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ISTITUTO LOMBARDO - ACCADEMIA di SCIENZE e LETTERE INCONTRO DI STUDIO N. 70 QUANTE EQUITÀ? A cura di Dario Mantovani e Salvatore Veca Milano, 28 febbraio 2013 INCONTRO DI STUDIO N. 70 L’“equità” è molto invocata, oggi più che mai: una misura capace di ricostruire i rapporti sociali su una base di giustizia. Come tutti i concetti in cui si ripongono grandi aspettative, il significato di “equità” è tuttavia sfuggente. Innanzitutto, perché viene applicato a campi diversi, la filosofia, il diritto, l’economia. Poi, perché il concetto di equità è il prodotto di un lungo viaggio storico e semantico, che ha le sue origini nell’etica greca e arriva fino alla contemporaneità, facendone un termine sempre pronto ad assumere nuove accezioni. In campo giuridico ha preso corpo nell’esperienza romana, che ha fatto dell’equità la propria ragion d’essere (ius est ars boni et aequi), per poi trasformarsi nell’esperienza medievale e moderna, soprattutto a contatto con i valori del cristianesimo. Assunta a base delle più recenti teorizzazioni di filosofia morale, soprattutto sotto l’impulso di John Rawls, l’equità (anche intergenerazionale) è al tempo stesso uno dei cardini delle riflessioni sulla distribuzione della ricchezza nelle teorie del benessere sociale: massimizzare la ricchezza sì, ma come distribuirla in modo “equo”? Dopo un percorso così lungo nel tempo e tanto frastagliato, è ancora possibile ridurre l’equità a un nucleo unitario e operativo di significato? Oppure è un termine che rappresenta nozioni ormai irriducibili a unità? E’ la specializzazione dei saperi che impedisce di vedere le affinità che ancora resistono? Oppure è la distanza fra pensiero antico e moderno, anzi il successo stesso di questo concetto che segnano la fine dell’equità come utile criterio-guida? Il convegno promosso dall’Istituto Lombardo intende contribuire, attraverso le voci di autorevoli studiosi, a disegnare una mappa dell’equità: un confronto interdisciplinare che offra chiarimenti di metodo e suggerimenti operativi per le scienze dell’uomo e della società. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere MILANO 2017 INDICE GIANPIERO SIRONI Saluto del Presidente dell’Istituto Lombardo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 MARIO VEGETTI Equità senza eguaglianza: un rompicapo aristotelico . . . . . . . . . . . . . . . 5 DARIO MANTOVANI L’aequitas romana: una nozione in cerca di equilibrio . . . . . . . . . . . . . . 15 ANTONIO PADOA-SCHIOPPA Equità nel diritto medievale e moderno: spunti della dottrina . . . . . . . . 61 GUSTAVO ZAGREBELSKY Equità nel diritto odierno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 GIORGIO LUNGHINI Principia ethica e filosofia sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 LUIGI CAMPIGLIO Equità e Welfare State europeo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 SALVATORE VECA L’idea di equità nelle teorie della giustizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 L’AEQUITAS ROMANA: UNA NOZIONE IN CERCA DI EQUILIBRIO DARIO MANTOVANI (*) SUNTO. – L’aequitas del Corpus Iuris Civilis (e della retorica) ha costituito la matrice della nozione di equità, sia in ambito giuridico, sia in altre scienze sociali; il suo contenuto è tuttavia molto controverso. Il presente studio propone di considerare l’aequitas – più che una nozione unitaria o viceversa vaga e indefinita, secondo i due poli entro i quali oscillano spesso le ricostruzioni moderne – una nozione storicamente complessa, che senza abbandonare il nucleo semantico originario, vi ha aggiunto significati. Lo studio muove da una disamina dell’aequum, dalle prime attestazioni in età repubblicana, fino alla riflessione ciceroniana: se ne ricava che era un concetto già ben radicato ed elaborato dalla cultura romana prima della riformulazione nei termini della filosofia greca, da cui uscirà tuttavia notevolmente arricchito, al limite della sua tenuta. Particolare attenzione è dedicata, sotto questo profilo, a distinguere l’aequitas dall’epieikeia teorizzata da Aristotele. Si verificano inoltre gli esiti di questo tragitto nel pensiero dei giuristi romani. Se