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Quaderni di Scienza & Politica n. 11 ˜ 2020 Logistica delle migrazioni A cura di Christian G. De Vito e Martino Sacchi Landriani Quaderno n° 11 Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 3 QUADERNI DI SCIENZA & POLITICA Collana diretta da Pierangelo Schiera Coordinamento redazionale: Roberta Ferrari Editore: Dipartimento delle Arti visive perfomative e mediali Università di Bologna ISSN della collana: 2465-0277 ISBN: 9788854970359 Comitato Scientifico Nazionale Stefano Visentin (Università di Urbino), Fabio Raimondi (Università di Salerno), Paola Persano (Università di Macerata), Giovanni Ruocco (Università La Sapienza), Mario Piccinini (Università di Padova), Antonino Scalone (Università di Padova), Tiziano Bonazzi (Università di Bologna), Maurizio Merlo (Università di Padova), Ferdinando Fasce (Università di Genova), Sandro Chignola (Università di Padova). Comitato Scientifico Internazionale Daniel Barbu (University of Bucharest), Gerhard Dilcher (Johann Wolfgang GoetheUniversität Frankfurt am Main), Brett Neilson (University of Western Sidney), Maura Brighenti (Università di Bologna), Carlos Petit (Universidad de Huelva), Ranabir Samaddar (Mahanirban Calcutta Research Group), George L. Stoica (University of Bucharest), Michael Stolleis (Johann Wolfgang Goethe-Universität Frankfurt am Main), José M. Portillo Valdés (Universidad del País Vasco/Euskal Herriko Unibertsitatea), Marco Antonio Moreno Perez (Universidad Central de Chile), Judith Revel (Université Paris Ouest Nanterre La Défense), Paolo Napoli (École des Hautes Études en Sciences Sociales – Paris), Eric Michaud (École des Hautes Études en Sciences Sociales – Paris), Jorge Olvera Garcia (Universidad Autonoma del Estado de Mexico). ISBN: 9788854970359 Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 5 INDICE Introduzione Christian G. De Vito e Martino Sacchi Landriani Logistica delle migrazioni. Elaborazione concettuale e prospettive storiche 11 Sezione 1. Sincronizzazione Martino Sacchi Landriani Logistica come sincronizzazione. Circolazione del credito e migrazione del lavoro nella piantagione antillese post-schiavista 33 Emiliano Beri Logistica di un traffico di uomini. Il commercio di disertori nelle guerre di Corsica (1729-1768) 51 Gabriele Marcon Duchi, mercanti, passaporti e minatori. La logistica delle migrazioni di mestiere nell’Europa del Cinquecento 75 Sezione 2. Spazi Niccoló Cuppini e Mattia Frapporti Spunti genealogici sull’urbanizzazione planetaria. L’implosione/ esplosione della Londra del XIX secolo 95 Giampaolo Salice Una “logistica” della colonizzazione interna nell’Europa d’età moderna? 115 Irene Peano Conflitti e sinergie della logistica: enclavi agro-industriali, migrazioni e ZES 135 Marco Caligari Logistica e migrazioni. Dalle banchine dei terminal container di Genova ai magazzini della pianura padana 155 Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 7 Sezione 3. Vettori Giorgio Tosco Reclutare la persona giusta. L’importazione di “capitale umano” in alcuni episodi di politica commerciale genovese e toscana del Seicento 177 Justine Walden Slave Labor in Granducal Tuscany and the Dynamics of Migration in the Early Modern Mediterranean 193 Evelina Gambino Logistica in (s)composizione. Spazio-tempo, espropriazione e infrastrutture nel Caucaso Meridionale 217 Postfazione Maurizio Ricciardi Logistica delle migrazioni, costituzione della società e semantiche di classe Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 8 239 Il Quaderno n° 11 La logistica si è recentemente imposta come una prospettiva privilegiata per la comprensione del mondo contemporaneo a partire dall’interazione tra mobilità multiple – di persone, merci, capitali, informazioni. Tuttavia, questa prospettiva rischia di risolvere nel presente dinamiche che sono ricorse storicamente in modalità diverse, non lineari e reversibili. I contributi di questo volume si pongono l’obiettivo di mettere in evidenza le specificità storiche e geografiche dei processi logistici. Essi contribuiscono alla definizione di una “logistica delle migrazioni” a partire da casi di studio specifici, proponendo al tempo stesso alcuni elementi utili a problematizzare continuità e rotture storiche all’interno di un confronto tra scienze storiche e scienze politico-sociali. PAROLE CHIAVE: Logistica; Migrazioni; Lavoro; Coercizione; Mobilità. Logistics has been recently considered a privileged perspective from which to understand contemporary world, with a specific focus on the interactions among multiple mobilities – of people, commodities, capitals, informations. However, the inherent risk of this perspective is that of reducing to the present a set of dynamics which recurred throughout history in various not linear and reversible ways. The essays in this volume seek to highlight the historical and geographical specificities of the logistic processes. They contribute to define the “logistics of migrations” through the analysis on specific case studies and offer useful elements to address historical continuities and ruptures, within an interdisciplinary debate between historical and social and political sciences. KEYWORDS: Logistics; Migrations; Labor; Coercion; Mobility. I curatori Christian G. De Vito è ricercatore presso il Bonn Centre for Dependency and Slavery Studies (BCDSS) dell’Università di Bonn. Si interessa di storia sociale del lavoro, della pena e degli imperi dell’epoca moderna e contemporanea. Martino Sacchi Landriani ha ottenuto il dottorato in Storia del pensiero politico presso l’Università di Bologna in cotutela con l’Université Paris1 Panthéon-Sorbonne ed è postdoc presso l’Université Paris Nanterre per l’anno accademico 2019-2020. Si interessa di mobilità del lavoro, cittadinanza e tecnologie di identificazione lungo il XIX secolo francese intersecando spazi coloniali e metropolitani. Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 9 Una “logistica” della colonizzazione interna nell’Europa d’età Moderna? Giampaolo Salice 1. Introduzione Nella definizione che ne dà la Encyclopédie, la colonia è le transport d’un peuple, ou d’une partie d’un peuple, d’un pays à un autre1. Secondo l’autore della voce, sei sarebbero le tipologie di colonia stabilite nel corso della storia. L’ultima in ordine di tempo è quella impiantata dagli europei in America. Ancora oggi, dopo quasi tre secoli, raramente il termine viene riferito agli insediamenti fondati dentro lo spazio europeo d’Antico Regime con finalità analoghe a quelle identificate dalla Encyclopédie: promuovere l’incremento demografico, aumentare le produzioni agricole, sviluppare i commerci e le manifatture, a vantaggio esclusivo della “madrepatria”. Eppure è la documentazione archivistica a definire coloni coloro che furono protagonisti di quelle fondazioni interne. La colonizzazione interna dell’Europa fu un fenomeno quantitativamente rilevante, che investì in prevalenza i margini degli Stati in formazione nell’intento di perfezionarne controllo e sfruttamento. Le frontiere erano sotto molti aspetti considerate alla stregua di una terra straniera, in grado di incutere in chi le possedeva un senso di spaesamento e di precarietà. Erano inoltre spazi contesi, cioè minacciati, da dentro e dall’esterno. Nelle élite moderne matura progressivamente la necessità di addomesticare questi ambienti di confine, riscattandoli dalla condizione di arretratezza materiale e morale, dal disordine idraulico, dallo spopolamento, dalla decadenza dell’agricoltura, da dominio del pastore, della malaria, dall’assenza di infrastrutture, di commerci e di manifatture. Simile riscatto era concepito come primo passo verso l’integrazione di questi spazi nel sistema economico e militare del Principe, cioè del loro assoggettamento alle logiche di potenza della Res Publica. Per un mondo imbevuto dei discorsi sulla città ideale, che dunque vedeva nella F.V. DE FOR(T)BONNAIS, Colonie, in Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, 3/1753, pp. 648–651a. 1 Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 115 proporzione, nella simmetria, nell’ordine, nel decoro e nell’igiene urbani gli strumenti di una nuova pedagogia civile, la trasformazione della frontiera corrispondeva inoltre alla moralizzazione sociale dei suoi abitanti. Era insomma un atto di civiltà. Questa è la visione. Nel concreto la colonizzazione interna dell’Europa moderna fu storia fitta di contraddizioni e costellata di progetti mai eseguiti o abortiti. Tuttavia, sia quelli rimasti su carta, sia quelli coronati da successo ci aiutano a ricostruire il modus operandi attraverso il quale si cercò di impiantare l’ideale in terra. Ci aiutano a leggere una storia che dal Cinquecento corre fino al Novecento e che lasciò testimonianze dalla Spagna alla Russia, dal Baltico al Mediterraneo. È la storia di un modo non solo di impegnare lo Stato, le sue energie, i suoi capitali umani e finanziari, ma soprattutto del farsi dello Stato attraverso la riscrittura delle frontiere e la loro progressiva integrazione con i mari e le sponde mediterranee, baltiche e atlantiche. Per il potere pubblico sovrano che si definisce e si rinegozia alla frontiera, che cioè si territorializza, il governo delle migrazioni è una necessità, perché è soprattutto ai migranti (di breve o di lungo raggio) che si chiede di insediarsi sulle terre a confine, di trasformarle e di renderle produttive. Questo disegno di domesticazione della frontiera si realizza anche provando a piegare la resistenza di chi già la abita e si completa cercando di aprire questo stesso spazio ad una circolazione di merci e persone strettamente controllata dal Principe. È possibile osservare un simile processo dalla prospettiva offerta dai logistic stu- dies? È possibile considerare l’azione di ricollocamento di popolazione all’interno dello spazio europeo come momento di costruzione di quel complesso di attività e organizzazioni, tangibili e intangibili, che movimenta merci e persone 2 dando vita ad un sistema di relazioni capace di vivere in se stesso? Di quel sistema che oggi viene definito logistico3? Alcuni studiosi individuano nelle catene di approvvigionamento schiavile che dal 2 D. WATERS (ed), Global Logistics: New Directions in Supply Chain Management, London-Philadelphia, Kogan Page Ltd, 2007, p. 2. 3 D. COWEN, The Deadly Life of Logistics: Mapping Violence in Global Trade , Minneapolis, Minnesota University Press, 2015, p. 3. Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 116 XVII secolo attraversano gli spazi atlantici la prima manifestazione di un sistema logistico4. Quelle catene, nate per garantire una più agevole movimentazione di materie prime e capitale umano da un continente all’altro, sarebbero all’origine della rispazializzazione delle aree attraversate dai flussi di beni e persone, cioè della creazione di uno spazio aperto, pienamente accessibile e dunque molto più funzionale all’efficientamento di estrazione e ricollocazione di materie prime e/o forza-lavoro schiavile. Sistemi analoghi prendono forma dentro gli spazi imperiali coloniali o anche dentro il Vecchio Continente con la territorializzazione degli Stati? La mobilizzazione e lo stanziamento di migranti/coloni sulle terre a confine in Europa danno vita anch’essi a sistemi di tipo logistico oppure no? Questo saggio prova a dare risposta a questi interrogativi alla luce di una prima ricomposizione di un quadro – quello sull’utilizzo dei migranti per il popolamento interno dell’Europa – che attende di essere indagato nella sua portata complessiva. 2. Le matrici di un modello Nell’Europa d’Antico regime si fondano nuovi insediamenti preferibilmente con braccia forestiere. In un tempo nel quale la “patria” è il villaggio o la città di origine, forestiero è chi nasce e vive da qualche altra parte, anche se è suddito dello stesso re. Per attrarre questi forestieri, si offre loro terra e incentivi fiscali. Sono soprattutto i baroni a farlo, perché hanno bisogno di ampliare la platea di chi coltiva, paga tributi e combatte per loro. Gli incentivi sono tali che in tanti lasciano le terre di realengo per quelle infeudate. In Sardegna il fenomeno è così accentuato che la Corona è costretta a limitare la libertà di movimento dei sudditi. Ma i feudatari difendono lo jus mi- grandi garantito dalle leggi del regno. Si accende così un dibattito che assume un rilievo notevole nelle negoziazioni parlamentari del XVI e del XVII secolo 5. La libertà 4 N. CUPPINI – M. FRAPPORTI, Logistics Genealogies, «Social Text», 36, 3/2018, p. 96. Secondo altri studiosi la logistica moderna sarebbe invece l’esito della rivoluzione petrolifera maturata a partire dalla Seconda guerra mondiale. Cfr. D. COWEN, The Deadly Life of Logistics. 5 G. SALICE, Il Regno di Sardegna e il suo Parlamento nel 1583, Perugia, Morlacchi, 2019. Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 117 di migrare è decisiva per un mondo rurale ancora soggetto a forme residuali di servaggio ed è cruciale per il ripopolamento delle campagne desertificate dalle crisi epidemiche del Trecento. Anche in Sicilia, tra XV e XVII secolo, i popolamenti signorili ridisegnano gli assetti insediativi del regno, aumentando e specializzando la produttività delle campagne6. I baroni siciliani sfruttano non solo i naturali del regno, ma anche le centinaia di greco-albanesi che dal XV secolo passano l’Adriatico7. È una migrazione che si svolge per ondate successive e investe anche il regno di Napoli 8, con analoghe ricadute. Nei regni menzionati la colonizzazione è disciplinata da contratti tra liberi, stipulati generalmente al cospetto di un notaio o di un ufficiale regio. Sono accordi analoghi a quelli voluti da Filippo II per ripopolare con famiglie castigliane la città di Granada, desolata dall’espulsione dei moriscos del 15709. Tuttavia, né i sovrani, né i loro cavalieri allestiscono piani di mobilizzazione dei coloni, ai quali è lasciato l’onere di gestire e finanziare la propria migrazione. È indubbiamente il diffondersi della concezione boteriana della politica quale arte di conservazione ed espansione del dominio del principe su un popolo a determinare la tensione verso la territorializzazione della sovranità. Una tensione che è insieme effetto e causa della riflessione umanistico-rinascimentale sulla città ideale e di quell’utopismo politico che attribuisce ad architettura e urbanistica una funzione pedagogica e moralizzatrice, in triangolazione competitiva con le persistenze del passato medievale e le resistenze di chi invece si oppone alla spazializzazione desiderata dal principe. Anche se va riconosciuto agli arbitristi spagnoli prima e ai mercantilisti europei poi di aver saputo premere sui principi per spingerli ad intraprendere politiche M. AYMARD – H. BRESC, Problemi di storia dell'insediamento nella Sicilia medievale e moderna, 11001800, «Quaderni Storici», 24/1973, pp. 945-976; M. VERGA, La “Sicilia dei feudi” o “Sicilia dei grani” dalle Wüstungen alla colonizzazione interna, «Società e storia», 3/1978, pp. 563–579; F. BENIGNO, Vecchio e nuovo nella Sicilia del Seicento: il ruolo della colonizzazione feudale, «Studi storici», 1/1986, pp. 93-107. 7 P. MILITELLO, I Græcorum casalia in Sicilia (XV-XVI secolo), in G. SALICE (ed), La terra ai forestieri, Pisa, 6 Pacini, 2019, pp. 61–80. A. VACCARO, I Greco-Albanesi d’Italia. Regime canonico e consuetudini liturgiche (secoli XIV-XVI), Lecce, Argo, 2007; E.C. COLOMBO, «Il Cristo degli altri». Economie della rivendicazione nella Calabria greca di età moderna, Palermo, Palermo University Press, 2018. 9 J.A. SÁNCHEZ BELÉN, La política repobladora del reinado de Carlos II, «Espacio Tiempo y Forma. Serie IV, Historia Moderna», 3/1990, pp. 213-223. 8 Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 118 popolazioniste più strutturate, sembra eccessivo vedere nel riassetto delle reti insediative promosso dai sovrani della prima età moderna il frutto di una cornice teorica organicamente definita. Gli interventi delle corti principesche sul punto sembrano piuttosto il frutto di sperimentalismi imitativi che, anche per questo, non hanno respiro sufficiente a generare una vera e propria logistica, cioè un sistema di mobilizzazione di risorse che esiste in se stesso10. Anche perché, nel contesto sostanzialmente mercantilistico di cui si discute, nemmeno il mercato è ambito esterno allo Stato e autonomo dalla politica. Lo stesso flusso di merci e persone generato dalle colonizzazioni interne è destinato a dare sostanza a un sistema produttivo e di mercato concepito per servire la causa del sovrano, restando dunque subordinato alle sue logiche, alle sue dogane, ai suoi controlli sanitari. La (ri)fondazione delle città portuali costituisce uno degli esiti più evidenti delle azioni che derivano da questa impostazione. I porti sono snodi cruciali per l’aumento delle esportazioni e del commercio e per il dispiegarsi di un sistema informativo che aggiorni puntualmente il sovrano su questioni di rilevanza commerciale, diplomaticomilitare e sanitaria. Le città portuali diventano presto anche centri di negoziazione e di gestione delle immigrazioni, specie da quando le cancellerie iniziano a pianificare l’integrazione di queste ultime nei rispettivi progetti di colonizzazione interna. Il sistema si perfeziona col porto franco, progettato appositamente per attrarre forestieri11. I porti franchi accolgono soprattutto mercanti, ma presto vengono utilizzati come porta d’ingresso anche per migranti destinati alla bonifica e al popolamento degli entroterra improduttivi. Così, tra Cinquecento e Settecento, vediamo Genova, Livorno, Venezia, Napoli, Odessa, Sebastopoli, Mahón assumere il ruolo di snodi logistici per immigrazioni dirette anche alle campagne. Ai suoi esordi questo modus ope- randi ha un carattere sperimentale quando non improvvisato. Banco di prova importante è la gestione delle centinaia di migliaia di moriscos espulsi all’inizio del Seicento D. COWEN, The Deadly Life of Logistics, p. 3. TRAMPUS, Città-porto, porti franchi e governo delle città. Introduction to FRAME Project: Free ports (1593-1861): Analyzing Modernity as Institutional, Political, Social and Cultural Exchange, in A. TRAMPUS (ed),Venezia dopo Venezia. Città-porto, reti commerciali e circolazione delle notizie nel bacino portuale veneziano tra Settecento e Novecento, Trieste, Veneto Region-Mosetti, 2019, pp. 11–26. 10 11 A. Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 119 dagli Asburgo di Spagna. Bruno Pomara ha disvelato questa storia ancora poco conosciuta, mettendo in luce, tra le altre cose, l’energia con la quale diversi principi italiani del primo Seicento (dai Savoia ai Gonzaga ai Medici) provano a intercettare il flusso migratorio per indirizzarlo verso le frontiere spopolate dei rispettivi Stati 12. Da Livorno, il granduca vorrebbe trasportare i rifugiati in Maremma13. Il progetto di colonizzazione non è nuovo. È stato già tentato senza successo nel Cinquecento con esuli chimarotti14. Verrà seguito da quello messo in campo negli anni sessanta del Seicento, col reclutamento di circa millecinquecento greci arrivati dalla penisola di Mani15. Il piano è analogo per obiettivi ai precedenti, ma più strutturato. Il principe organizza una vera e propria spedizione con la quale va a prendersi i migranti direttamente in Grecia. I suoi emissari vi si recano in segreto, sulla base di un piano negoziato a Livorno con i delegati maniotti. Una volta sbarcati a Mani, i messi del sovrano stipulano specifici accordi che regolano trasferimento e stanziamento dei coloni in Toscana16. Il principe offre la copertura delle spese di viaggio, l’esenzione da ogni pedaggio, il sostegno economico necessario all’avvio di una nuova vita, prestiti a tasso agevolato, un’esenzione fiscale e militare per un certo numero di anni, la terra sulla quale fabbricare casa e avviare un’azienda agricola17. La firma degli accordi attiva l’intera struttura di governo del principato. Dal vertice gli ordini esecutivi giungono fino all’ufficiale di grado più basso. Un’organizzazione notevole che però non basta a scongiurare il fallimento della colonizzazione. Dopo qualche anno, i maniotti abbandonano le terre paludose che gli sono state assegnate. La sensazione è che l’esito negativo sia dovuto principalmente alla scelta del principe di distribuire i coloni su centri diversi, lontani tra loro, già parzialmente spopolati, ma ancora abitati da famiglie indigene. B. POMARA SAVERINO, Rifugiati. I moriscos e l’Italia, Firenze, Firenze University Press, 2017. C. SANTUS, Moreschi in Toscana. Progetti e tentativi di insediamento tra Livorno e la Maremma (16101614), «Quaderni Storici», 3/2013, pp. 745-778. 