoni milanesi come la E 10 dell’Armeria Reale di Torino190, del Museo Marzoli di Brescia e dello Stibbert di Firenze191, tutte databili nella seconda metà del Quattrocento. Queste quindi non sono armi difensive destinate all’intero esercito cittadino192 ma solo a un piccolo reparto. Che fossero conservate per combattenti a piedi lo dimostra anche la presenza di mezze corazze da piede, cioè da fante, modelli più leggeri rispetto alle quattro corazze complete, probabilmente in ottime condizioni, forse nuove, tanto da essere conservate a parte e coperte, senza dubbio per preservare la brunitura del metallo. Mentre i bracciali sono solo cinque paia e un solo paio i guanti di ferro, da cui si deduce che solo gli arti superiori di sei uomini avrebbero trovato protezione. Ciò, unitamente all’osservazione che non è nominata nessuna tipologia di protezione per gli arti inferiori, porta a trarre la conclusione che queste armature erano destinate a uomini che, per il loro ruolo, dovevano muoversi velocemente, avere le mani libere e soprattutto non avere la visuale impedita, tutto a sacriicio della propria sicurezza. Un armamento del genere 185 Due esemplari ben noti, con marche milanesi sono esposti nell’Armeria Reale di Torino (inv. E 7 e E 8). Si vedano anche i modelli conservati nel Museo Stibbert di Firenze (inv. 3907 e 3910), quello del Museo di Castelvecchio a Verona (inv. n. 5 B 2552) e quello conservato nella Torre di Londra (inv. IV 453). 186 Per una panoramica delle celate in uso tra Quattro e Cinquecento: PACE 1970, tavv. XXXI-XXXIII, pp. 33-34. Utile una comparazione con quelli conservati in Armeria Reale: CARTESEGNA – DONDI 1982, pp. 342-343. 187 In quasi tutti gli esemplari questi elementi decorativi sono stati aggiunti nel corso del XVIII secolo. Tuttavia è da credere che in origine possedessero decorazioni simili poiché sono visibili nella celata scoperta indossata dal soldato nella Negazione di Pietro di Caravaggio conservato al Metropolitan Museum of Art di New York. 188 Sull’argomento: SCALINI 1990, pp. 85-90. 189 Rispettivamente: Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. C 1634; Roma, Palazzo Venezia, Collezione ex Odescalchi, inv. PV.12022; Armeria del Castello di Konopiště, inv. 1244. 190 Di quest’ultima è attualmente esposto solo il rivestimento esterno, mentre la celata vera e propria si trova in deposito e reca un marchio Missaglia. 191 Rispettivamente: Brescia, Museo delle Armi “Luigi Marzoli”, inv. E 20; Firenze, Museo Stibbert, inv. 16206. 192 Sicuramente ogni milite possedeva un proprio armamento difensivo personale. L’impossibilità da parte di uno stato di poter acquistare l’intero armamento per tutti i suoi militi fu una delle motivazioni che concorse, a partire dal XIV secolo, alla grande richiesta di compagnie di ventura: risultava più economico corrispondere un soldo a truppe già armate e organizzate che fornire un armamento idoneo a ogni cittadino, che doveva anche essere addestrato al loro maneggio. issn 2279-9583 88 RIVISTA DI STUDI MILITARI quindi poteva essere consono per Provveditori e operai della Camera193, che avrebbero girato sui campi di battaglia e nelle zone assediate, dirigendo le artiglierie, i lavori di guasto e, più in generale, “ingegna” bellici di varia natura, come siamo sicuri avvenne per la lussuosa celata dell’Armeria Reale E 10, che ancora negli anni Dieci del XVIII secolo fu usata da Giandomenico Tiepolo, Provveditore d’artiglieria della Serenissima194. Anche i cappelli di ferro lasciavano libera la visuale, ma probabilmente i modelli conservati nel 1460 non erano i medesimi del XIII secolo, ma modelli speciicatamente progettati per i genieri, forgiati con una maggiore quantità di acciaio e un’ampia tesa a spiovente per proteggere testa, collo e spalle dagli oggetti lanciati dall’alto195. Sappiamo infatti che molti di questi specialisti operavano anche nel mezzo dei combattimenti196. Ad esempio,[ ]il 17 aprile 1488, Francesco di Angelo, detto La Cecca, e il Francione furono nominati da Lorenzo il Magniico «architetti e ingegneri sopra le artiglierie e macchine atte all’espugnazione delle terre e sopra l’ediicazione e riparazione delle fortezze»; tuttavia La Cecca