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PAOLO BROGGIO L'IMMACOLATA CONCEZIONE E L'INQUISIZIONE ROMANA: IL 'CASO' DEL RESCRITTO DEL 20 GENNAIO 1644 ESTRATTO da RIVISTA DI STORIA E LETTERATURA RELIGIOSA 2020/2 ~ a. 56 Anno LVI - 2020 - n. 2 Rivista di Storia e Letteratura Religiosa diretta da C. Ossola, B. Papàsogli F. A. Pennacchietti, M. Rosa, B. Stock Leo S. Olschki Editore Firenze Rivista di Storia e Letteratura Religiosa diretta da Carlo ossola - Benedetta PaPàsogli - FaBrizio a. PennaCChietti Mario rosa - Brian stoCk Periodico quadrimestrale redatto presso l’Università degli Studi di Torino Direzione Cesare Alzati, Jacques Dalarun, Francisco Jarauta, Carlo Ossola, Benedetta Papàsogli Fabrizio A. Pennacchietti, Daniela Rando, Mario Rosa, Maddalena Scopello Brian Stock, Stefano Villani Vicedirettori Valerio Gigliotti, Giacomo Jori Redazione Anne-Catherine Baudoin, Blandine Colot, Valerio Gigliotti, Angela Guidi, Giacomo Jori Laura Quadri, Davide Scotto Articoli M. Philonenko, Les Oracles chaldaïques (fragments 107, 165 et 217), le livre d’Hénoch et les Questions sur la Genèse de Philon d’Alexandrie . . . . . Pag. X. Morales, Athanase d’Alexandrie aimait-il ses ennemis? . . . . . . . . . . . . . . . » F.S. Macías, Una historia sacra humanista en los tiempos de la Contrarreforma: santidad e introspección en fray Luis de León y su inconcluso esbozo biográfico sobre Teresa de Ávila . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » P. Broggio, L’Immacolata Concezione e l’Inquisizione romana: il ‘caso’ del rescritto del 20 gennaio 1644 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » N. Guasti, ¿Jesuitas o ignacianos? El debate sobre el restablecimiento de la Compañía de Jesús . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 179 191 213 259 289 Note e testi A. Lombana Sanchez, Georg Graf y la literatura árabe cristiana. A propósito de una reciente traducción: Historia de la literatura árabe cristiana (BAC, Textos del Oriente cristiano 1, Madrid, 2017) . . . . . . . . . . . . . . » 313 » 325 » 326 » 329 Recensioni D. Solvi, Il canone agiografico di san Bernardino (post 1460), Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2018 (Quaderni di «Hagiographica», 14 – Le Vite quattrocentesche di s. Bernardino da Siena, 3) (M. Lodone) . . . . M. Mazzocco, Le joyau de l’âme. Diamants et autres gemmes mystiques, Paris, Albin Michel, 2019 (A. Vetuli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . C. Levi, Paura della libertà, Introduzione di Giorgio Agamben, Vicenza, Neri Pozza, 2018 (G. Jori) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Anno LVI - 2020 - n. 2 Rivista di Storia e Letteratura Religiosa diretta da C. Ossola, B. Papàsogli F. A. Pennacchietti, M. Rosa, B. Stock Leo S. Olschki Editore Firenze Comitato dei Referenti François Dupuigrenet Desroussilles (Florida State University) – Gérard Ferreyrolles (Université Paris-Sorbonne) – Giuseppe Ghiberti (Professore Emerito della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale) – Paolo Grossi (Professore Emerito dell’Università di Firenze) – Moshe Idel (Professor Emeritus, Hebrew University, Jerusalem) – Francesco Margiotta Broglio (Professore Emerito dell’Università di Firenze) – Corrado Martone (Università di Torino) – Agostino Paravicini Bagliani (Professeur Honoraire de l’Université de Lausanne) – Marco Pellegrini (Università di Bergamo) – Michel Yves Perrin (École Pratique des Hautes Études, Paris) – Maria Cristina Pitassi (Université de Genève) – Victor Stoichita (Université de Fribourg) – Roberto Tottoli (Università degli Studi di Napoli L’Orientale) Gli articoli presi in considerazione per la pubblicazione saranno valutati in ‘doppio cieco’. Sulla base delle indicazioni dei referees, l’autore può essere invitato a rivedere il proprio testo. La decisione finale in merito alla pubblicazione spetta alla Direzione. L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA: IL ‘CASO’ DEL RESCRITTO DEL 20 GENNAIO 1644 Nel dopo-Riforma la mariologia si trasformò in un vero e proprio campo di battaglia. Lo sviluppo stupefacente del culto mariano nell’Europa della Controriforma, sostenuto con grande determinazione dalle gerarchie ecclesiastiche, ebbe come è noto una chiara strumentalità antiprotestante.1 Da un punto di vista teologico, in età moderna la questione della definizione dogmatica della dottrina dell’Immacolata Concezione fu uno dei grandi assi del conflitto interno al mondo cristiano, e alla Chiesa cattolica in particolare, capace di riverberare i suoi effetti fino all’età contemporanea. Ciò nonostante, è sempre stato considerato un terreno di scontro dottrinale secondario rispetto ad altri, come la grazia o la morale. Eppure, la disputa riguarda un aspetto di un problema più generale, quello del rapporto tra la Vergine Maria e Cristo nell’opera di redenzione dell’umanità.2 Considerare Maria esente dalla legge universale della trasmissione del peccato originale, seppure in base a complesse argomentazioni dottrinali miranti a salvaguardare la primazia di Gesù nel disegno salvifico, apriva di fatto la strada all’ipotesi di un suo ruolo, seppur subordinato, nella Redenzione; 3 voleva dire contribuire ad una 1 Nella vastissima bibliografia, si veda almeno L. Châtellier, L’Europe des dévots, Paris, Flammarion, 1987, trad. it. L’Europa dei devoti, Milano, Garzanti, 1988; B. Heal, The Cult of the Virgin Mary in Early Modern Germany. Protestant and Catholic Piety, 1500-1648, Cambridge, Cambridge University Press, 2007; Ead., Marian Devotion and Confessional Identity in Sixteenth-Century Germany, in The Church and Mary, ed. by R.N. Swanson, Woodbridge-New York, The Bodywell Press, 2004; J.A. Sánchez Pérez, El culto mariano en España, Madrid, CSIC, 1943. 2 O. Casado, Mariología clásica española, vol. I (La Inmaculada Concepción y su problemática teológica en la mariología española de 1600 a 1655), Madrid, Ephemerides Mariologicae, 1958; X.-M. Le Bachelet, L’Immaculée Conception: courte histoire d’un dogme, Paris, Librairie Bloud & C., 1903. 3 Nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium del 21 novembre 1964 di papa Paolo VI viene definito il ruolo di cooperazione della Vergine nell’opera di redenzione dell’umanità, un ruolo da considerarsi subordinato, perché l’unico mediatore è Cristo. Si evita di 260 PAOLO BROGGIO divinizzazione della figura della Vergine che non poteva non generare polemiche e conflitti, non solo – come è naturale – nell’ambito nei rapporti con il mondo riformato ma anche all’interno del fronte cattolico, da sempre tutt’altro che omogeneo sulla questione. Nel pieno Seicento, in particolare, il macolismo divenne uno degli assi dell’agostinismo più o meno apertamente giansenisteggiante, in contrapposizione alla cultura teologica gesuitica,4 e ciò diede luogo ad una calcificazione del dibattito intraecclesiale sul tema specifico e irrobustì quella convergenza tra giansenismo e tomismo domenicano 5 che molti anni più tardi, in particolare nell’Ottocento, costrinse l’ordine dei predicatori ad una operazione di purificazione della memoria ancora tutta da indagare nei suoi risvolti intellettuali e religioso-culturali. Come ha efficacemente mostrato Pietro Stella, in diversi ambienti tardo-seicenteschi e di inizio Settecento dichiararsi oppositori delle devozioni al Sacro Cuore di Gesù e all’Immacolata Concezione voleva dire vedersi cucire addosso l’etichetta di giansenista.6 Ancora una volta, seppur in maniera indiretta, la soteriologia, e inevitabilmente Agostino – 7 anche se mediato da Tommaso –, tornarono utilizzare il termine, teologicamente ambiguo, di ‘Corredentrice’ e si parla di «funzione salvifica subordinata»: «Nessuna creatura [...] può mai essere paragonata col Verbo incarnato e redentore. Ma come il sacerdozio di Cristo è in vari modi partecipato, tanto dai sacri ministri, quanto dal popolo fedele, e come l’unica bontà di Dio è realmente diffusa in vari modi nelle creature, così anche l’unica mediazione del Redentore non esclude, bensì suscita nelle creature una varia cooperazione partecipata da un’unica fonte. La Chiesa non dubita di riconoscere questa funzione subordinata a Maria, non cessa di farne l’esperienza e di raccomandarla al cuore dei fedeli, perché, sostenuti da questa materna protezione, aderiscano più intimamente al Mediatore e Salvatore». 4 Cfr. P. Stella, Il giansenismo in Italia, vol. I (I preludi tra Seicento e primo Settecento), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006. 5 S. Hermann de Franceschi, Thomisme et théologie moderne. L’école de saint Thomas à l’épreuve de la querelle de la grâce (XVIIe-XVIIIe siècles), Paris, Editions Lethielleux, 2018; Id., Entre saint Augustin et saint Thomas: les jansénistes et le refuge thomiste (1653-1663). À propos des 1re, 2e et 18e Provinciales, Paris, Garnier, 2017; Id., Le thomisme au secours du jansénisme dans la querelle de la grâce. Vrais et faux thomistes au temps de la bulle Unigenitus (1713), «Revue Thomiste», III, 2007, pp. 375-418. 6 «C’erano le premesse perché in nome del culto al Cuore di Gesù e all’Immacolata, del sistema probabilista e della casuistica benignista, del libero arbitrio e della libera cooperazione della creatura ragionevole alla grazia, della radicale bontà dell’uomo e del piano universale di grazia e di salvezza, in Sicilia negli anni tra Clemente XII e Clemente XIII scendessero in campo i gesuiti dialetticamente ferrati – come Burgio, Plazza, Gravina – i cui scritti non lesinavano l’accusa di giansenismo agli avversari», P. Stella, Il giansenismo in Italia, cit., p. 153. 7 Agostino, pur volendo mantenere Maria lontana quando si tratta di peccato, non può ammettere alcuna salvezza al di fuori di Cristo. L’Ipponate, impegnato in una polemica L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 261 ad essere al centro dei dibattiti dottrinali, in un contesto segnato sin dalla fine del XVI secolo dal conflitto sul molinismo e, successivamente, dalla polemica innescata dalla pubblicazione dell’Augustinus di Giansenio, che proprio dalla contestazione della Concordia di Luis de Molina prendeva le mosse.8 In questa precisa fase storica il sostegno alla dottrina dell’Immacolata (si pensi alle polemiche successive sul ‘voto sanguinario’) 9 e la devozione ad essa furono parte integrante di un certo modo di intendere e di vivere la fede cattolica, che si sarebbe significativamente affermato nel periodo della Restaurazione. Ciò che è certo è che le pratiche cultuali e devozionali, dalle forti connotazioni identitarie, furono in grado di influire sui dibattiti dottrinali, contribuendo in maniera decisiva a sospingere ai margini tutti quegli atteggiamenti tendenzialmente rigoristi (e antiscolastici) che stentavano ad essere accolti nel seno di un cattolicesimo che, specie nello scorcio del Settecento, si sarebbe plasmato non più su una intellettualistica ‘pietà illuminata’ ma su una pratica religiosa popolare, adattata ai semplici, alle popolazioni rurali, ai poveri.10 I dibattiti antipelagiana che con Giuliano di Eclano aveva toccato anche la questione dell’Immacolata (Eclano si era dichiarato immacolista, ma nel quadro di una dottrina ereticale che negava di fatto l’influenza del peccato originale sull’umanità intera), non poteva accettare la dottrina dell’immacolato concepimento a causa del principio dell’assoluta necessità della redenzione per tutti gli uomini. Agostino riconduce, pertanto, Maria nell’alveo della condizione umana inficiata dalla colpa originale e bisognosa di redenzione affermando che ella sarebbe stata concepita nel peccato per esserne poi subito liberata. Insomma, Agostino oppone a Giuliano il dominio universale del peccato originale e la necessità della grazia per vincere il peccato, affermando il carattere unico del privilegio mariano, nonché il carattere di preservazione per mezzo della grazia del Redentore, uno dei punti cardine del dogma dell’Immacolata così come sarebbe stato definito dalla Ineffabilis Deus del 1854. Cfr. R. Laurentin, La Vergine Maria, Roma, Edizioni Paoline, 1983, pp. 70 ss. 8 «La polemica sull’Immacolata si connetteva a quella più generale circa la predestinazione e la prescienza divina, l’universalità del peccato di origine e il mistero di Cristo redentore, e si intrecciava per ciò stesso con quella pro o contro l’agostinismo giansenista», P. Stella, Il giansenismo in Italia, cit., p. 41. Sugli esiti ottocenteschi si veda B. Quilliet, L’Acharnement théologique. Histoire de la grâce en Occident (IIIe-XXIe siècles), Paris, Fayard, 2007, pp. 291-292. 