14 G. SALICE, Diaspore greche e colonizzazione interna nella Toscana granducale (secoli XVI-XVII), in G. SALICE (ed), La terra ai forestieri, Pisa, Pacini, 2019, pp. 101-127. 12 13 Ibidem. Ibidem. 17 Ibidem. 15 16 Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 120 In quegli stessi anni, la Repubblica di Genova non commette lo stesso errore. Dopo avere osservato da vicino il tentativo granducale, stanzia circa settecento greco-maniotti sulla costa occidentale della Corsica, a circa cinquanta chilometri a nord di Ajaccio, dando vita al villaggio di Paomia18. Insieme ai coloni, la Superba importa dalla Toscana l’intero progetto di colonizzazione: mette a disposizione le navi e si fa carico dei costi di trasporto, gestisce quotizzazione e distribuzione della terra ai coloni, offre sostegno materiale negli anni di avvio della colonia e garantisce diversi anni di franchigia fiscale. Accoglie persino lo stesso visitatore apostolico inviato dalla Congregazione di Propaganda Fide in Toscana per monitorare la condotta dei greci in campo spirituale19. È il segno di come i modelli di intervento circolassero da un Paese all’altro, adattandosi ai diversi contesti. La propensione alla migrazione degli uomini e delle famiglie del Peloponneso e dei Balcani non attrae solo Firenze e Genova. Tra 1560 e 1618, la Repubblica di Venezia definisce norme e procedimenti per la colonizzazione dell’Istria. La Serenissima vi stanzia immigrati slavoni giunti dalla Dalmazia ottomana, ma anche greco-ciprioti, veneti e bolognesi. Oltre 10.000 coloni ricevono terre che Venezia sottrae alle comunità esistenti attraverso un’inedita intrusione negli equilibri di potere locale e di gestione delle risorse territoriali20. Il popolamento ha un prevalente significato militare. L’Istria è infatti terra al confine tra la città di San Marco e la monarchia degli Asburgo d’Austria. Quest’ultima dal Cinquecento va insediando genti nell’immensa frontiera militare che dall’Adriatico correva fino ai Carpazi, attraverso Croazia, Slavonia e Banato. I coloni vi vengono attratti dai privilegi concessi dagli imperatori. Man mano che si popola di immigrati, questa sterminata cintura territoriale di protezione si struttura amministrativamente. I primi distretti vengono costituiti e dotati di privilegi tra il 1538 e il 1564. Nel 1597 prende forma la regione di confine nota come Banatian21. N. NICHOLAS, A history of the Greek colony of Corsica, «Journal of the Hellenic Diaspora», 31, 1/2005, pp. 33-78. 19 G. SALICE, Diaspore greche e colonizzazione interna nella Toscana granducale (secoli XVI-XVII). 20 E. IVETIC, Colonizzazioni nell’Adriatico moderna (1500-1800), in G. SALICE (ed), La terra ai forestieri, pp. 129-136. 21 N. BOC, A Successful Habsburg Experiment. The Militarization of the Border between Austria and Turkey, «Annals of the Academy of Romanian Scientists», 7, 2/2015, pp. 8-9. 18 Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 121 Tra 1609 e 1695, Vienna promulga sei lettere patenti per invitare le popolazioni cristiane dei Balcani a unirsi alle truppe imperiali. Tra 1690 e 1691, circa centomila rasciani ortodossi passano il Danubio e il Sava e si stanziano nell’Ungheria controllata dagli Asburgo22. È stato sottolineato come proprio la colonizzazione asburgica dell'Ungheria venisse gestita inizialmente sul modello della Reconquista spagnola, dunque col coinvolgimento di coloni esclusivamente cattolici e l’esplicita esclusione delle altre confessioni religiose23. Ma come si vede la realtà si impose presto sull’ideale. La migrazione rasciana avviene all’insegna dei cosiddetti privilegi illirici del 1690, con i quali Leopoldo I d’Asburgo riconosceva ai coloni-soldato la libertà di culto, la facoltà di edificare chiese ed eleggere propri patriarchi come capi civili e religiosi, insieme alla libertà da ogni soggezione feudale24. In cambio, i settlers accettavano di combattere nelle guerre europee sotto le insegne cattoliche degli Asburgo e di bonificare e difendere la terra ricevuta. Il dominio del principe su questi territori al confine è assoluto, perché non ci sono corpi intermedi in grado di limitarne il potere; i coloni sono direttamente soggetti alla sua autorità, anche se garantiti dai privilegi concessi dallo stesso imperatore. È in queste regioni così distanti dal centro che lo Stato riesce a dispiegare più efficacemente la sua forza, sperimentando però soluzioni normative che aprono spazi, ad esempio, di tolleranza religiosa, che cioè introducono elementi limitativi dello stesso potere sovrano. I casi austriaco e veneziano non sono gli unici. L’intero universo adriatico e balcanico è spazio di attraversamento25, stanziamento e mescola tra ortodossi di lingua greca (Hashiots), ebrei mussulmani (Dönme), mussulmani macedoni di lingua greca M. MELICHÁREK, The «Great Migration» of the Serbs (1690) and its rRflections in Modern Historiography, «Serbian Studies Research», 8/2017, pp. 87-102. 23 W. O’REILLY, Divide et impera: Race, Ethnicity and Administration in Early 18th-Century Habsburg Hungary, in G. HÁLFDANARSON (ed), Racial Discrimination and Ethnicity in European History, Pisa, Plus, 22 2001, pp. 77-100. 24 P.J. ADLER, Serbs, Magyars, and Staatsinteresse in Eighteenth Century Austria: A Study in the History of Habsburg Administration, «Austrian History Yearbook», 12, 1/1976, p. 117. 25 Sulla suggestiva complessità del mondo adriatico cfr. E. IVETIC, Storia dell’Adriatico, Bologna, Il Mulino, 2019. Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 122 (Vallacchi), ortodossi di lingua turca (Gagauzes), slavi mussulmani (Torbesh), etc26. Uno spazio nel quale presto si riverseranno altri coloni cristiani, tedeschi soprattutto, sudditi del Sacro Romano Impero, attratti ancora una volta da Vienna, che li insedia accanto alle migliaia di ortodossi che hanno dato sostanza alla sua grande frontiera meridionale. I casi menzionati, pur rappresentando casistiche di intervento diverse per ampiezza e ritmo evolutivo, nascono dalla stessa tendenza del potere pubblico a dare ordine sociopolitico alle frontiere. Si tratta di piani di intervento dal carattere episodico e congiunturale che, anche quando diretti ad affrontare questioni di lunga durata, non danno vita a sistemi stabili di gestione dei flussi migratori da un lato e del loro collocamento dall’altro. Ciò è in certa misura dovuto alla presenza dentro il territorio dello Stato di giurisdizioni diverse e in competizione tra loro, espressione di ceti, ordini, gruppi intermedi di varia natura, che si contendono gli stessi spazi territoriali e li affollano di prerogative, privilegi, privative che rendono impossibile non solo una spazializzazione in senso logistico, ma anche l’esercizio di una sovranità incontrastata. 3. Sviluppi settecenteschi Nel Settecento l’organizzazione delle migrazioni compie un significativo salto di qualità, soprattutto cercando di superare gli sperimentalismi del passato. Le cancellerie producono norme più puntuali, che sono figlie di una visione unitaria delle diverse componenti territoriali dello Stato, il quale sempre più precisamente si identifica col suo stesso corpo territoriale. Vengono istituiti appositi uffici per l’immigrazione, che organizzano i trasporti, predispongono i percorsi, individuano i punti di approdo, gestiscono i flussi. Si interviene a provocare la migrazione, attraverso campagne propagandistiche veicolate da agenti e facilitatori, spesso appartenenti allo stesso mondo dei migranti. La colonizzazione è un tema così cruciale nel Settecento da essere promossa anche con l’uso degli eserciti. La conquista del territorio assume 26 H. VERMEULEN – M. BALDWIN-EDWARDS – R. VAN BOESCHOTEN (eds), Migration in the Southern Bal- kans, Cham, Springer International Publishing, 2015, p. 4. Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 123 così i tratti di un’impresa sempre più gestita dal principe e dalla struttura di governo che intorno a lui prende progressivamente forma. È la dinastia prussiana degli Hohenzollern a dettare la linea. Tra 1700 e 1800 il regno conosce un aumento di popolazione superiore al 132% nella Prussia orientale, del 138% in Pomerania e raddoppia quella della Slesia 27. Nei suoi 46 anni di regno, Federico II promulga otto ordinanze di popolamento e insedia circa trecentocinquantamila forestieri28. La gestione dell’intero processo è affidata a un ufficio immigrazione stabilito a Francoforte e Amburgo 29 che dispensa terra, franchigie fiscali, sementi e bestiame, libertà personale e religiosa, esenzione dal servizio militare, etc. 30 Un’azione di propaganda portata in tutte le terre del Sacro Romano impero e oltre dipinge la frontiera prussiana come una novella terra promessa. Insieme ai coloni e con l’ausilio dell’esercito, l’amministrazione prussiana introduce le innovazioni dell’agricoltura inglese, stimola la maturazione di una manifattura moderna con la liberalizzazione delle associazioni artigiane. La compattezza della burocrazia consente di incidere con medesima intensità in tutti i distretti del regno, sia in quelli centrali e ancora feudali, e dunque dotati di specifici privilegi, sia in quelli periferici e conquistati più di recente e dunque sottomessi completamente al potere regio. Tra questi ultimi la Slesia, regione di grande rilevanza strategica strappata all’Austria. Il sovrano la libera dalle residuali forme di servaggio e vi incentiva la piccola e media proprietà contadina, anche in funzione anti-nobiliare. La rottura di ogni legame con l’Austria è perseguita assegnando la terra esclusivamente a forza-lavoro forestiera, per esplicito ordine sovrano31. Sono quarantamila i coloni che arrivano in Prussia dalla Boemia e dalla Sassonia; oltre sedicimila protestanti cechi progettano di fondare un proprio insediamento a L. GUERCI, L’Europa del Settecento: permanenze e mutamenti, Torino, UTET, 2006, p. 8. W.L. DORN, The Prussian Bureaucracy in the Eighteenth Century, «Political Science Quarterly», 46, 3/1931, p. 404. 29 H. SCOTT, The Emergence of the Eastern Powers, 1756-1775, Cambridge, Cambridge University Press, 2001, p. 85. 30 T. BLANNING, Frederick the Great: King of Prussia, New York, Random House Publishing Group, 2016, p. 446. 31 W.L. DORN, The Prussian Bureaucracy in the Eighteenth Century, p. 417. 27 28 Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 124 Munsterberg; altri vengono stanziati in Brandeburgo, in Pomerania, nella Prussia occidentale, nella Slesia superiore e a Magdeburgo, nelle valli dell’Oder, del Havel, del Warthe e del Netze e attorno al lago Madu (tra Pyritz e Altedamm) e nell'isola Usedom. La Prussia occidentale, terra ex polacca, viene colonizzata con migranti giunti da Danzica e dal Wurttemberg. Nel 1786 un quinto dei sudditi prussiani è composto da coloni. Gli Asburgo, seppure traumatizzati dalla sbalorditiva aggressività prussiana, ne imitano il popolazionismo. La campagna di reclutamento di forestieri, che Giuseppe II avvia per completare i piani di colonizzazione dei predecessori, è apertamente ispirata a quelle di Federico II. Il modello prussiano è studiato anche a San Pietroburgo, la città dal nome tedesco fondata col coinvolgimento di migliaia di forestieri sul limite estremo del nascente impero russo. Questa Amsterdam baltica non solo testimonia la centralità conquistata dalla frontiera nella geografia ideale dei governanti settecenteschi, ma è la prova magnificente della frontiera che diventa essa stessa centro dello Stato e cuore della sua “modernizzazione”. La periferia diventa lo spazio eletto per l’edificazione della città ideale immaginata dal Rinascimento europeo 32. Pietro il Grande, che di quella città fu il padre fondatore, promulgò negli stessi anni anche un manifesto popolazionista (1702). L’obiettivo era attrarre forestieri per popolare una terra immensa, desiderosa di farsi europea. Pietro dà vita a un ideale che resta vivo nell’azione dei suoi successori, specialmente Caterina II, che con due manifesti imperiali (1762 e 1763) nuovamente apre l’impero agli stranieri33. La zarina offre libertà religiosa, trent’anni di esenzione fiscale, dispensa perpetua dal servizio militare, prestiti senza interesse per la costruzione di case e agricoltura e si fa carico dei costi di trasporto da porti tedeschi. I coloni possono avere la terra che desiderano, purché incolta. Viene garantita piena autonomia locale. L’intera operazione viene gestita da un ufficio appositamente creato. A. ETKIND, Internal Colonization: Russia’s Imperial Experience, Cambridge, Polity Press, 2013, pp. 9799. 