ne conclude che l’aequitas è, nella sua prima accezione, un atteggiamento di decisione che ha per criterio l’aequum, ossia l’uguale: conclusione confermata dalle rappresentazioni iconografiche. L’aequitas si iscrive però – almeno dall’epoca tardo-repubblicana – in una più complessiva visione dell’uomo e dei suoi rapporti con gli altri in società, ossia in un’antropologia politica, che ne amplia e precisa i significati (e senza la quale può invece dare l’impressione di essere una nozione vaga). *** ABSTRACT. – The term aequitas in the Corpus Iuris Civilis (and in rhetoric) forms the origin of the notion of equity, both in the field of law and in other social sciences. Its contents are, however, very contentious. Rather than following the two extremes in modern reconstructions, which consider aequitas either as unitary or as a vague and indefinite notion, this paper considers aequitas as an historically complex notion that (*) Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere; Università degli Studi di Pavia, Italia. Project Redhis “Rediscovering the hidden structure. A new appreciation of juristic texts and patterns of thought in Late Antiquity” (ERC AdG 2013). E-mail: dario.mantovani@unipv.it 16 DARIO MANTOVANI kept its original semantic nucleus, but saw the addition of further meanings. This paper is based on a close examination of aequum, from the earliest attestations in the Republican Age until Cicero. We will see that it was a concept already profoundly rooted and elaborated in Roman culture before its reformulation in terms of Greek philosophy, which considerably enriched it, exploring its limits. In this respect, particular attention is paid to distinguishing aequitas from epieikeia as theorized by Aristotle. This paper examines then the development of the concept in the thought of the Roman jurists. As a whole, this study shows that aequitas involves, at its core, an attitude towards decisions that is founded on the criterion of the aequum, i.e. the “equal”; this conclusion is confirmed by iconographic evidence. Yet, at least from the Late Republic, aequitas is part of a wider conception of man and his relations to others in society, i.e. it is part of a political anthropology that expands and articulates the meanings of aequitas (and without which it might give the impression of being a vague notion). 1. PREMESSE L’aequitas romana è, lessicalmente e concettualmente, l’antecedente dell’equità in ambito giuridico. Inoltre, grazie all’influenza che il diritto ha avuto nell’elaborazione moderna delle altre scienze sociali, dall’economia alla sociologia, l’aequitas del Corpus Iuris Civilis (con il contributo della retorica latina e dell’aristotelismo) s’è diffusa per rifrazione in altre discipline1. Un’indagine sull’aequitas elaborata a Roma 1 Per fare un esempio, la nota affermazione di Adam Smith sulla retribuzione degli operai è basata su uno dei contenuti fondamentali del concetto romano di aequitas, cioè sul principio secondo cui chi conferisce, a sue spese, un vantaggio deve partecipare a una quota di esso («It is but equity, besides, that they who feed, clothe, and lodge the whole body of the people, should have such a share of the produce of their own labour as to be themselves tolerably well fed, clothed, and lodged»: An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations, I, Dublin, 1776, 116). Si noti che l’avverbio besides assegna alla motivazione basata sull’equity un valore indipendente e assoluto, cioè separato dalle ulteriori argomentazioni utilitaristiche svolte da Smith nel medesimo capitolo, tese a dimostrare che il benessere delle classi più povere è vantaggioso per il benessere delle altre classi sociali. Su questo brano, vd. ad es. J.T. Young - B. Gordon, Distributive justice as a normative criterion in Adam Smith’s political economy, in History of Political Economy 28,1 (1996) 1-25 e M. Fortier, The culture of equity in Restoration and eighteenth-century Britain and America, Farnham, 2015, 11, che giustamente, tenendo conto delle letture del XVIII secolo britannico, più dell’influenza aristotelica sottolinea quella latina, in particolare del De officiis ciceroniano.