perse la vita il 26 dello stesso mese, colpito da un verrettone di balestra all’assedio di Piancaldoli, mentre «attendeva con ingegni e cave a far rovinare le mura di quella rocca»197. Due lettere del duca di Urbino, scritte nel 1478 dai campi di battaglia della guerra contro Firenze198, confermano che lo stesso Francesco di Giorgio si trovava al ianco del condottiero durante gli scontri armati199, così come era presente, con un ruolo di comando, all’assedio di Castellina in Chianti, in cui fu fatto uso massiccio del fuoco delle bombarde200. Ancora nel 1495 Francesco di Giorgio si trovava a Napoli impegnato nell’assedio del Castello «con cave ed altre materie»201, e in quest’occasione fu tra i primi ingegneri, se non il primo, che riuscì a far saltare una fortezza tramite le gallerie di mina202. Nei primi anni del Cinquecento Vannoccio Biringucci fu nominato capitano delle artiglierie e maestro della fonderia della Camera Apostolica (quest’ultima nomina fu concessa per volontà di papa Paolo III). Nel documento che ne stabilisce i doveri è speciicato che avrebbe dovuto seguire sul campo le artiglierie, e in quel caso avrebbe avuto un indennizzo pari al doppio del soldo ordinario, sempre versato dalla Ca- 193 Le armi difensive prodotte nel XV e XVI secolo, in particolar modo gli elmi, verso la ine del Cinquecento, quando l’armatura da fante iniziava a essere desueta, iniziarono a essere distribuiti agli operai civili come protezione dagli incidenti, proprio grazie alla grande qualità raggiunta nei prodotti degli armorari di quei secoli. Solo a titolo di esempio si pensi che nel 1590 durante i lavori per il trasporto e la collocazione del celebre obelisco in Vaticano diretti da Domenico Fontana, i falegnami usarono vecchi elmi militari per proteggersi la testa dagli infortuni: REID 1979, pp. 25-226. Appare quindi più che naturale che operai e tecnici del guasto, genieri e artiglieri avessero, nel Quattro e nel Cinquecento, particolare cura delle loro armi difensive. 194 CARTESEGNA – DONDI 1982, scheda 64, p. 343. 195 Un modello quattrocentesco interessante è conservato in Armeria Reale a Torino (inv. E 115). 196 Si veda: MERLO 2015a, pp. 25-28, 30-31. 197 LAMBERINI 2008, p. 222. 198 Sull’argomento: SIMONETTA 2003, pp. 261-282. 199 ADAMS 1995, p. 116. 200 BENELLI 2008, p. 447. 201 ASSi, Concistoro, 2424, c. 16r. 202 MERLO 2015a, p. 30. Anno 2016 – n. 5 M. MERLO, Armamenti e gestione dell’esercito a Siena nell’età dei Petrucci. Le armi 89 mera del Comune203. Le testimonianze sui tecnici che prendevano parte ai combattimenti sono difuse in tutta Europa, in modo particolare si osserva come dai principali centri di produzione armiera provenissero esperti prezzolati in grado di produrre artiglierie, progettare sistemi d’ofesa e allo stesso tempo dirigere e comandare gli uomini sul campo, come sappiamo, solo a titolo di esempio, per il fonditore cesenate Arcangelo Arcana, al servizio di Enrico VIII d’Inghilterra durante l’ofensiva inglese in Piccardia nel 1523, per il quale progettò gallerie di mina e comandò le batterie sul campo204. Probabilmente era proprio per proteggere gli operai durante i lavori che nella Camera erano conservati quarantanove targoni. Deduciamo inoltre che gli operai della Camera potessero anche prendere parte attiva agli assalti delle mura, in quanto sono conservati ferri da scalare, sei scale di funi sempre per scalare e 186 scalette205, oggetti d’assalto che sono al centro di numerosi progetti di Taccola, Francesco di Giorgio, Bartolomeo Neroni e di quasi tutti gli architetti del Quattro e Cinquecento. Quindi gli uomini della Camera, operai e Provveditori, afrontavano il campo di battaglia, e forse proprio a loro erano destinate le corazze custodite nel cassone. Questa loro attitudine li rendeva personalità versatili, in grado di muoversi, sia in tempo di pace sia di guerra, in luoghi strategici e, grazie alla loro esperienza, saperli alla bisogna sia difendere sia conquistare. Bibliograia ADAMS 1995 N. ADAMS, L’architettura militare di Francesco di Giorgio, in F.P. FIORE – M. TAFURI (a cura di), Francesco di Giorgio architetto, Milano. ANGELUCCI 1869 A. 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