33 R.P. BARTLETT, Human Capital: The Settlement of Foreigners in Russia 1762-1804, Cambridge, Cambridge University Press, 1979. 32 Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 125 Approdano così in Russia molti ortodossi balcanici, ma anche famiglie mediterranee: greche, liguri, veneziane. Tanti coloni sono tedeschi fuoriusciti dal Sacro Romano Impero, gran parte dei quali si stanziano nel basso Volga 34. Ma la diaspora germanica attraversa l’intero spazio euro-mediterraneo. Tedeschi sono i coloni che sotto gli auspici di Carlo III di Borbone re di Spagna si stanziano in Sierra Morena 35. Il popolazionismo spagnolo genera anche una nuova Tabarca, sull’isolotto prospiciente la città di Alicante (1768)36. Gli esuli tabarchini sono inoltre protagonisti della fondazione di Carloforte e di Calasetta, nelle isole sarde rispettivamente di San Pietro (1734) 37 e Sant’Antioco (1770)38. La lezione prussiana echeggia forte anche al centro del Mediterraneo. Non a caso a Torino si trova copia degli accordi prussiani per lo stanziamento di mercanti greci in Slesia39. Anche i Savoia vogliono popolare la loro più vasta frontiera marittima con forestieri: arrivano in Sardegna greci, maltesi, italiani. A metà Settecento, la procedura amministrativa che realizza questo disegno è definita nei suoi tratti essenziali: i nuovi borghi nasceranno su terre regie, da concedere in feudo a chi si impegna a popolarle con forestieri. Ogni proposta va trasmessa al sovrano. Se Torino approva, il proponente concorda con l’Intendente Generale a Cagliari l’entità del sostegno economico, le franchigie fiscali e l’estensione territoriale che la Corona si impegna a con- F.C. KOCH, The Volga Germans: In Russia and the Americas, from 1763 to the Present, University Park, Penn State University Press, 2010, pp. 6-7. 35 M. AVILÉS FERNÁNDEZ – G. SENA (eds), Carlos III y las Nuevas Poblaciones, 3 Voll., Córdoba, Universidad de Córdoba, 1988; M.A. LOPEZ ARANDIA, “Colonos católicos, alemanes y flamencos”... pero no solo. Extranjeros en las nuevas poblaciones de Sierra Morena (1767-1793), in G. SALICE (eds), La terra ai forestieri, pp. 165-202. 36 M. GHAZALI, La Nueva Tabarca: Ile espagnole fortifiée et peuplée au XVIIIe siècle, «Cahiers de la Méditerranée», 73/2006 (http://cdlm.revues.org/index1753.html). 37 G. VALLEBONA, Carloforte. Storia di una colonizzazione, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1988; G. SALICE, L’invenzione della frontiera. Isole, Stato e colonizzazione nel Mediterraneo del Settecento , «Ammentu. Bollettino Storico, Archivistico e Consolare del Mediterraneo (ABSAC)», 2/2012, pp. 93-113. 38 M. SCHIRRU, La fondazione di Calasetta. Un progetto urbano settecentesco nel Regno di Sardegna , in Il tesoro delle città. Strenna dell’Associazione Storia della città, Roma, Edizioni Kappa, 2013, pp. 277–292; A. ZAPPIA, “Ho trattato con Sua maestà sarda lo stabilimento di essi schiavi”. I tabarchini e l’insediamento di Calasetta sull’Isola di Sant’Antioco (1770), in A. GALLIA – G. SCAGLIONE – L. PINZARRONE (eds), Isole e frontiere nel Mediterraneo moderno e contemporaneo, Palermo, InFieri, 2017. 39 G. SALICE, Colonizzazione sabauda e diaspora greca, Viterbo, Sette Città, 2015, p. 77. 34 Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 126 cedere. Dentro una cornice così definita si negoziano gli accordi con gli aspiranti coloni40. Non potendo modificare il quadro istituzionale vigente nell’isola, Torino lo integra nel suo programma di sviluppo demografico e agricolo. Più sottilmente, dà vita a uno schema di intervento che ricalca il trecentesco Fuero Alfonsino, privilegio approvato dalle Cortes di Valencia convocate nel 1329 da Alfonso IV di Aragona, il quale concedeva la piena giurisdizione civile e quella bassa nel penale a chiunque avesse popolato un territorio con almeno quindici coloni cristiani e la fabbrica di altrettante abitazioni41. Un privilegio che anche nella Spagna borbonica viene recuperato42. In entrambi i casi prende così forma una logica “feudalizzata” della colonizzazione interna, in cui i poteri centrali si limitano a definire la cornice dell’intervento, a sostenerlo finanziariamente, a verificarne l’attuazione, ma ne delegano l’esecuzione (e i costi) all’imprenditore che ha proposto il progetto. Viste così, le colonizzazioni settecentesche sembrano riprendere modelli e strumenti dei secoli precedenti, ma grazie a un’organizzazione amministrativa che obbedisce direttamente al sovrano e che è decisamente più articolata che in passato, le traducono in azioni più decise e pervasive. Matura progressivamente uno stile di intervento “pubblico”, che impegna il germinale apparato amministrativo degli Stati a mettere in campo azioni per attivare e governare flussi di migranti (individui, famiglie, clan) da trasformare in coloni; a garantire a questa forza-lavoro l’accesso agli spazi che si desidera trasformare e dominare; ad approvvigionare i territori, a bonificarli, spostando il corso dei fiumi, prosciugando stagni, progettando nuove città, tracciando strade, connettendo gli entroterra ai porti, erigendo presidi militari, dogane, lazzaretti, ospedali, magazzini. Lo spazio viene riscritto, riformulato, rispazializzato secondo parametri e per finalità che sono, almeno nelle intenzioni, quelle prefigurate 40 G. SALICE, Popolare con stranieri. Colonizzazione interna nel Settecento sabaudo, «ASEI, Archivio Storico dell’Emigrazione italiana», 13/2017, pp. 118-125. 41 E. GIMÉNEZ LÓPEZ, Fuero alfonsino y fuero de población de Sierra Morena en los proyectos de colonización de la Corona de Aragón en la segunda mitad del siglo XVIII, «Revista de historia moderna: Anales de la Universidad de Alicante», 12/1993, p. 144. 42Ivi, p. 149. Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 127 dai philosophes francesi, dal cameralismo tedesco, dal riformismo lombardo, napoletano, etc.: creare un mercato interno “nazionale”, dove il flusso di uomini e merci sia finalmente libero da impedimenti e destinato a potenziare la spinta espansiva del principe. È un’azione profonda che non trasforma solo i bordi, ma il cuore stesso dello Stato. Nascono nuovi uffici, nuove procedure per gestire immigrazioni, quotizzazioni, stanziamenti; gli eserciti bonificano terre, progettano città; prendono forma reti più o meno formali di agenti per il reclutamento dei coloni, si definiscono strategie per la propaganda. Gli uffici del re emettono salvacondotti e passaporti, predispongono liste di arruolamento; si lavora anche attraverso ambasciatori e consoli per preparare diplomaticamente le migrazioni. I flussi di popolazione impegnano così migliaia di persone, a diversi livelli della gerarchia istituzionale e sociale, sia in patria che all’estero. Ogni colonia, se letta in questo quadro, è storia locale e sovralocale insieme, parte di un popolazionismo statale a sua volta legato a quello degli altri Paesi. Non esiste, oggi, uno studio in grado di offrire un quadro analitico unitario e comparativo delle diverse esperienze. Sarebbe utile forse a valutarne analogie e differenze; a verificare l’effettiva circolazione dei modelli di intervento; a confermare o smentire l’idea che la colonizzazione interna dell’Europa moderna sia stato un processo policentrico, ma in definitiva unitario. 