9 M. Iacovella, «Fabbricatori di ciarle». La disputa sul ‘voto sanguinario’ attraverso il carteggio muratoriano, «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», XLIX, 2013 (1), pp. 175-200; F. Santi Fiasconaro, Il pensiero immacolista di Ignazio Como OFMConv († 1774) nella controversia con L. A. Muratori sul ‘voto sanguinario’, Palermo, Officina di Studi Medievali-Biblioteca Francescana, 2004. 10 Da sfumare la nota interpretazione data da Louis Châtellier secondo cui tra tardo Seicento e Settecento, anche grazie alla pastorale popolare dei gesuiti e alla spiritualità di un S. Alfonso Maria de Liguori, nacque e si impose una ‘religione dei poveri’ che diede molta più importanza alla morale che alla dottrina. Il livello di interazione tra pratica religiosa e dibattiti teologici fu più profondo di quanto si sia finora immaginato, come ho cercato di mostrare in La teologia e la politica. Controversie dottrinali, Curia romana e Monar- 262 PAOLO BROGGIO dottrinali non furono mai del tutto messi all’angolo; teologia e pratica religiosa interagirono ben oltre i limiti della casuistica, e l’Immacolata è un esempio di quanto l’‘immaginazione teologica’, la capacità di progredire nella riflessione teologica invadendo campi che non le sono tradizionalmente propri (la scienza, ad esempio),11 possa aver giocato un ruolo non secondario nella costruzione di chiese e religioni nazionali fortemente compenetrate da apparati statuali alla continua ricerca di una legittimazione sacra.12 Alla luce di queste brevi considerazioni appare chiaro quanto non ci sia nulla di casuale nel fatto che proprio il XVII secolo abbia rappresentato quella che è stata recentemente denominata la «Golden Age of Marian Coredemption»,13 una dottrina scomoda in tempi di ecumenismo, ancora oggi non definita dogmaticamente, ma che a partire dal XV secolo ha trovato sempre più sostenitori.14 Il rapporto tra dottrina dell’Immacolata e dottrina della corredenzione fu evidente sin dall’inizio, anche se in età moderna i teologi furono portati ad usare prudenza nelle loro affermazioni. Al giorno d’oggi, invece, a chia spagnola tra Cinque e Seicento, ‘Biblioteca della Rivista di Storia e Letteratura Religiosa’, Studi – XXII, Firenze, Leo S. Olschki, 2009. Cfr. L. Châtellier, La religion des pauvres. Les missions rurales en Europe et la formation du catholicisme moderne, XVIe-XIXe siècle, Paris, Aubier, 1993, trad. it. La religione dei poveri. Le missioni rurali in Europa dal XVI al XIX secolo e la costruzione del cattolicesimo moderno, Milano, Garzanti, 1994. Sui rapporti profondi tra pratica religiosa, politica e teologia tra il tardo Seicento e l’epoca rivoluzionaria si veda la fondamentale raccolta di M. Rosa, Settecento religioso. Politica della Ragione e religione del cuore, Venezia, Marsilio, 1999. 11 Cfr. A. Funkenstein, Theology and Scientific Imagination from the Middle Ages to the Seventeenth Century, Princeton, Princeton University Press, 1986, trad. it. Teologia e immaginazione scientifica dal Medioevo al Seicento, Torino, Einaudi, 1996. 12 Cfr. A. Prosperi, L’Immacolata a Siviglia e la fondazione sacra della monarchia spagnola, «Studi Storici», vol. 47, n. 2, 2006, pp. 481-510; V. Lavenia, La scienza dell’Immacolata. Invenzione teologica, politica e censura romana nella vicenda di Juan Bautista Poza, «Roma moderna e contemporanea», XVIII, 2010, 1-2, numero monografico ‘Teologia e teologi nella Roma dei papi’, a cura di P. Broggio e F. Cantù, pp. 179-211. 13 M.I. Miravalle, ‘With Jesus’. The Story of Mary Co-redemptrix, Goleta (CA), Queenship Publishing, 2003, p. 113. 14 Non a caso uno dei primi teologi a parlare esplicitamente di corredenzione di Maria è stato, nel XVII secolo, proprio il gesuita spagnolo Ferdinando Quirino de Salazar, uno dei più accesi sostenitori della definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione. Cfr. Ferdinandi Quirini de Salazar Conchensis e Societate Iesu Theologi, in Complutensi Collegio Sacrarum Litterarum Interpretis, Defensio pro Immaculata Deiparæ Virginis Conceptione, Parisiis, 1625, p. 224. Tra Sei e Settecento due autori gesuiti particolarmente attivi nella definizione del ruolo di Maria nella Redenzione per mezzo della devozione al cuore immacolato della Vergine furono Giovanni Pietro Pinamonti e Liborio Siniscalchi. Su questo aspetto cfr. E. Rai, Spotless Mirror, Martyred Heart: The Heart of Mary in Jesuit Devotions (17-18th centuries), in The Feeling Heart in Medieval and Early Modern Europe. Meaning, Embodiment, and Making, a cura di K. Barclay, B. Reddan, Berlin, De Gruyter, 2019, pp. 184-202. L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 263 distanza di più di un secolo e mezzo dalla Ineffabilis Deus, all’interno degli ambienti ecclesiastici più marcatamente impegnati nel rafforzamento e nella diffusione del culto mariano (anche attraverso le apparizioni), si asserisce senza mezzi termini tale stretta interdipendenza, in maniera evidentemente funzionale alla richiesta di proclamazione del dogma di Maria corredentrice.15 Il Sant’Uffizio tra due fuochi: un difficile equilibrio La disputa sulla dottrina del concepimento immacolato della Vergine ha, come è noto, radici antiche. Lo scontro tra interpretazioni diverse fu considerato sin dal Medioevo come un ingrediente essenziale della dottrina stessa e, forse ancor di più, della crescente devozione all’Immacolata.16 Ne consegue che le note polemiche seicentesche, così accese e a tratti violente, non furono percepite dai contemporanei come qualcosa di inedito. Inedite, semmai, furono le più esplicite interferenze del potere politico a livello internazionale, che dalla polemica traevano spunto e inusitato vigore. Il percorso verso la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione nel corso del XVII secolo viene spesso descritto come un processo lineare: un soggetto politico-istituzionale, la Monarchia spagnola, che preme sulla Santa Sede affinché conceda il pronunciamento e un Papato 15 Mi riferisco, in particolare, alle visioni di Ida Peerdeman, avvenute ad Amsterdam tra il 1945 e il 1959, la cui natura sovrannaturale è stata, negli ultimi decenni, oggetto di controversia tra la Congregazione per la Dottrina della Fede e la diocesi di Haarlem-Amsterdam (ad una prima pronuncia, in senso negativo, da parte di Roma nel 1956 sono seguiti diversi tentativi, l’ultimo dei quali nel 2002, da parte delle autorità ecclesiastiche locali di forzare la mano nel senso della validazione delle apparizioni e dell’autorizzazione del relativo culto). I messaggi della ‘Signora di tutti i Popoli’ – questo il nome dato alla Vergine di Amsterdam – sono considerati una continuazione di quelli di Fatima e contengono una richiesta esplicita di proclamazione del ‘quinto dogma mariano’, dopo quelli sulla Maternità divina (410), la Verginità perpetua (553), l’Immacolata Concezione (1854), l’Assunzione in cielo di corpo e anima (1950). Si veda, come esempio di pubblicistica ‘militante’, Mary at the Foot of the Cross IX. Mary Spouse of the Holy Spirit, Coredemptrix and Mother of the Church. Acts of the Ninth International Symposium on Marian Coredemption, Casa Dores (Sanctuary) Fatima, Portugal, July 15-17, 2009, New Bedford (MA), Academy of the Immaculate, 2010. 16 Fu proprio tra Quattro e Cinquecento che la devozione all’Immacolata assunse i caratteri del culto civico, intrecciandosi alla lotta politica tra fazioni. Cfr. R.M. Dessì, La controversia sull’Immacolata Concezione e la propaganda per il culto in Italia nel XV secolo, «Cristianesimo nella Storia», 12, 1991, pp. 265-293; M. Mussolin, The rise of the new civic ritual of the Immaculate Conception of the Virgin in Sixteenth-century Siena, «Renaissance Studies», 20/2, 2006, pp. 253-275. 264 PAOLO BROGGIO che, pur tra esitazioni, rinvii e manifesti malumori, alla fine accondiscende alle richieste, sebbene in maniera parziale. Ambasciate straordinarie, interventi personali di Filippo III prima, di Filippo IV poi: un pressing su una questione di carattere dottrinale che non ha probabilmente precedenti nella storia dei rapporti tra la Santa Sede e uno stato cattolico e che portò Roma e Madrid a momenti di acuta tensione diplomatica.17 La dinamica lineare e binaria che abbiamo appena descritto, e che si ritrova rispecchiata nella maggior parte delle ricostruzioni, è però smentita da un’analisi più minuta della documentazione, da cui invece traspare una realtà multicentrica e particolarmente mossa. Già nel momento in cui la controversia ‘politica’ sulla definizione dogmatica ebbe inizio, a seguito degli echi del ritrovamento delle lamine di Granada e dei moti di Siviglia e di altre città dell’Andalusia negli anni 1612-1614, dalla corrispondenza del nunzio a Madrid Antonio Caetani è possibile desumere una situazione di conflitto e di equilibri precari sia tra alcune diocesi spagnole (quella di Siviglia, guidata da Pedro de Castro, fortemente episcopalista, che rivendicava un ruolo di primo piano tra le diocesi spagnole contro la sede primata, quella di Toledo), sia tra arcivescovo e capitolo cattedrale sivigliano.18 Alla questione dell’Immacolata è possibile in effetti accostarsi secondo prospettive molteplici; una, sicuramente meno frequentata dalla storiografia, è quella del ruolo e dell’atteggiamento dell’Inquisizione romana rispetto alla definizione dogmatica, un’istituzione che, diversamente da quanto era accaduto per la fase romana della controversia de auxiliis divinae gratiae (1594-1607), non si vide mai limitata nella propria naturale prerogativa di valutare la questione, fornire pareri ed emettere provvedimenti, indirizzati nella maggior parte dei casi ai tribunali inquisitoriali locali. Negli anni Quaranta del Seicento la Congregazione fu al centro di un caso politico che fu innescato dal comportamento del Maestro del Sacro Palazzo in tema di concessione dei permessi di stampa nella città di Roma. La polemica esplose intorno al 1646-1647, e traeva origine da 17 Cfr. P. Broggio, Più papisti del papa. Le definizioni dogmatiche e lo spettro dello scisma nei rapporti ispano-pontifici (1594-1625), in De l’Église aux Églises: réflexions sur le schisme aux Temps modernes – Tours et détours des objets de dévotion catholiques (XVIe-XXIe siècles), textes réunis par A. Girard, B. Schmitz, «Mélanges de l’Ecole française de Rome, Italie et Méditerranée modernes et contemporaines», 126/2, 2014, pp. 289-306. 