4. Prospettive “dal basso” Finora abbiamo parlato di colonizzazione interna da una prospettiva politico-istituzionale. Ne esiste un’altra, altrettanto rilevante, che è quella sociale, quella dei coloni. I migranti esprimono un proprio progetto di vita, che è autonomo e mosso da interessi che possono talvolta trovarsi in conflitto con quelli del potere che ne ha incentivato lo stanziamento. La stabilizzazione delle colonie è un obiettivo essenziale per i governi, in un mondo nel quale l’esercizio legittimo della sovranità di uno Stato Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 128 dipende da un possesso continuato ed efficace43. La residenzialità dei coloni è allora un fatto politicamente rilevante perché, nella visione di chi governa, da essa dipende la forza della presa sovrana sul territorio. Non è un caso che la naturalizzazione sia concessa solo ai forestieri che risiedono stabilmente sulla terra concessa dal principe. Un indice forte di residenzialità è l’arrivo delle madri, delle mogli, delle figlie, insomma delle donne nelle colonie44. Quando a insediarsi sono anche gli affetti familiari, il rischio di una presenza temporanea pare attenuarsi. Tuttavia, anche quando questo avviene, non sempre i coloni rinunciano alla mobilità. Di certo non lo fanno quando questa è necessaria al progetto di vita delle persone e dei gruppi ai quali appartengono. Ecco perché le colonie sviluppano un carattere fluttuante, che le tiene in uno stato di attesa. A volte è solo il segno di una difficoltà a integrarsi nel nuovo mondo, ma altre indica l’irriducibilità di queste piccole società coloniche al disegno del potere che la ha volute. Un’autonomia di pensiero e azione che si manifesta non solo nel conflitto con i locali, quanto soprattutto col potere sovrano; conflitto quest’ultimo che può raggiungere asprezze tali da spingere i coloni a migrare altrove. Per questo, anche i progetti falliti sono interessanti: aprono il campo all’indagine delle resistenze allo stanziamento e alla comprensione del tipo relazione che lega governo e “sue” colonie. Se la prospettiva dei poteri pubblici che stanziano i migranti è quella di costruire attraverso la loro presenza uno spazio più fluido, più puntualmente sottomesso alle logiche di dominio che ispirano l’azione della corte, le resistenze rivelano la difficoltà, quando non l’impossibilità ad attuare un simile disegno. Soprattutto, le resistenze sono cartina di tornasole del limite forse più rilevante delle politiche di colonizzazione degli Stati moderni dalla prospettiva logistica: l’incapacità del sistema di selezionare e stanziare l’uomo giusto. Il “giusto colono” è quello A. PAGDEN, Signori del mondo. Ideologie dell’impero in Spagna, Gran Bretagna e Francia 1500-1800, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 154-157. 44 Stiamo qui generalizzando un aspetto rilevato in relazione alle colonie urbane greche. Cfr. M. GRENET, La fabrique communautaire: les Grecs à Venise, Livourne et Marseille, v. 1770-v. 1830, Phd Thesis, Firenze, European University Institute, 2010, p. 89. 43 Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 129 che effettivamente contribuisce alla grandezza del principe, quello che possiede stabilmente la terra, la rende fertile, la presidia secondo un progetto coerente con le logiche di rafforzamento del potere che ne ha consentito lo stanziamento. Non che i principi e i loro ufficiali non si si sforzassero di precisare il profilo del colono ideale. Ad esempio, la confessione religiosa era spesso criterio di identificazione del migrante benvenuto. Ma gli uffici immigrazione o i privati che si facevano carico di reclutare braccia non tenevano in troppo conto di simili prescrizioni, specie quando il capitale umano scarseggiava. Carlo III di Spagna vuole solo cattolici per la Sierra Morena. Studi recenti hanno però dimostrato che vennero accolti anche protestanti 45. Analogo divieto viene superato nei fatti nelle colonie balcaniche degli Asburgo46. Quando la Gran Bretagna consente al medico scozzese Turnbull di fondare una nuova Smirne in Florida, impone il divieto di importarvi coloni cattolici, i quali però alla fine costituiranno una componente importante dell’insediamento47. Il colono desiderato dai Savoia per la Sardegna è il contadino, ma nella colonia greco-maniotta di Montresta arrivano soprattutto mercanti. Gente che non disdegna la terra, ma che la lavora coll’intenzione di commercializzarne i prodotti. Insediati lontano dal mare, se ne vanno dopo un torno d’anni relativamente breve. Sono solo alcuni esempi, relativi a migrazioni legali e dunque registrate nella documentazione. Ma le colonie si alimentano anche di migrazioni informali e illegali, di cui restano labili tracce nei documenti e che per questo si possono ricostruire con difficoltà. Se osservato in controluce, il profilo del “giusto colono” rivela a sua volta un altro elemento importante per lo studio della colonizzazione e anche della sua gestione logistica: le ragioni per le quali è legittimo espellere dalla terra coloro che vi abitano già, i nativi. Quando Caterina II invita i forestieri a stanziarsi in Russia concede loro la facoltà M.A. LOPEZ ARANDIA, “Colonos católicos, alemanes y flamencos”... pero no solo, p. 165. J.M. MARSHALL, Review of Dividing the Land: Early American Beginnings of Our Private Property Mosaic. by Edward T. Price, «The Journal of Economic History», 55, 4/1995, p. 101. 47 E.P. PANAGOPOULOS, The Background of the Greek Settlers in the New Smyrna Colony, «The Florida historical quarterly», 35, 2/1956, pp. 95. 