18 Cfr. P. Broggio, Teologia, ordini religiosi e rapporti politici: la questione dell’Immacolata Concezione di Maria tra Roma e Madrid (1614-1663), «Hispania Sacra», LXV/Extra I, enerojunio 2013, pp. 255-281; P. Scaramella, «Una materia gravissima, una enorme heresia». Granada, Roma e la controversia sugli apocrifi del Sacromonte, «Rivista storica italiana», CXX, 2008, pp. 1003-1044. L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 265 un rescritto che l’Inquisizione aveva emesso nel 1644. Il 20 gennaio di quell’anno la Congregazione, riunita nella feria IV nel convento di S. Maria sopra Minerva, in risposta ad una richiesta di chiarimento inviata una settimana prima dal vicario dell’inquisitore di Bologna,19 il domenicano Giovanni Vincenzo Paolini,20 aveva stabilito quanto segue: Litteris Vicarij S. Offici Bononiae datis 13 huius reserbat. ut quando agatur de Titulo Immaculatae Conceptionis B.V. nullo modo permittatur, sed solum dicatur Conceptio Immaculatae Virginis iuxta decreta alias factum.21 Il 13 gennaio Paolini aveva inviato il seguente dubium alla Congregazione: Perché nell’avvenire non erri, supplico V.S.R.ma vogli farmi avisato, se nelli Cartelli d’Inviti, o in altre cose che si havranno da stampare in materia della Concettione della B[eatissi]ma V[ergine] dovrò annettere il titolo d’Immacolata concettione ò pure di Concettione della Immacolata Vergine atteso che se bene qualche volta senza di me è stato poche volte da qualche anno in quà il titolo nella prima forma, intendo però esservi il decreto di cotesta Sacra Congregatione in contrario, che prohibisce il titolo d’Immacolata Concettione e vuole che si dica Concettione dell’Immacolata Vergine. Il qual decreto non fu mai trasmesso da cotesta Sacra Congregatione à questa Inquisitione di Bologna per quanto intesi dal P. Inquisitore defunto et con humilissima riverenza le bacio le sacre vesti.22 La risposta di Roma non lasciava margini al dubbio: l’Inquisitore non avrebbe dovuto permettere che fosse utilizzata l’espressione ‘Immacolata Concezione della Vergine’, imponendo al suo posto un più neutro ‘Concezione della Vergine immacolata’. L’aggettivo ‘Immacolato’ non avrebbe più dovuto essere riferito al concepimento, bensì alla Vergine, e il Maestro del Sacro Palazzo pare avesse cominciato a negare gli impri19 In quel momento l’Inquisitore di Bologna era Prospero Bagarotti, anche lui domenicano. Fu vicario dell’Inquisizione di Piacenza (designato nel 1631), socio del commissario generale del Sant’Uffizio (giurò come tale il 13 giugno 1635), Inquisitore di Piacenza (1635-1643), Bologna (1643-1647), Genova 1647-1652), Ferrara (1653-1659). Morì nel 1659. Cfr. H.H. Schwedt, Die Römische Inquisition. Kardinäle und konsultoren 1601 bis 1700, Herder, Freiburg, 2017, pp. 70-72. 20 L’anno successivo Paolini sarebbe diventato socio del Commissario Generale del Sant’Uffizio, carica che ricoprì fino al 1647, quando fu nominato inquisitore di Ancona, dove restò fino al 1652. Successivamente fu inquisitore di Faenza (fino al 1660) e successivamente di Bologna (fino al 1669). Cfr. H.H. Schwedt, Die Römische Inquisition, cit., pp. 459-460. 21 Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (d’ora in poi ACDF), Decreta S.O., 1644, f. 14v. 22 ACDF, S.O., St. St. M6B, f. 163, miei corsivi. 266 PAOLO BROGGIO matur proprio in applicazione di questo rescritto. Non è dato sapere se in precedenza li avesse invece concessi, ma in quel preciso momento il suo diniego destò scalpore e scandalo. La Congregazione non stava disponendo nulla di nuovo, così come si può facilmente desumere dal testo della richiesta di Paolini, in cui si fa esplicito riferimento ad un precedente «decreto di cotesta Sacra Congregatione in contrario, che prohibisce il titolo d’Immacolata Concettione e vuole che si dica Concettione dell’Immacolata Vergine», e in cui si menziona anche la circostanza che tale decreto «non fu mai trasmesso da cotesta Sacra Congregatione à questa Inquisitione di Bologna». La Congregazione stava semplicemente ribadendo una disposizione già emanata in passato, e infatti il testo stesso della risposta lo ricorda: «iuxta decreta alias factum». Ma, a differenza di quanto era accaduto in precedenza, stavolta la notizia della proibizione si era diffusa al di fuori degli ambienti inquisitoriali e strettamente ecclesiastici e – come vedremo tra breve – era giunta fino in Spagna, dove l’Immacolata era diventata da qualche decennio una sorta di bandiera identitaria per la dinastia asburgica e il culto ad essa tributato aveva raggiunto livelli spettacolari. Come si accennava, sembra che a far diffondere la notizia dell’esistenza di un decreto del genere fu la mancata concessione dei permessi di stampa nella città di Roma, spettante – come è noto – al Maestro del Sacro Palazzo. Dagli ambienti favorevoli alla definizione dogmatica non tardò ad essere mossa l’accusa che qualcuno, magari proprio lo stesso Maestro del Sacro Palazzo, potesse aver fatto artatamente circolare una versione del decreto – completa di firma del notaio dell’Inquisizione, Giovanni Antonio Tommasino, e che riproduciamo qui di seguito – che non corrispondeva esattamente all’originale. Una versione che, pur essendo identica per sostanza, non lo era per la forma: In Congregatione Generali Sacrae Roma[n]e et Universalis Inquisitionis habita in Conventu S. Mariae super Minervam Coram Em[inentissim]is et Rev[erendissim]is Cardinalibus contram haereticam pravitatem Inquisitoribus Generalibus a S[anct]a Sede specialiter deputatis Em[inentissim]i et R[everendissim]i Cardinales Inquisitionis Generalis praedicta decreverunt, quod quando agitur de tribuendo titulo Immaculatae Conceptioni B[eatae] V[irginis] nullo modo permittatur, sed solum dicatur Conceptio Immaculatae Virginis, et ita observari mandarunt.23 23 ACDF, S.O., St. St., M6B, f. 179. L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 267 Gli immacolisti facevano notare soprattutto due aspetti: lo stile apparentemente solenne, che mancava al decreto vero e proprio, a sottolinearne l’universalità, e l’espunzione del riferimento esplicito al vicario dell’Inquisizione bolognese, redattore del dubbio e a cui era indirizzata la risposta dei cardinali. Anni dopo, nella Istruzione consegnata all’ambasciatore straordinario Pedro de Urbina (1653-1655), Filippo IV e la Junta de la Inmaculada avrebbero denunciato la discrasia tra il vero decreto e il testo fatto circolare a Roma, mettendo in evidenza soprattutto l’assenza della parola «rescribatur» nel testo a loro giudizio modificato, termine che caratterizza una decisione riferita ad un caso particolare, ben lontana dall’essere un decreto universalmente valido.24 Ma nel vero e proprio decreto del Sant’Uffizio non compare in realtà questa parola, come abbiamo avuto modo di vedere. Filippo IV e tutto il fronte immacolista contestavano pertanto la veridicità di un testo facendo ricorso ad un altro testo che comunque non corrispondeva alla lettera al decreto, oggi consultabile nella relativa serie dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede. L’obiettivo dei sostenitori della definizione dogmatica era quello di restringere la validità del decreto alla sola Inquisizione di Bologna o, al massimo, ai soli territori dello Stato pontificio. Si trattava, da questo punto di vista, di una forzatura, in quanto la versione fatta circolare, se è vero che non era fedele alla lettera all’originale non contenendo – tra l’altro – il riferimento né ai nomi dei cardinali al momento presenti, né al vicario autore della richiesta di chiarimento, poteva considerarsi una sorta di crasi tra il decreto in sé e una intestazione-standard che precede i decreti emessi nel corso di una riunione della Congregazione.25 Priva di fondamento, inoltre, risulta una classificazione dei decreti del Sant’Uffizio sulla base della maggiore o minore ampiezza della loro efficacia esecutiva, anche perché in ogni caso i decreti della Congregazione non avevano una diretta vigenza nei territori della Monarchia spagnola. Gli immacolisti avevano però qualche ragione nell’argomentare che se la Congregazione avesse voluto conferire a quel decreto un carattere di universalità, lo avrebbe fatto stampare e lo avrebbe inviato per oppor24 Cfr. C. Gutiérrez, España por el dogma de la Inmaculada. La embajada a Roma de 1659. La Bula «Sollicitudo» de Alejandro VII, «Miscelánea Comillas», XXIV, 1955, p. 32, n. 97. 25 Nel caso specifico della riunione del 24 gennaio, l’intestazione era la seguente: «Feria IIII Die 20 Januarii 1644. Fuit Congregatus S. Officij in Conventu S. Mariae super Minerva coram Eminentissimis et Reverendissimis DD. Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalibus Roma, de la Cueva, S. Honophrij, Spada, Pamphilio, S. Clementis, Falconerio et Ginetto Generalibus Inquisitores [...]» (ACDF, S.O., Decreta 1644, f. 12r). 268 PAOLO BROGGIO tuna conoscenza a tutti i tribunali periferici, cosa che invece non era accaduta. La pubblicità di una decisione presa dalla Congregazione era essenziale ai fini della sua generale osservanza, e tale mancanza è prova del fatto che per il Sant’Uffizio si trattava sì di una linea di condotta piuttosto consolidata, ma che si era sempre evitato di dare alla proibizione quella diffusione che avrebbe certamente generato proteste e scontri. Grazie al Maestro del Sacro Palazzo e alla malizia di qualche macolista, ora i cardinali inquisitori si trovavano loro malgrado a dover affrontare una situazione piuttosto spinosa. Al di là degli aspetti prettamente giuridici, si trattava sostanzialmente di una questione di immagine, in quanto la Spagna non poteva tollerare che il massimo tribunale della fede del Papato frapponesse un ostacolo così evidente al cammino verso la tanto sospirata proclamazione del dogma. Gli ingredienti c’erano tutti, insomma, per far scoppiare un vero e proprio caso politico, perché proibire l’uso dell’espressione Immacolata Concezione voleva dire non solo colpire al cuore la dottrina, non solo indietreggiare di quasi due secoli nel cammino verso la proclamazione dogmatica, ma anche vanificare gli sforzi diplomatici messi in campo negli ultimi decenni dagli Asburgo di Spagna, con dispendio cospicuo di risorse, materiali e immateriali. Dal momento della improvvisa presa di coscienza, nei territori di Sua Maestà Cattolica, di una Inquisizione romana inspiegabilmente avversa (o esageratamente prudente) rispetto alla dottrina dell’Immacolato concepimento della Vergine, fu guerra di memoriali. Cominciarono ad affluire alla Congregazione da una parte richieste di revoca del decreto, dall’altra memorie difensive di produzione domenicana aventi lo scopo di scongiurare una tale eventualità.26 L’immagine che all’esterno si percepì fu quella di un Sant’Uffizio improvvisamente prono ai desiderata dell’ordine domenicano, ridotto ad uno strumento nelle mani dei tradizionali nemici della dottrina dell’Immacolata, che agivano di nascosto, nell’ombra.27 Ma la realtà era sensibilmente diversa, molto più dinamica e conflittuale di quanto si potesse immaginare, specie per ciò che riguarda i rapporti centro-periferia che all’interno dell’istituzione si era26 Particolarmente significativi i memoriali inviati dal generale dei domenicani, Tommaso Turco, su cui cfr. T. Strozzi, Controversia della Concezione della Beata Vergine Maria, descitta istoricamente, in Palermo, presso Giuseppe Gramignani Stampatore del Regio Palazzo, 1703, pp. 569-572. 27 Un’immagine che è giunta fino al XX secolo, tanto è vero che il mariologo Laurentin scrive che «coloro che negavano l’Immacolata (i cosiddetti ‘macolisti’) erano forti all’Inquisizione. Essi agivano nell’ombra» (R. Laurentin, La Vergine Maria, cit., pp. 162-166). L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 269 no andati sviluppando sin dai primi provvedimenti pontifici in materia. A partire da quello di Paolo V del 1617,28 poi confermato e ampliato da Gregorio XV nel 1622,29 essi andavano innanzitutto fatti osservare e le circostanze in cui una data affermazione – nelle conclusioni teologiche, negli uffici sacri, nelle immagini devote, nella predicazione, ecc. – poteva rischiare di contravvenire alle disposizioni pontificie erano innumerevoli. Dubbi numerosi e decisioni sui casi concreti disomogenee: ciò mandava inevitabilmente in confusione non solo gli ecclesiastici e i fedeli, ma anche gli inquisitori locali. L’Inquisizione fungeva da centro dispensatore di direttive e anche da istanza di risoluzione dei dubia in materia di applicazione di disposizioni e anche in casi di denuncia di inosservanze. Nel febbraio del 1619, ad esempio, il Sant’Uffizio indirizzava ai nunzi un chiarimento circa il modo di procedere nell’applicazione del decreto inquisitoriale del 1617 mirante a far cessare i «disordini e scandali»; in esso si precisava che nei territori soggetti alla loro giurisdizione avrebbero dovuto impedire di affermare, in scritto o a stampa, che la Vergine era stata concepita in peccato originale, ma che tale proibizione doveva valere anche per la parte avversaria, alla quale non doveva essere concesso di «impugnare, rifiutare, censurare, né trattare in qualsivoglia modo dell’altra opinione contraria alla loro».30 Nel luglio dello stesso anno fu il superiore del convento domenicano di Fermo a far presente alla Congregazione una situazione a suo giudizio incresciosa. I francescani conventuali della stessa città non solo avevano dato alle stampe delle conclusioni teologiche immacoliste molto ardite, in cui la figura della Vergine era posta a diretto raffronto con quella del Cristo,31 ma avevano addirittura invitato i domenicani del suo convento ad una pubblica disputa: una evidente provocazione, se non addirittura una trappola, alla luce del decreto del 1617. Vincenzo da Pavia, questo il nome del superiore dome28 Con la Costituzione Sanctissimus del 31 agosto 1617 papa Borghese proibiva di affermare negli atti pubblici di qualsiasi genere, sia tra il popolo, sia tra i dotti, che la Vergine è stata concepita nel peccato originale. 29 Il 24 maggio 1622, dopo un ennesimo esame della questione da parte del Sant’Uffizio romano, papa Ludovisi estendeva il divieto di sostenere la tesi macolista anche a scritti e discorsi privati, sebbene appena due mesi dopo (28 luglio, breve Eximii atque singulares) si concedeva ai domenicani il permesso di esporre la tesi macolista nelle loro private dispute, a condizione che non fossero presenti degli esterni. 30 ACDF, S.O. St. St. M6B, f. 35. 31 Symbolica Descriptio Conceptionis Luminaris maioris, & Luminaris minoris [...], Disputabuntur publicè Firmi in Ecclesia S. Francisci Die 2 Julii Anno Domini 1619, Maceratae, ex Officina Ioannis Baptistae Carboni, 1619. 270 PAOLO BROGGIO nicano, supplicava allora la Congregazione «che si degni concederme licenza di poter disputare questa conclusione quando sarò da questo o altri Padri invitato overo prohibire a loro di poter invitare a disputarla». Quelle stesse conclusioni, del resto, avevano destato la reazione di un altro domenicano di Fermo, tale Alessandro Avino, con ogni probabilità vicario dell’Inquisitore di Ancona, che inviò una denuncia ufficiale a Roma, precisamente al Cardinale Giangarzia Millini, anche perché esse si erano svolte «senza darne à me parte alcuna, sicome è solito». Avino scrive al Millini che i minori conventuali gli avrebbero riferito «di haver lasciata indiscussa et non disputata quella della Beatissima Vergine, essendo parso loro, che nel Decreto della medesima Sacra Congregatione emanato nel 1617, non si prohibisca la stampa, ma ben la trattatione, et disputa di questo punto».32 Di nuovo, una interpretazione di comodo di un decreto inquisitoriale e una ammonizione da parte di un vicario del Sant’Uffizio, costretto a ristabilire chiarezza e a proibire simili comportamenti per il futuro. Si trattava di una attività di routine per la Congregazione, la cui traccia rende però evidenti delle sfumature altrimenti destinate a restare celate. Come quando ci si imbatte nella lettera del guardiano della chiesa di S. Francesco di Faenza, un minore osservante, che il 20 ottobre 1644 scrive a Roma per ottenere il permesso di stampare e diffondere tra i fedeli una immagine della Vergine, prodotta dalla Compagnia dell’Immacolata Concezione della medesima chiesa,33 recante la scritta «sine peccato concepta pro peccatoribus intercede». Fra’ Matteo sottolineava che «altre volte li Padri Inquisitori si sono provati a impedire, e di levare le lettere [...] ma perché s’è inviato costì alla Sacra Congregatione del Santo Ufficio gl’è stato subito ordinato che si lascino stampare», situazione che si era riproposta, tale e quale, in quel momento, visto che il locale Inquisitore glielo stava di nuovo impedendo. Il minore chiedeva allora a Roma la licenza di stampare quella immagine, visto che «li padri Consultori hanno altre volte ottenuto tale licenza dalla Sacra Congregatione». Possiamo dare credito alle parole di questo minore osservante? Possiamo pensare che Roma negli anni precedenti avesse, in maniera episodica ma significativa, contraddetto l’eccessiva solerzia degli inquisitori locali nel limitare gli eccessi della devozione immacolista grazie all’influenza dei consultori del Sant’Uffizio? Consultori che, come sappiamo, avrebACDF, S.O. St. St. M6B, f. 39. La Compagnia dell’Immacolata Concezione della chiesa di S. Francesco di Faenza era stata fondata nel 1552 e si mantenne in vita fino al 1792. 32 33 L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 271 bero potuto essere dei nemici, ma anche dei benevoli immacolisti, come nel caso del consultore francescano conventuale.34 Negli anni Venti, Trenta e Quaranta del Seicento le richieste di chiarimento e di licenza in tema di Immacolata, anche sotto la forma di ricorso contro decisioni prese in loco dagli inquisitori, furono costanti. Nel 1635 l’Inquisitore di Padova, il minore conventuale Antonio Vercelli da Lendinara, scriveva alla Congregazione per informare i cardinali di aver ammesso, «essendo conforme all’ultime Bolle delli Sommi Pontefici Paolo V° et Gregorio XV° di glor[iosa] memoria» delle conclusioni teologiche dei minori osservanti di Verona «nelle quali ve n’era una della Beata Vergine con queste formali parole, In sua conceptione ab omni labe originali prorsus fuisse immunem». Successivamente, però, esse erano state interdette dall’Inquisitore di Verona, il domenicano Francesco Cuccini. Lendinara scriveva allora a Roma «per ricevere il comandamento, che resterà servita V.S. emin[entissi]ma formi intorno à simile materia».35 Ma non sempre gli inquisitori locali erano degli zelanti domenicani, tradizionalmente avversi alla dottrina dell’Immacolata, sempre pronti a censurare il troppo aperto immacolismo della famiglia francescana. A Firenze, ad esempio, a ricoprire l’ufficio di inquisitori erano i minori conventuali di Santa Croce,36 e nell’agosto del 1646 Giacomo Cima da Sezze inviò una lettera alla Congregazione denunciando i minori osservanti della città per aver fatto stampare a Lucca delle conclusioni teologiche in cui si toccava la questione dell’Immacolata 37 in quanto «volevano anche difenderle in questa Giurisditione». Cima rassicurava Roma affermando di aver «dato ordine non si faccino difendere: poiché come vedrà V.E. nella seconda colonna, hanno stampato quello, che non potevano, quanto maggiormente disputare, trattandosi della Concettio34 «La Sacra Congregazione dei Cardinali supremi Inquisitori della Cristianità si vale di due sorta di teologi: altri sono detti Qualificatori, altri Teologi Consultori. Queglino sono molti, e questi pochi; i primi hanno la sola incombenza, che portano col nome, qualificando le proposizioni, che occorra dichiarare se siano eretiche, o temerarie, o male sonanti etc., e non vanno alle congregazioni del S. Uffizio; ma si mandan loro le materie da studiare, ogni volta che occorra, e convengono poi a dare il voto sopra esse, dove, e quando sia loro ordinato. Ma i teologi consultori entrano in congregazione, e sono il P. Generale Domenicano, il P.M. di Sacro Palazzo, il P. Commissario del S. Ufficio, col suo Socio, ed il Consultore Francescano (Conventuale)», V. Coronelli (OFMConv), Biblioteca Universale sacro-profana antico-moderna, vol. VI, Venezia, Tramontin, cc. 1047-1048, miei corsivi. 35 ACDF, S.O. St. St. M6B, f. 141. 36 Cfr. A. Prosperi, L’età dell’Inquisizione romana a Santa Croce di Firenze, in Id., L’Inquisizione romana. Letture e ricerche, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 199-217. 37 Le conclusioni portavano il titolo «De Omnium Maxima Deiparae Dignitate» e offrivano ancora un parallelismo tra la Vergine e il Cristo. 272 PAOLO BROGGIO ne particolarmente in publico».38 Prova estrema di rigore e imparzialità nell’ottenere il dovuto rispetto dei decreti inquisitoriali o segnale di una rivalità interna alla famiglia minoritica tale da spingere i conventuali a denunciare gli osservanti proprio sull’Immacolata, questione su cui si trovavano perfettamente d’accordo? Applicare sul territorio le disposizioni pontificie e i decreti inquisitoriali causava difficoltà, faceva sorgere dubbi e portava in superficie mai sopiti contrasti. Il Sant’Uffizio doveva rispondere a sollecitazioni di vario tipo affinché fosse garantito l’equilibrio tra le diverse posizioni dottrinali, ed è per tale ragione che si affermò col tempo una prassi mirante a garantire la quiete e ad evitare gli ‘scandali’: sotto l’onda emozionale degli avvenimenti andalusi e a causa delle pressioni di Filippo III e Filippo IV i papi Borghese e Ludovisi, coadiuvati dal Sant’Uffizio, avevano sì proibito di sostenere in pubblico la tesi macolista, ma non avevano inteso intaccare la libertà, soprattutto per gli eruditi e i teologi, di parteggiare per la ‘sentenza positiva’, secondo modalità che però non avrebbero dovuto turbare la pace nella Chiesa. Ci si rendeva conto di un sostanziale iato tra luoghi della erudizione ecclesiastica e luoghi della devozione popolare e si decideva di irrigidire il controllo soprattutto sui secondi, dove il volgo ignorante veniva sempre più attirato verso un immacolismo militante, strumentalizzato sia dal potere politico, sia dagli ordini religiosi in lotta. Sotto Urbano VIII i cardinali della Congregazione furono portati ad assumere – in assenza di una definizione dogmatica che papa Barberini era lungi dal voler concedere – un atteggiamento particolarmente garantista. Si intese continuare a censurare non solo le manifestazioni macoliste ma anche le troppo aperte proposizioni immacoliste (e anche velatamente corredentiste). Nel 1641 fu lo stesso Cardinale Francesco Albizzi, il potente assessore del Sant’Uffizio che sotto Innocenzo X avrebbe avuto un ruolo determinante nella emanazione della bolla antigiansenista Cum occasione, a descrivere la ferma determinazione di Urbano VIII e, di conseguenza, dell’Inquisizione romana nell’imporre una linea di equidistanza tra le due opinioni, nonostante il pressing della Monarchia spagnola. In particolare, nel 1625 l’ambasciatore straordinario Duca di Alcalà aveva chiesto al pontefice che «si potesse in Ispagna recitare l’Offizio, o la Messa impressi da Leonardo Nogarola, et approvati da Sisto Quarto» e anche che «si dichiarasse esser stata intenzione di quel Pontefice di rinchiudere sotto la parola di Concezione contenuta nelle sue Costituzioni la Preservazione di Maria dal peccato originale anco nel primo 38 ACDF, S.O. St. St. M6B, f. 173. L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 273 istante, e di escludere la santificazione anco doppo una brevissima mora nel peccato». Albizzi racconta che i cardinali della Congregazione,39 pur rendendosi conto che le parole della costituzione di Sisto IV erano piuttosto inequivocabili in senso opposto a quello della richiesta, stavano quasi per cedere all’insistenza dell’ambasciatore se non fosse stato per il deciso intervento personale di papa Barberini, preoccupato di non togliere ai teologi e ai fedeli la possibilità di «opinare diversamente dalla preservarzione