45 46 Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 130 di convertire i mussulmani locali e di ridurli alla condizione servile 48. Non si tratta di sostituzione etnica, quanto di ostilità nei confronti di chi potrebbe sostenere il principale nemico dei russi del tempo, cioè i turchi. Tuttavia, tale azione poteva allora apparire legittima solo se rivolta a popolazioni che non coltivavano la terra che abitavano. Come in una sorta di versione russa del principio romano del terra nullius, questo approccio determina la progressiva cacciata dei “selvaggi” dalle steppe siberiane o dalle piane ucraine. È l’intera società europea a condividere simile impostazione che, anche col conforto di letture popolari come l’Utopia di Tommaso Moro o il Robinson Crusoe di Daniel Defoe, riconosce solo a chi fruttifica la terra il diritto di possederla. È sulla base di questo stesso principio che gli europei legittimano l’occupazione delle Americhe a scapito dei nativi49. Ma questo modo di intendere la relazione tra uomo e terra serpeggia anche nei discorsi giustificativi delle colonie interne. Nella Minorca britannica, per esempio, dove i privilegi, la fede, le istituzioni dei locali sono tutto sommato rispettati. Negli anni sessanta del Settecento, a Londra, qualcuno propone però di espellere dall’isola tutti i cattolici (così pigri, così superstiziosi, così spagnolizzati, così incapaci di coltivare) per sostituirli con migliaia di operosi protestanti che, loro sì, sapranno certamente far fruttare la terra 50. Il tema torna negli anni ottanta, quando i russi si dicono disposti ad accettare un’alleanza con gli inglesi solo in cambio di Minorca, che il ministro Potemkin sogna di ripopolare integralmente con grecoortodossi51. Tuttavia, anche laddove la sostituzione riesce, questa non determina inevitabilmente la costruzione di un territorio completamente asservito al potere sovrano e cioè vuoto di quelle barriere che impediscono la libera e incontrollata estrazione di risorse materiali e capitale umano. Lo spazio ricolonizzato, anche per la presenza dei forestieri impiantati dal principe, resta spazio conteso, cioè di incessante negoziazione, di F.C. KOCH, The Volga Germans: In Russia and the Americas, pp. 6-7. PADGEN, Signori del mondo, pp. 135-137. 50 G. SALICE, La tolleranza religiosa come instrumentum regni nella Minorca britannica, in P. DELPIANO – M. FORMICA – A. M. RAO (eds), Il Settecento e la religione, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2018, p. 168. 51 D. ABULAFIA, The Great Sea: A Human History of the Mediterranean, Oxford, Oxford University Press, 2011, p. 1133. 48 49 A. Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 131 natura non logistica. 5. Conclusioni È soprattutto nel XVIII secolo che registriamo l’emergere di un modello di intervento pubblico che intercetta le migrazioni e cerca di insediarle lungo i bordi del corpo territoriale dello Stato europeo. L’azione è diretta ad imporre la giurisdizione esclusiva del principe su spazi che, anche grazie all’impianto di colonie di migranti, si punta a liberare da impedimenti ecologici e dalle strutture di potere locale ereditate dal passato. È un modello di intervento applicato secondo ritmi e con intensità diversificate da uno Stato all’altro, ma che anche dove raggiunge i risultati più significativi non dà vita ad un sistema logistico che esiste in se stesso, in grado cioè di operare indipendentemente dal Leviatano. La logistica delle colonizzazioni interne resta asservita al potere del principe e alle sue logiche mercantilistiche. L’accesso alle frontiere costruito attraverso catene di mobilizzazione di capitale umano forestiero non è mai veramente libero, perché soggetto alla regolamentazione che lo Stato cerca di imporvi attraverso dogane, avamposti, presidi militari e burocratici. Tuttavia, sebbene la rispazializzazione delle frontiere punti a stabilire un controllo statale sui flussi di merci e persone in entrata e in uscita, essa è diretta anche a generare una spinta alla libera circolazione di merci e uomini dentro lo spazio definito dalle nuove frontiere, attraverso un movimento di ricolonizzazione interna (demica, infrastrutturale e culturale) che dai limiti del territorio procede verso l’interno, fino a raggiungere e trasformare il cuore stesso della comunità politica e sociale. Il tentativo riesce solo in parte, perché i territori che l’emergente Stato amministrativo pretende di uniformare e unificare sotto il suo comando mantengono ritmi evolutivi propri. Sarà così almeno fino all’Ottocento. Certo lo spazio di circolazione di merci e uomini si amplia, ma resta frammentato, così che la forza estrattiva del sovrano non è ovunque la stessa: più forte nelle frontiere, più debole all’interno dove i contro-poteri sono spesso insuperabili. In certi casi, la resistenza è forte anche alla frontiera, spazio Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 132 tutt’altro che vuota di civiltà, come invece sostenuto dalla cospicua intellighenzia riformatrice che incitava i sovrani ad intervenirvi energicamente per civilizzarla. Come per un apparente paradosso, la densità della frontiera aumenta spesso proprio per effetto della colonizzazione statale con forestieri che non solo non spegne le resistenze dei nativi, ma anzi insedia interessi nuovi, quelli dei coloni, che possono collidere con la politica governativa. Invece che dare vita ad uno spazio ordinato, simmetrico, socialmente gerarchizzato e politicamente asservito ai desideri del principe, la colonizzazione favorisce così il riacutizzarsi del carattere granulare e imprendibile della frontiera. Nemmeno l’Africa, dalla quale questi stessi Stati europei attingevano la forza-lavoro schiavile per alimentare il sistema coloniale atlantico, era vuota di civiltà. Anche le frontiere extra-europee erano capaci di resistenze e di opposizioni al sistema logistico che le attraversava. Tuttavia, diversamente dagli spazi europei, quelli atlantici erano troppo distanti dalla presa del Principe e dunque molto più esposti alle logiche di un settore “privato” a sua volta più libero di agire anche fuori dalla cornice definita dalle corti. L’interazione tra assenza (o debolezza) del controllo statale e debolezza geopolitica degli indigeni extraeuropei apriva così ad una rispazializzazione molto più radicale e un sistema logistico molto più autonomo dal controllo regolatore dello Stato moderno. Questa maggiore autonomia può aiutarci a spiegare l’emergere della logistica schiavile come sistema autonomo, che si autoalimenta e che resiste alle trasformazioni istituzionali dei principati in seno ai quali è pure germinata. Al contrario, la presenza di un forte controllo da parte del Leviatano impedisce alle colonizzazioni interne nell’Europa d’Antico regime si assumere i caratteri di un sistema logistico perdurante e autonomo. Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 133 Scienza & Politica Quaderno n. 11 – anno 2020 134