di Maria».40 Sempre secondo la ricostruzione dell’Albizzi, di fronte alla fermezza di Urbano VIII la combattività degli spagnoli si sarebbe sostanzialmente spenta nel 1627. La linea di condotta era dunque ben fissata e sedimentata da almeno due decenni, ma a seguito del contestatissimo decreto del 20 gennaio 1644 la Spagna e il fronte immacolista crearono il caso politico, denunciando un cambio di rotta di Roma che in realtà tale non era. Non è probabilmente una coincidenza casuale che il nervo si scoprì a pochissimo tempo di distanza dalla morte di papa Barberini e in corrispondenza dell’esplosione della querelle giansenista, a soli sei mesi di distanza dalla prima bolla di condanna dell’Augustinus di Giansenio (In eminenti, giugno 1643). Nei fatti si trattò di un moto di opposizione e protesta nei confronti del Maestro del Sacro Palazzo, il domenicano Vincenzo Candido, che aveva già avuto occasione di farsi notare dagli antigiansenisti. Nel 1643 aveva rilasciato, nella sua qualità di consultore di diritto del Sant’Uffizio, un parere positivo sul Traité de la frequente Communion di Antoine Arnauld; stesso atteggiamento filogiansenista Candido avrebbe assunto in occasione dell’esame di sette proposizioni, di cui cinque tratte da Giansenio, che la facoltà di teologia di Parigi aveva inviato a Roma per un definitivo giudizio sulla loro ortodossia.41 Come si diceva poc’anzi, del rescritto del gennaio 1644 nessuno si era reso conto nell’immediato. Difficile, del resto, accorgersi di un documento interno alla Congregazione che non faceva che ribadire disposizioni già emanate in precedenza. Fu solo tra il 1646 e il 1647 che si alzò vibrante la protesta nei confronti del comportamento di Candido, del 39 In quel momento facevano parte della Congregazione i cardinali Ottavio Bandini, Giangarzia Millini, Gaspare Borgia, Felice Centini (OFMConv), Scipione Cobelluzzi, Guido Bentivoglio, Ludovico Ludovisi, Pietro Campori, Francesco Barberini. 40 Racconto degli accidenti succedutisi in diversi tempi nella materia della Concezione, Biblioteca Casanatense (Roma), Ms. 2120, f. 301r-v. Il documento è stato pubblicato e commentato da M. Bergonzini, Il culto mariano e immaculista della Monarchia di Spagna: l’ambasciata romana di D. Luis Crespi de Borja (1659-1661), Porto, CITCEM, 2015, pp. 52-74. 41 Cfr. P. Stella, Il giansenismo in Italia, cit., passim. 274 PAOLO BROGGIO resto in linea con la prudenza imposta per anni da Urbano VIII, in quanto – come aveva scritto l’Albizzi in tempi non sospetti – quando la Spagna chiese a Roma che «fosse conceduto à Spagnuoli di poter celebrar la Messa, e l’Offizi col titolo dell’Immaculata Concezione», papa Barberini aveva risposto che «sarebbe stato troppo grave scandalo l’udirsi in alcune Provincie celebrarsi la Messa, e l’Offizio col solo titolo di Concezione, et in altre con quello d’Immaculata».42 Ciò nonostante, il generale dei minori osservanti, Giovanni Mazzara da Napoli, gridò allo scandalo e decise di ricorrere ai cardinali inquisitori, «peroche correva voce, che la rimozione di quel titolo appoggiavasi ad un decreto della lor Congregazione». Secondo il racconto di Tommaso Strozzi, gesuita napoletano autore nel tardo Seicento di una storia della controversia sull’Immacolata concezione, i cardinali «negarono [...] di haverne contezza» (circostanza piuttosto improbabile), mentre – continua Strozzi – il testo del decreto «s’era cominciato a divolgar per Roma, ed egli n’hebbe una semplice copia non legalizzata».43 A partire da quel momento, oltre alle corali proteste contro il Maestro del Sacro Palazzo, di cui si chiedeva a gran voce la correzione da parte del pontefice e dello stesso Sant’Uffizio, venne diffusa ad arte la voce che il rescritto inquisitoriale non era altro che il risultato di oscure trame domenicane. Il teorema era semplice: visto che i domenicani erano tradizionalmente legati al Sant’Uffizio, sarebbe stato facile per loro servirsi dell’Inquisizione per porre ostacoli sul cammino verso la definizione dogmatica. Il rescritto era, pertanto, opera loro, e la Congregazione sarebbe stata in un certo senso più vittima che complice della furbizia dei predicatori. In un momento di piena offensiva antigiansenista, un atteggiamento macolista non poteva evidentemente più essere tollerato. Da provvedimento di routine a caso politico: la consueta rivalità tra ordini religiosi aveva fatto compiere il passo, e il Sant’Uffizio si trovò suo malgrado al centro dello scontro, che vide subito l’intervento di Filippo IV di Spagna, avvertito di quanto stava accadendo dallo stesso ministro generale francescano. Nel 1649 giunse a Roma il nuovo ambasciatore straordinario, Rodrigo de Vivar y Mendoza, VII Duca dell’Infantado, la cui missione era proprio quella di correre ai ripari rispetto all’operato del Maestro del Sacro Palazzo. Il sovrano scrisse direttamente a Innocenzo X per chiedere di annullare i divieti di stampa imposti fino a quel momento e la formale revoca del rescritto inquisitoriale del gennaio 42 43 Biblioteca Casanatense (Roma), Ms. 2120, ff. 303v-304r. T. Strozzi, Controversia della Concezione, cit., pp. 565-566. L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 275 1644, che comunque – precisava Filippo IV – in alcun modo poteva essere considerato un provvedimento di carattere generale, «habiendo sido respuesta de casos particulares de unas conclusiones, y una fiesta, y sin publicaçión, ni pena, ni notiçia de V. S.d, ni formalidad ninguna de ley, ni de las acostumbradas siempre en los decretos».44 Agli occhi del sovrano spagnolo il disegno da sventare era chiaro: [...] veese claramente que el intento que tienen en esto no es otro sino que assentándose aora el que no se imprima Conceptión Inmaculada a poco tiempo no se pueda imprimir Conceptión sin pecado (que no se puede negar que es lo mismo) y començando esta prohibiçión en solo Roma que es cabeça y norma de toda la Christiandad, después en toda ella aya de correr nezessariamente, pues lo demás sería deformidad y inconsequentia de grabíssimos inconventientes y más en materia de Doctrina la qual hallándose en alguna parte no ser segura, o corriente, en ninguna lo deve ni podrá ser y si no lo fuesse para imprimirse estará muy çerca de no serlo para que se pueda sentir, con que es evidente que no atajándose esta novedad muy brevemente esta opinión negatiba tan favorezida asta aora de la Yglesia como se ha dicho, bajaría de toda su altura en este feliz tiempo del Pontificado de V. S.d a la misma suma estrecheza y desvalimiento en que se halla la affirmatiba que deffienden los Padres Dominicos.45 Le argomentazioni miranti a delegittimare il rescritto inquisitoriale, sul quale poggiava l’operato del Maestro del Sacro Palazzo, furono a tutto campo: vi fu chi cercò di dimostrare che il testo che stava circolando era un falso prodotto dai domenicani, non corrispondente a nessun decreto effettivamente emanato dalla Congregazione,46 chi sostenne che il pontefice fosse stato tenuto all’oscuro di tutto e chi – come Filippo IV, come abbiamo appena visto – escluse che un rescritto potesse avere valore normativo erga omnes. I domenicani, dal canto loro, rispondevano che quel provvedimento aveva invece perfettamente senso per ragioni di prudenza dottrinale, in quanto se Gregorio XV aveva imposto, con il decreto del 1622, il termine ‘Concezione’ rispetto a quello di ‘Santificazione’,47 normalmente preferito dai domenicani, non lo aveva fatto per ACDF, S.O. St. St. M6B, f. 187v. Ibid. 46 Strozzi riassume le ragioni per cui il decreto avrebbe potuto essere un falso: il suo occultamento, la forma insufficiente, il luogo di produzione (il convento della Minerva invece del Palazzo Apostolico), il fatto di essere contrario alle costituzioni apostoliche precedenti, il difetto di esposizione del fatto, il difetto di promulgazione. Cfr. T. Strozzi, Controversia della Concezione, cit., pp. 567-568. 47 Il concetto di ‘santificazione’ indica la purificazione dal peccato originale avvenuta in un momento successivo al concepimento, tipicamente quello dell’animazione del feto. 44 45 276 PAOLO BROGGIO smentire i macolisti (altrimenti avrebbe proceduto a definire il dogma) ma per un desiderio di uniformità cultuale che però non ledesse nessuna delle due sentenze. «Allora fu – commenta Tommaso Strozzi nella sua descrizione delle argomentazioni domenicane – che il medesimo Pontefice con quel fatto diè à divedere, che il nome Concezione era indifferente». Se prima del decreto del 1622 il termine ‘concezione’ «valeva tanto quanto: Concezione Immaculata, e per ciò era protestativo della pia sentenza», con il decreto gregoriano «dovea prendersi indifferentemente, si che valesse a spiegare, tanto l’una, quanto l’altra opinione». Proprio per tale ragione il termine cessava di essere connotato rispetto all’individuazione del momento esatto in cui sarebbe avvenuta la cancellazione del peccato originale nella Vergine (dal primo istante del concepimento, oppure in un momento successivo). Dopo il decreto essendo tutti, anche i macolisti, tenuti ad utilizzare il termine ‘concezione’, «l’apporvi l’aggiunto: Immaculata, era violar il precetto del Pontefice»; voleva dire definire dogmaticamente senza un ufficiale pronunciamento papale.48 Era proprio questo il punto su cui i domenicani, e Candido in particolare, insistevano, e anche il cardinal Albizzi nel 1641 – come abbiamo visto – lo aveva richiamato esplicitamente: l’uso di quella espressione, alla luce della corretta interpretazione del decreto gregoriano, rappresentava una indebita pressione sul pontefice finalizzata alla definizione dogmatica. Per Filippo IV e per il fronte immacolista il Maestro del Sacro Palazzo e il Sant’Uffizio, che sembravano agire di concerto, stavano pericolosamente innovando, e ciò andava impedito con ogni mezzo. Non si poteva all’improvviso smentire il contenuto di una festa, quella dell’Immacolata, definito da secoli all’interno della Chiesa; non si poteva nemmeno smentire il decreto del Concilio di Trento che rimandava esplicitamente alle costituzioni di Sisto IV. Nel 1647 il conte di Oñate, ambasciatore straordinario spagnolo, a Roma sin dall’anno precedente, intervenne prontamente per protestare contro il Maestro del Sacro Palazzo, chiedendo al pontefice una formale censura del suo operato, anche perché – sottolineava – è davvero sciocco pensare che il suo imprimatur possa essere considerato una sorta di patente di dogmaticità: Da qui si comprendono le profonde implicazioni tra la dottrina dell’Immacolata Concezione e le teorie sull’inizio della vita; solo nel XVIII secolo, come è noto, la Chiesa cattolica accolse la teoria della animazione immediata del feto, contrariamente a quanto ad esempio sostenuto da Tommaso. Cfr. E. Betta, Animare la vita. Disciplina della nascita tra medicina e teologia nell’Ottocento, Bologna, il Mulino, 2006; A. Prosperi, Dare l’anima. Storia di un infanticidio, Torino, Einaudi, 2005. 48 T. Strozzi, Controversia della Concezione, cit., pp. 569-570. L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 277 [...] non ha fundamento veruno quello che forse da alcuni fu sogerito per arrivar a questo intento cioè che passandosi in Roma, e dal Maestro del Sacro Palazzo questo titolo de immaculata se viene la opinione più della immaculata Concettione ad autorizzare, e mettersi in stato troppo riguardevole, è come prossimo à definitione, poiché (Padre Santo) mai in tanti anni fra quanti fra quanti argomenti sono portati per questa opinione nissuno fu così sciocco che si volesse servir di questo sapendo bene che la sotto scrittione del Padre Maestro non è altro che una mera licenza di publicar le dottrine in quel grado che godono le vere come vere, e le probabili come probabili, né aggionge la sua licenza niente più alle dottrine di quello che aggiongono le licenze delli Ordinarij, e dove detto Padre Maestro permette che si stampino tutte queste cose che non sono contrarie alla fede cattolica e buoni costumi non si puol capire perché non possi permettere stampino quelle, che tanti secoli fu tenuto per probabile e come tale sempre in Roma, e per tutto il mondo si imprime.49 Il teorema degli avversari dei domenicani era però agilmente smontabile. Sarebbe bastato anche solo considerare la composizione della Congregazione che aveva disposto il tanto contestato rescritto per capire quanto fosse lontana dalla realtà una supposta preponderanza degli interessi domenicani o, sul piano politico, filofrancesi. A firmare il provvedimento erano stati: il Cardinale di Santa Prassede, Giulio Roma, educato dai gesuiti di Brera e apertamente filospagnolo; 50 il cardinale spagnolo Alfonso de la Cueva-Benavides y MendozaCarrillo, Marchese di Bedmar; 51 Francesco Barberini (Cardinale di Sant’Onofrio), nipote di Urbano VIII e figura chiave dell’Inquisizione seicentesca; 52 i cardinali Bernardino Spada, Giovanni Battista Pamphili (che nel settembre di quello stesso anno sarebbe assurto al pontificato come Innocenzo X), Vincenzo Maculani (domenicano, cardinale di S. Clemente), Lelio Falconieri, tendenzialmente filofrancese,53 Marzio ACDF, S.O., St. St. M6B, f. 178r-v. Cfr. G. Brunelli, Roma, Giulio, in Dizionario Biografico degli Italiani (DBI), vol. LXXXVIII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2017. 51 Cfr. A. Esteban Estríngana, Cueva-Benavides y Mendoza-Carrillo, Alonso de la, in Diccionario Biográfico Español. 52 Cfr. Di Barberini si parlava all’epoca di un suo forte rispetto nei confronti dell’agostinismo, che lo portò ad esitare nel sostegno a Fabio Chigi, molto legato ai gesuiti, nel corso del Conclave del 1655. Così affermava il cardinale di Retz secondo quanto riportato da Jean Racine nell’Abregé de l’histoire de Port-Royal (Paris, chez Lottin le jeune, 1767, pp. 204205). Cfr. K. Repgen, Francesco Barberini, Hugo Grotius und Römische Vorgeschichte der Bulle «In eminenti», «Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte», vol. 58, 1963, pp. 105-132. 53 Cfr. M. Sanfilippo, Falconieri, Lelio, in DBI, vol. XLIV (1994). 49 50 278 PAOLO BROGGIO Ginetti.54 Da notare che Roma, Spada, Pamphili, Falconieri e Ginetti sarebbero stati coinvolti a vario titolo nelle vicende della condanna delle proposizioni di Giansenio, e che nel 1651 Roma, Spada e Ginetti sarebbero stati scelti dall’Assessore del Sant’Uffizio, Francesco Albizzi, per far parte della commissione che avrebbe portato alla emanazione della bolla Cum occasione (1653) in quanto considerati in sintonia con i suoi intenti,55 quando invece fece di tutto per tenere lontano il domenicano Maculani, ex Maestro del Sacro Palazzo (1639-1641), di cui conosceva le tendenze concilianti con il giansenismo e avverse alla dottrina dell’Immacolata.56 C’era inoltre, come si è visto, un’altra circostanza incontrovertibile: già in passato l’Inquisizione romana aveva risposto in quel medesimo senso a richieste di chiarimento che erano giunte dai tribunali inquisitoriali locali, e sarebbe bastato consultare la raccolta dei Decreta del Sant’Uffizio per rendersi conto che il rescritto non era una invenzione. In altre due occasioni il Sant’Uffizio si era espresso in quella direzione: precisamente il 23 febbraio 1627 (rescritto indirizzato all’Inquisitore di Adria e Rovigo, Agostino Lachino da Osimo, minore conventuale) e il 28 aprile 1638. Nel 1638 e nel 1644, dunque, la Congregazione non aveva fatto altro che richiamarsi al primo rescritto, quello del 1627, dato in risposta ad una richiesta di chiarimento datata 4 febbraio dello stesso anno,57 a cui il cardinale Giangarzia Millini aveva così risposto: Cfr. S. Tabacchi, Ginetti, Marzio, in DBI, vol. LV (2001). Marzio Ginetti, in particolare, era di attitudine relativamente conciliante nei confronti del giansenismo ma «non riuscì a imporsi sulla linea intransigente, perseguita da Innocenzo X e da F. Albizzi, e a risparmiare l’umiliazione di una condanna ai filogiansenisti vescovi di Malines e Gand ( Jacob Boonen e Anton Triest)», S. Tabacchi, ibid. Pietro Stella ricorda come Albizzi ebbe cura di selezionare con un certo criterio i componenti della commissione che avrebbe dovuto esaminare le cinque proposizioni; alla fine ad essere scelti furono «tutti di formazione giuridica, con esperienza amministrativa, della cerchia clientelare o dei Barberini o dei Pamphili e tutto sommato in sintonia con la competenza avvocatizia e curiale che contraddistingueva l’assessore Albizzi», Il giansenismo in Italia, cit., p. 5. 56 «Al conclave che vide l’elezione di Innocenzo X, l’Albizzi fece circolare la voce che il cardinale domenicano avesse subito un processo d’Inquisizione e che, se fosse stato eletto pontefice, avrebbe cassato la bolla contro Giansenio e deciso le controversie sulla grazia e sull’Immacolata concezione nel senso auspicato dal suo Ordine», F. Beretta, Maculani, Vincenzo, in DBI, vol. LXVII (2006). 57 «Ricevo con la di V.S. Ill.ma et Rev.ma gli ordini generali nuovamente ristampati quali sicome per il passato sono stati osservati da me, o fatti osservare ad altri, così per l’avenire procurarò che in nissuna cosa siano trasgrediti. Il Padre Regente di Cesena mi prega che voglia darli avviso, se doppo l’ultimi Decreti in materia della S.ma Concettione vi sia altra dichiaratione per che in alcune Conclusioni che si dovevano disputare quel P. Vicario del Santo Officio non ha voluto ammettere il titolo d’Immaculata nel fine del foglio dove 54 55 L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 279 Hà fatto bene il P. Vicario del S[an]to Off[ici]o di Cesena 58 a non permettere che nel fine delle Conclusioni, che si havevano da disputare in quella città si dicesse, Disputabuntur in die Conceptionis Immaculatae, ma si che il titolo d’Immaculata cadesse sopra la parola Virginis et non sopra Conceptionis. Lo stesso V. R. osserverà in simili occasioni».59 Nessun incidente di percorso, nessuna strana macchinazione del Maestro del Sacro Palazzo: si trattava di un indirizzo consolidato del Sant’Uffizio improntato alla equidistanza tra le due sentenze e dettato da motivazioni di prudenza dottrinale. Fu davvero molto facile in quegli anni leggere il decreto del 1644 con gli occhiali del giansenismo, sia in un senso che nell’altro, al punto che persino nelle Fiandre vescovi e nunzi pontifici, nel sorvegliare e moderare gli eccessi di devozione immacolista che, incoraggiati dalle autorità spagnole, avrebbero potuto generare scontri con i giansenisti, si richiamarono proprio alla prassi prudenziale dell’Inquisizione romana, la cui fama aveva ormai raggiunto tutto il mondo cattolico. Come accadde nel 1657, quando il presidente del Consiglio privato di Filippo IV a Bruxelles, Charles Hovines, chiese spiegazioni al vescovo di Anversa, il domenicano Ambrosius Capello, per non aver menzionato il titolo di ‘Immacolata Concezione’ nell’indizione della novena di Nostra Signora. Nella sua risposta Capello si fece forte dei tre i decreti del Sant’Uffizio, menzionandoli con estrema precisione, notando che nonostante le pressioni spagnole, protrattesi fino al 1649 per mezzo degli ambasciatori straordinari a Roma, essi non erano stati revocati. Concludeva affermando che il suo comportamento trovava fondamento «sur un décret si universel et de si haute et supérieure autorité».60 Rispetto al contestato rescritto la Monarchia spagnola finì per sposare la tesi della falsificazione da parte del notaio Tommasino, colui che aveva apposto la sua firma al decreto del 20 gennaio 1644. Lo si diceva Disputabuntur publice in die Immaculata Conceptionis, ma bene che dicesse In die Conceptionis Immaculatae Virginis. Per tanto la supplico reverentemente a darmi ragguaglio di questo fatto, acciò sappia anch’io in che modo devo governarmi in simil caso», ACDF, S.O. St. St. M6B, f. 308. Tutti questi provvedimenti sono tuttora facilmente reperibili nei volumi dei Decreta dell’Archivio del Sant’Uffizio, ma nonostante questo Laurentin parla di un «decreto segreto» reso poi pubblico nel 1644 (R. Laurentin, La Vergine Maria, cit., pp. 162-166. 58 Cesena ricadeva nella giurisdizione del tribunale di Rimini, il cui inquisitore in quel momento era il domenicano Pietro Angelo Santinelli da Pesaro. 59 ACDF, S.O. St. St. M6B, f. 233. 60 Cfr. L. Ceyssens, La fin de la première période du jansénisme. Sources des années 1654-1660, tomo II (1657-1660), Bruxelles-Rome, Institut Historique Belge de Rome, 1965, pp. 117-118. 280 PAOLO BROGGIO apprende dalla Relación histórica-theológica-política de lo sucedido en el santo negocio de la Concepción Inmaculada de la Virgen Sanctísima, in cui si pone l’accento sulla «poca fidelidad» delle trascrizioni dei tre decreti e sulla assoluta evidenza di una frode, circostanze che secondo la Spagna imponevano a Innocenzo X di processare e punire adeguatamente il notaio, «como lo fue Mascambruno, un Ministro depravado de aquella Corte».61 Fu a causa della pressione della Monarchia spagnola che nel 1652 Innocenzo X si decise, in singolare corrispondenza temporale rispetto allo scandalo Mascambruni, ad aprire un processo interno alla Congregazione per verificare le responsabilità di Tommasino. Incaricato del procedimento fu il Cardinal Spada, membro del Sant’Uffizio, assistito da Giambattista Spada, consultore, e dal Luogotenente Criminale del Governatore di Roma, Girolamo Bucciotti. Questa la circostanza al centro dell’indagine: nel 1646 il Commissario del Sant’Uffizio aveva ordinato a Tommasino di consegnare al Maestro del Sacro Palazzo copia autentica del rescritto del gennaio 1644, ma in un secondo momento, nel 1649, dietro le insistenze di quest’ultimo, il notaio aveva ritenuto opportuno fornire copia di tutti e tre i decreti che a sua memoria proibivano l’uso della formula ‘Immacolata Concezione’ (quello del 1627, quello del 1638 e quello del 1644). Nel suo eccesso di zelo Tommasino non era però stato scrupoloso, in quanto aveva dato «copia d’un Decreto dell’anno 1627 in materia della Concettione della Beatissima Vergine diversa dal proprio originale». Per tale ragione venne istruito il processo, nel corso del quale Tommasino fornì la sua versione dei fatti: [...] mi fù ordinato dal Padre Commissario del Santo Officio, e suo Compagno à dar copia autentica del Decreto fatto del 1644 al Padre Maestro del Sacro Palazzo, e la 2a volta per l’incessanti istanze del medesimo Padre Maestro io gli diedi anche copia autentica di tutti tre i Decreti, cioè 1627, 38, e 44, e questo fù l’occasione per la quale furono notati in detto libro Extensorum, essendo così il stile, affinché apparisca il tenore di quello che si dà fuori, à chi si dà, di che tempo, e con qual’ordine: Et ancorché io non habbia prohibitione alcuna in dar fuori somiglianti copie, ad ogni modo nelle cause gravi, me n’asten61 Archivo del Ministerio de Asuntos Exteriores (Madrid), Ms. 448, f. 153r-v. Francesco Canonici Mascambruni, sotto-datario, protetto di papa Pamphili, si rese protagonista di uno dei più clamorosi casi di falsificazione di documenti e di corruzione della storia della Curia papale. Denunciato da Fabio Chigi, futuro papa Alessandro VII, nel 1652 fu processato, riconosciuto colpevole e giustiziato. Cfr. M. D’Amelia, La Dataria sotto inchiesta: il processo al sotto-datario Canonici detto Mascambruno nel 1652, in Le procès politique. XIVe-XVIIe siècles, études réunies par Y.M. Bercé, Rome, Ecole française de Rome, 2007, pp. 319-350; G.P. Brizzi, Canonici Mascambruni, Francesco, in DBI, vol. XVIII (1975). L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 281 go di darle, senza l’ordine, ò consenso di Monsignor Assessore, ò del Padre Commissario, li (sic!) cui ordine havendo la prima volta come s.a dato copia al Padre Maestro di Sacro Palazzo del Decreto 1644, stimai di potergli dar’ anco copia di tutti tre li sudetti Decreti la seconda volta, senza pigliarne il Consenso de Superiori.62 Tommasino riportò i tre decreti su altrettanti fogli, dando però per scontato che quello del febbraio 1627, firmato all’epoca da un altro notaio, suo sostituto, fosse perfettamente identico agli altri due: Nella fede ultimamente da me data al detto Padre Maestro delli tre Decreti toccanti la materia della Concettione, hò errato in haver steso il Decreto, che fù fatto alli 20 di Genn[ai]o 1644 come fatto sotto li 23 di feb[rai]o 1627, e la cagione dell’errore fù, perché nella Cancelleria non vi era il libro de Decreti del 1627, ma era in Archivio, ne havendo commodità di vederlo per la fretta che me ne faceva il detto Padre Maestro, e per l’occupationi grandi, nelle quali io mi trovavo, mi governai col Decreto 1644 pensando fosse uniforme à quelli del 38, e 27, e perché nel libro Extensorum trovai steso il Decreto fatto del 44, e dato al P. Maestro di Sacro Palazzo come hò detto di sopra.63 La questione non era anodina in quanto, come ben esplicitato dai cardinali nella feria IV del 7 agosto 1652, erano state rinvenute due versioni dello stesso decreto del 23 febbraio 1627, «alterum particulari, et restrictum ad impressionem Thaesium, seu Conclusionum, editum occasione litterarum Inquisitionis Adrien[sis]» e «Alterum vero Generali, sub cuius dispositione poterant comprehendi omnes casus».64 Una discrasia importante e gravida di conseguenze, come si può ben immaginare, soprattutto considerando che nel decreto del 1638, quello del 1627 era esplicitamente richiamato. Contestualmente, la Congregazione ordinò a diversi tribunali periferici (Ferrara, Adria e Rovigo, Ancona) di cercare gli originali del decreto del 1644 e di rispedirli a Roma, forse nell’intento di dimostrare ai detrattori che il provvedimento esisteva davvero e che era stato regolarmente trasmesso in periferia. All’Inquisitore di Bologna, in particolare, fu chiesto di inviare a Roma l’originale della lettera che il cardinale Francesco Barberini aveva inviato il 23 gennaio 1644 in cui si puntualizzava che «altre volte questa Sacra Congregatione ha risoluto che ove si tratta di dar titolo d’immaculata alla Concettione della Ivi, ff. 309v-310r. Ivi, f. 312. 64 Ivi, f. 216. I cardinali erano Barberini, Spada, Ginetti, Maculani, Lugo, Cecchini, Pamphili, Chigi e Colonna. Assessore Francesco Albizzi. 62 63 282 PAOLO BROGGIO B. Vergine non si permetta in veruna maniera, ma solamente si dica Concettione dell’Immaculata Vergine».65 L’Inquisitore, Guglielmo Fuochi da Moncalvo, domenicano, inviò alla Congregazione l’originale richiesto, allegando la copia del decreto del 1627 che già all’epoca era stata acclusa alla lettera proveniente da Roma.66 Verificato dal cardinal Spada – ascoltati anche gli assistenti di Tommasino, Alessandro Speroni e Francesco Ricciardi – che non si era trattato di un caso di dolo, ma solo di colpa (il notaio si era affidato ai suoi assistenti senza controllare personalmente la concordanza letterale dei tre decreti), l’imputato fu infine scagionato.67 Qualche conclusione Per qualche anno, tra la fine degli anni Quaranta e gli inizi degli anni Cinquanta del Seicento, il Maestro del Sacro Palazzo e, di riflesso, l’Inquisizione romana furono oggetto di vigorosi attacchi da parte del fronte immacolista, Filippo IV in testa. I domenicani furono accusati di appoggiarsi su documenti inventati o di manipolarli, mentre il Sant’Uffizio di essersi fatto strumentalizzare dall’ordine dei predicatori. Accusare la parte avversa di millantare documenti in realtà inesistenti, o di produrre documenti sospettati di essere dei falsi, era qualcosa di piuttosto ricorrente dei conflitti ecclesiastici, soprattutto tra ordini religiosi.68 Il Sant’Uffizio, anche indirizzato da un pontefice poco incline a soddisfare le richieste provenienti dalla Monarchia spagnola, adottò una linea di prudenza estrema, attitudine che arrivò nei fatti a mettere sullo stesso piano l’opinione pia (immacolista) e l’opinione macolista, nonostante una evoluzione che a partire dalle Costituzioni di Sisto IV fino ad arrivare alle decisioni di Gregorio XV, passando per il Concilio di Trento, stava andando nella direzione dell’accettazione progressiva della dottrina Ivi, f. 226. Ivi, f. 225. 67 «[...] compilatus fuit processus ex quo apparet falsitatem derivasse non ex malitia, sed ex ignavia, et inadvertentia non confrontandi ea decreta cum suis originalibus, nullum ageretur emanatum fuit contra Notarium», ACDF, S.O. St. St. M6B, f. 302. 68 Si vedano i conflitti sulle facultates pontificie concesse agli ordini religiosi, come ad esempio nel campo del conferimento dei titoli accademici, sui cui cfr. P. Broggio, Laurearsi nel Nuovo Mondo: il Papato, la Spagna e un conflitto tra gesuiti e domenicani nell’America meridionale (1580-1704), in Europa e America allo specchio. Studi per Francesca Cantù, a cura di Id., L. Guarnieri Calò Carducci, M. Merluzzi, Roma, Viella, 2017, pp. 91-128. 65 66 L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 283 dell’immacolato concepimento.69 Il rischio è che gli studiosi si facciano intrappolare nel gioco delle opposte controversistiche, e l’ampia ricezione storiografica della narrazione degli eventi di parte spagnola, immacolista e antidomenicana del decreto del 20 gennaio 1644 come ‘falso’ ne sarebbe una fedele riprova.70 Anche perché la dimostrazione della presunta alterazione, alla quale il Sant’Uffizio stesso diede una risposta definitiva con il processo interno a Tommasino, non è così dirimente come si potrebbe pensare; non è cioè in grado di capovolgere il senso generale dell’attitudine di papa Barberini rispetto alle richieste spagnole di definizione dogmatica, attitudine corretta solo parzialmente da papa Pamphili. Fu solo con Alessandro VII che il Papato si risolse ad accogliere le richieste spagnole, sebbene non fino al punto della definizione del dogma, attraverso la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum del 1661. Negli anni Quaranta alla Monarchia spagnola premeva, semmai, ribadire ancora una volta che i decreti dell’Inquisizione romana non potevano trovare diretta applicazione nei suoi territori e che essa non era disposta ad indietreggiare di un millimetro nelle sue richieste al pontefice romano. Se il Concilio di Trento aveva contribuito in maniera decisiva a spostare il dibattito dottrinale dalla contrapposizione immacolismo vs. macolismo a quella antidebitismo vs. debitismo,71 dando quindi in un certo senso per assodato che Maria fosse stata esclusa dalla regola universale della trasmissione del peccato originale per via seminale, gli scontri seicenteschi – anche grazie alla combattività dei domenicani e del fronte antigesuita, e anche a causa della posta in gioco che si celava dietro alla battaglia sul giansenismo – fecero in realtà indietreggiare la discussione dal punto di vista dottrinale, portandola su binari più giuridici che teologici stricto sensu. 69 Ai provvedimenti qui ricordati bisogna aggiungere la bolla Universa per orbem del 13 settembre 1642, che escludeva la festività dell’8 dicembre da quelle di precetto della Chiesa universale. 70 Sembra cedere alla narrazione immacolista della Monarchia spagnola anche M. Bergonzini, Il culto mariano, cit., pp. 75-82. 71 Il debitum peccati è l’universale necessità, derivante dalla natura umana, di contrarre il peccato originale. Concetto centrale nella soteriologia, i mariologi si sono sempre divisi tra chi nega che la Vergine sia stata interessata da qualsivoglia debitum e chi invece, accettando l’applicazione del principio anche alla madre di Cristo, sostengono un suo debitum proximum (la Vergine avrebbe potuto contrarre il peccato originale ma Dio ha sospeso nel suo caso l’applicazione della legge) oppure un suo debitum remotum (Maria avrebbe potuto essere inclusa nei disegni peccaminosi di Adamo ma Dio l’ha esentata da questi disegni e quindi dalla contrazione del peccato originale). Cf r. J.P. Carol, A History of the Controversy Over the ‘debitum Peccati’, St Bonaventure (NY), Franciscan Institute, 1978. 284 PAOLO BROGGIO Nel 1644 Innocenzo X ricevette una eredità non facile. Per la Monarchia spagnola papa Pamphili avrebbe dovuto essere il pontefice del riscatto dopo la parentesi sfavorevole del pontificato barberiniano, ma egli si mosse con molta circospezione, oggettivamente troppa rispetto alle aspettative della Monarchia spagnola. Papa Pamphili si dimostrò talmente irresoluto che non riuscì nemmeno a far revocare ufficialmente il contestato decreto del 1644. Convocò addirittura una commissione per cercare di capire se sarebbe stato più conveniente revocare il decreto, oppure semplicemente evitare di applicarlo. La commissione suggerì che sarebbe stato meglio revocarlo, ma al dunque Innocenzo X non se la sentì di pubblicare il decreto di revoca, soprattutto per paura di intaccare il prestigio del Sant’Uffizio e dell’ordine domenicano.72 La situazione rimaneva piuttosto confusa, a riprova di una sostanziale mancanza di omogeneità sul territorio della penisola nel campo della interpretazione e dell’osservanza dei decreti inquisitoriali. L’impressione che si ricava è che la Congregazione ebbe scarsissime possibilità concrete di far osservare capillarmente il divieto, più volte ribadito, di stampare libri o difendere conclusioni teologiche che contenessero l’espressione ‘Immacolata Concezione della Vergine’. Giungevano episodicamente, questo sì, denunce di scritti immacolisti troppo arditi 73 e richieste di licenza di stampa di opere di vario genere contenenti formule che utilizzavano quel titolo. Nel febbraio del 1649, ad esempio, si chiedeva ai cardinali di concedere la stampa di un compendio della vita di un frate cappuccino nel quale era scritto che gli angeli cantavano «con detto Padre a gloria della Vergine Santissima Tu concepta es sine peccato originali», adducendo come giustificazione il fatto che «non si 72 «Il Papa pregato à sospenderla per le ragioni ponderate da’ primi, i quali fortemente esaggeravano i pericoli di molti disturbi, e persuadevano esser miglior consiglio il negar l’eseguzion del decreto, che annullarlo con un’atto positivo, e strepitoso; si rattenne, e giudicò di sospenderlo, e dar tempo, che rattiepidito il fervore, cui mostravano i contrarii nella tenacità del loro giudizio, fossero più disposti a ricevere con la prontezza dovuta l’ordine del Vicario di Cristo», T. Strozzi, Controversia della Concezione, cit., p. 579. 73 Il 29 settembre 1649 Ludovico Bona, domenicano e inquisitore di Bergamo, denunciò alla Congregazione l’opera di Ferdinando Quirino de Salazar in quanto fonte da cui stavano attingendo alcuni predicatori che avevano avuto l’ardire di affermare che «chi non tiene che la Beatissima Vergine sia stata concetta senza colpa originale non può salvarsi», un fatto gravissimo nella misura in cui – sottolinea Bona, «i Dottori della Chiesa, et altri Santissimi e dottissimi Padri non fossero salvi, ma dannati, tra gli altri S. Agostino, Girolamo, Ambrogio, Gregorio, Thomaso d’Aquino, Bonaventura, Bernardo et infiniti. Che la canonizatione de Santi non fusse certa. Che il sommo pontefice potesse errare in materia simile, e molte altre necessarie à dedursi da simile falso principio, benissimo note alla sua prudenza», ACDF, S.O. St. St. M6B, f. 303. L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 285 debbe tener per inconveniente, che cantino gl’Angioli, quel che celebra Chiesa Santa, et hormai si vedono pieni tanti libri stampati di visioni, Revelationi, Miracoli, Autorità di Santi etiam di S. Thomasso d’Aquino, e del Patriarca S. Domenico di questa materia».74 Nel 1652, invece, giunse il ragguaglio di un evento miracoloso per virtù dell’Immacolata Concezione accaduto ad una monaca cappuccina del monastero di Monte Cavallo a Roma,75 a riprova del fatto che i miracoli, le apparizioni, le pratiche di culto, la devozione popolare premevano costantemente sulle discussioni dottrinali. Di fatto, l’espressione continuava ad essere utilizzata, come ebbe a scrivere l’anonimo redattore di un memoriale indirizzato ad Innocenzo X circa la possibilità di permettere agli scrittori l’uso di quel titolo: «senza veruno impedimento dall’anno 1627 sin’all’anno 1648 più di 100 Autori particolari [...] hanno dato in luce anco in Roma, opere, nelle quali danno il titolo d’Immacolata alla Concettione», e persino Urbano VIII, «tanto ritroso, e circospetto in questa materia», il 21 novembre 1641 aveva permesso ai religiosi francescani, nonostante le proibizioni, di utilizzare quel titolo per l’Ufficio dell’Immacolata, dal momento che «non perché si conceda ad alcuna Religione particolare il recitare il sudetto officio col titolo d’Immacolata, si distrugge la primiera intentione della Chiesa, che nell’universale non si possa tenere l’una, e l’altra opinione».76 Bisognava velocemente uscire dall’impasse, anche perché l’improvviso irrigidimento, in contraddizione con tutta una serie di usi precedenti, non giovava all’immagine non solo del Sant’Uffizio e del Maestro del Sacro Palazzo, ma della Chiesa tutta. Il Cardinal Spada arrivò, nell’ottobre 1652, a scrivere a Innocenzo X per suggerirgli di far arrivare alle orecchie del Maestro del Sacro Palazzo, senza ufficialità alcuna («a quattr’occhi»), che nella concessione degli imprimatur avrebbe dovuto lasciar correre, «come faceva inanzi al Decreto del 1644», magari avendo cura di aggiungere, nel testo dell’approvazione, una «preservativa della probabilità per l’una e l’altra opinione».77 Ma fu solo con Alessandro VII Chigi, fresco di elezione, che si arrivò all’ordine perentorio non solo di divulgare opere apertamente immacoliste, ma anche di incaricare il gesuita spagnolo Martín de Esparza, professore di teologia al Collegio Romano, di comporre un’opera «che portasse il titolo d’Immacolata à gran caratteri nel74 75 76 77 Ivi, f. 185. Ivi, f. 212. Ivi, ff. 283v-284r. Ivi, f. 288. 286 PAOLO BROGGIO la fronte».78 Un evidente segnale di sfida al Maestro del Sacro Palazzo, in quel momento Raimondo Capizucchi, al quale il pontefice chiese di concedere l’imprimatur ben sapendo che così facendo lo avrebbe messo in difficoltà. E infatti in prima battuta Capizucchi rispose negativamente («se così domandava il Papa – lo Strozzi fa esclamare a Capizucchi –, n’ordinasse di sua suprema autorità l’impressione»), ma Alessandro VII ritenne opportuno imporre la concessione dell’imprimatur al Maestro del Sacro Palazzo, «affinché publicata nell’edizione, s’intendesse, che non solo il Sommo Pontefice, ma tutta la Chiesa riconosceva Immaculata la Concezione di Maria».79 La controversia sull’Immacolata durava da secoli; era preesistente sia alle polemiche innescate dalla pubblicazione dell’Augustinus, sia alla rottura protestante. Aveva però conosciuto una notevole amplificazione a partire dal pontificato di Paolo V Borghese a causa dell’entrata in campo della Monarchia spagnola, chiamata a governare turbamenti interni provocati dal ritrovamento delle lamine di piombo di Granada e dall’espulsione dei moriscos.80 La maniera in cui la querelle sul giansenismo si intrecciò ai dibattiti sull’Immacolata Concezione della Vergine è questione non ancora pienamente chiarita dalla storiografia. Non bisogna certamente cedere alle troppo semplici, se non semplicistiche, corrispondenze simmetriche. Coltivare simpatie nei confronti degli ambienti agostinisti o giansenisti, o anche solo non esserne ostili, non significa automaticamente sposare posizioni macoliste, come il caso del francescano osservante Luke Wadding dimostra emblematicamente: fu uno dei più convinti sostenitori della necessità della definizione dogmatica dell’Immacolata, ma una volta chiamato a far parte della commissione incaricata di valutare le cinque proposizioni di Giansenio si espresse per una non condanna, fatto che gli costò il risentimento dell’Albizzi e 78 M. de Esparza, Immaculata Conceptio beatae Mariae virginis deducta ex origine peccati originalis, Romae, typis Corbelletti, 1655. 79 T. Strozzi, Controversia della Concezione, cit., p. 579. 80 Nella sua ricostruzione della controversia Francesco Albizzi scrive chiaramente che i provvedimenti di Pio V avevano in pratica posto fine alle polemiche in Italia, e che se in Spagna il fronte si era riaperto ciò era dipeso dal ritrovamento di «alcune lamine di piombo, nelle quali scolpiti con caratteri Arabici, per quello, che se ne raccolse dalle traduzioni Spagnuole, e latine si leggevano de principali misteri di nostra fede; in una di esse, che portava il titolo de Dono Gloriae, et inferni, si contenevano parole chiaramente dimostranti esser stata la Vergine dal primo istante della sua Concezione preservata dal peccato originale», Biblioteca Casanatense, Ms. 2120, f. 295. Cfr. M.A. Visceglia, Roma papale e Spagna. Diplomatici, nobili e religiosi tra due corti, Roma, Bulzoni, 2010, pp. 252 ss., laddove l’autrice insiste sul legame tra i moti immacolisti andalusi, il ritrovamento delle lamine e la cacciata dei moriscos. L’IMMACOLATA CONCEZIONE E L’INQUISIZIONE ROMANA 287 l’isolamento in Curia negli ultimi anni della sua vita.81 Stesso dicasi per Vincenzo Candido, macolista, benevolo nei confronti del giansenismo, ma «autore di opere di casistica fondate sul probabilismo» e «ben noto per le sue tendenze al benignismo quasi lassista».82 Ciò che probabilmente accadde a partire dagli anni Quaranta del XVII secolo fu una sorta di chiamata alle armi da parte di tutti coloro che a vario titolo avevano interesse a difendere un certo modo, che definirei ‘conservatore’, di intendere e di interpretare la dottrina di Agostino e di Tommaso in tema di grazia. Se nei teologi scotisti tale saldatura poté risultare più sfumata, e se nel campo della casistica gli echi furono più rarefatti, nei sostenitori del tomismo rigido, ossia in una grossa fetta dei teologi dell’ordine dei predicatori, ciò appare più che evidente. L’antigesuitismo può essere una buona chiave di lettura per comprendere queste dinamiche del Seicento centrale in quanto agente agglutinante delle diversissime posizioni in ambito dottrinale espresse dagli ordini religiosi e dai diversi esponenti ecclesiastici dell’epoca. L’azione di un Albizzi, che fu improntata ad una almeno apparente neutralità,83 si svolse comunque in un ambiente romano e curiale in cui il culto per i padri della Chiesa, il favore per la teologia positiva rispetto a quella speculativa,84 l’agosti81 Cfr. T. O’Connor, Irish Jansenists 1600-70. Religion and Politics in Flanders, France, Ireland and Rome, Dublin, Four Courts Press, 2008, passim, che insiste molto sulle aderenze di Wadding e di altri francescani irlandesi con il giansenismo. Su Wadding teologo si veda anche P. Broggio, Un teologo irlandese nella Roma del Seicento: il francescano Luke Wadding, in Teologia e teologi nella Roma dei papi (secoli XVI-XVII), a cura di Id., F. Cantù, «Roma moderna e contemporanea», XVIII, 2010, 1-2, pp. 151-178. Su Wadding diplomatico cfr. i recenti M. Binasco, Luke Wadding and Irish Diplomatic Activity in Seventeenth-Century Rome, «Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies», n. 6, 2016, pp. 193-203; Id., A Powerful ‘Hibernese’: Luke Wadding and His Diplomatic Role in Seventeenth-Century Rome, «Revue d’Histoire Ecclésiastique», vol. 112, 1-2, 2017, pp. 169-184. 82 P. Stella, Il giansenismo in Italia, cit., p. 9. 83 Nel suo racconto della controversia datato 1641 Albizzi imputa il conflitto che stava agitando la Chiesa alla scelta di Duns Scoto di sostenere senza ombra di dubbio una dottrina che fino a quel momento era rimasta circoscritta ad ambiti limitati («Cominciò dunque circa gli anni di Nostra salute mille cento cinquanta l’opinione, che Maria non fosse caduta nel peccato originale; ella però restava fra le domestiche mura, ne s’introduceva ò nelle scuole, e nelle Chiese»), scelta subito avversata dai domenicani, sulla base dell’autorità «di S. Tomaso d’Aquino mirabilmente approvata da Gio. XXII poco amico de francescani, i quali seguivano le parti di Ludovico il Bavaro, da Giovanni scommunicato». Ma – continua il cardinale – «la pietà, e la Devozione universale approvò l’opinione de Francescani, e quella accettata con molto applauso dall’Università di Parigi, fù poscia decretata, et istabilita per vera nel Concilio di Basilea». Biblioteca Casanatense, Ms. 2120, ff. 292v-293r. 84 B. Neveu, Erudition et religion aux XVIIe et XVIIIe siècles, Paris, Albin Michel, 1994, p. 19; J.-L. Quantin, Le catholicisme classique et les Pères de l’Église. Un retour aux sources (16691713), Paris, Institut d’Etudes Augustiniennes, 1999. 288 PAOLO BROGGIO nismo e l’antimolinismo trovavano largo favore. È probabilmente qui che bisogna ricercare le ragioni della prudenza estrema, sia in ambito teologico che in quello devozionale, con la quale l’Inquisizione trattò la questione dell’Immacolata tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta del Seicento, al di là delle inevitabili conseguenze di un lungo pontificato considerato apertamente antispagnolo. Un provvedimento papale favorevole all’immacolismo non avrebbe probabilmente trovato grande sostegno in un ambiente religioso non così avverso all’agostinismo e tutto sommato estraneo ad un devozionalismo mariano percepito come ispano-gesuitico. Paolo Broggio Abstract – In the mid-forties of the seventeenth century, a simple rescript of the Roman Inquisition dated January 1644 became a real political case. Prohibiting the use of the formula “Immaculate Conception of the Virgin” and imposing the more neutral “Conception of the Immaculate Virgin”, the provision did nothing but reiterate decisions already made by the Congregation on at least two other recent occasions (1627 and 1638) and therefore did confirm a policy of prudence and equidistance between doctrinal positions for centuries in contrast (macolism and immaculism) strongly desired by Urban VIII Barberini. But the death of the Pope and the ascent to the papal throne of Innocent X Pamphili authorized the Immaculist f ront and, above all, the Spanish monarchy of Philip IV of Habsburg to rekindle the clash in order to ask Rome for the suppression of the decree and, also, a favourable pronouncement to the doctrine of the Immaculate Conception. The essay aims to investigate the circumstances of production of the rescript, the probable causes of its diffusion outside the inquisitorial environments, the not obvious connections between this phase of the clash on the Immaculate Conception and the rising Jansenist quarrel, as well as the frequent communication difficulties between the Roman Congregation and the peripheral inquisitorial courts, constantly under pressure due to popular devotion and the initiatives of the religious orders. FINITO DI STAMPARE PER CONTO DI LEO S. OLSCHKI EDITORE PRESSO ABC TIPOGRAFIA • CALENZANO (FI) NEL MESE DI AGOSTO 2020 Direttore Responsabile: Mario Rosa - Registrazione del Tribunale di Firenze n. 1705 dell’8 luglio 1965 Iscrizione al ROC n. 6248 Dattiloscritti di Articoli, Note, Recensioni, Cronache, ecc., come pure opere da recensire vanno indirizzati a: Redazione della «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa» Via Giulia di Barolo, 3, int. 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